La domanda di demolizione di un bene in comproprietà impone l’estensione del contraddittorio a tutti i comproprietari

Nell’azione legale volta alla riduzione in pristino di una abitazione in proprietà o possesso di più persone, una sentenza che venga pronunciata non nel contraddittorio di tutti i proprietari/possessori risulterà invalida e inutiliter data, per il fatto che l’eventuale demolizione del bene comporterebbe pregiudizi per tutti i succitati soggetti, non essendo ipotizzabile una riduzione in pristino limitata alla quota di un solo comproprietario.

Così la Suprema Corte con la sentenza n. 27361/19, depositata il 24 ottobre. Il caso. In una struttura abitativa su più livelli, la proprietaria di un appartamento al piano terreno, con annessa cucina realizzata nei locali di una ex legnaia, agiva in giudizio avverso la proprietaria dell’immobile sito al piano terzo. La convenuta, a detta dell’attrice, aveva realizzato una costruzione in adiacenza all’edificio preesistente la quale sovrastava la cucina attorea e occupava in parte abusivamente un terreno di proprietà dell’attrice. La nuova struttura, peraltro, era stata realizzata con l’apertura di luci a distanze inferiori a quelle prescritte dalla legge. In ragione di tali problematiche connesse con la nuova costruzione, la proprietaria domandava la riduzione in pristino della struttura realizzata dalla convenuta, o quantomeno l’arretramento della stessa fino al rispetto delle distanze legali e dei confini e il conseguente risarcimento del danno attoreo. Con diverso atto di citazione la proprietaria dell’abitazione del terzo piano citava in giudizio i proprietari dell’appartamento del secondo piano, anch’essa lamentando alcune presunte illiceità nelle costruzioni dagli stessi realizzate. Il Tribunale di prime cure in primo luogo disponeva la riunione dei giudizi per comunanza dell’oggetto, ammettendo in seguito istanza di CTU sui luoghi al fine di comprendere lo stato degli stessi. All’esito dell’attività istruttoria il Giudice riconosceva la ragione dell’attrice e condannava la convenuta all’arretramento della propria abitazione con riguardo alla porzione edificata sul terreno attoreo, alla rimozione delle vedute realizzate senza il rispetto delle distanze legali e rigettava tutte le restanti domande dichiarandole inammissibili. Rispetto a detta sentenza proponeva appello la convenuta, principalmente lamentando l’invalidità della decisione di prime cure per mancata integrazione del contraddittorio. La Corte d’Appello accoglieva tale interpretazione e disponeva il rinvio al giudice di primo grado ai sensi e per gli effetti dell’art. 354 c.p.c La Corte di Cassazione conferma l’esito del giudizio d’appello. Avverso la succitata sentenza d’appello proponeva impugnazione la proprietaria dell’appartamento del piano terra, lamentando l’illegittimità della decisione d’appello rispetto agli artt. 948, 949, 950 e 873 c.c. e 102 e 354 c.p.c A detta della ricorrente, infatti, la Corte d’Appello aveva errato nel riformare la decisione del primo giudice il Tribunale, infatti, aveva – sempre secondo la ricorrente – correttamente accolto la domanda di riduzione in pristino della parte edificata in violazione delle normative sulle distanze, limitatamente alla convenuta. Stante la condanna limitata alla sola convenuta, quindi, non vi sarebbe stato alcun bisogno di integrazione del contraddittorio con gli altri comproprietari delle unità immobiliari del complesso abitativo. La Cassazione, con la sentenza in commento, rigettava in toto tale ricostruzione. A detta dei Supremi Giudici, difatti, la Corte d’Appello aveva valutato correttamente la necessità dell’integrazione del contraddittorio, stante la situazione di condivisione e comproprietà all’interno delle abitazioni oggetto di causa. Era pur vero, quindi, che l’abitazione costruita sul terreno dell’attrice era di proprietà della sola convenuta, ma – come emerso dalla CTU – l’intero complesso abitativo era costruito in modo da essere interamente connesso e sostenuto dalle medesime strutture di tale che con riferimento al caso di specie, la innegabile necessità di un intervento di abbattimento coinvolgente le strutture portanti dell’edificio, quali i pilastri, i solai e i muri comuni, come desumibile dal contenuto della svolta ctu, avrebbe dovuto comportare, alla stregua degli enunciati principi, la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti proprietari dei beni sui quali tale intervento era destinato a incidere . L’argomentazione della parte ricorrente, peraltro, non suggeriva alcun vizio logico nella sentenza della Corte d’Appello e chiedeva unicamente una revisione delle circostanze di fatto oggetto della causa, inammissibile in grado di legittimità. Correttamente, quindi, la Corte d’Appello aveva ritenuto la decisione di prime cure inutiliter data e aveva disposto ai sensi dell’art. 354 c.p.c. la rimessione del giudizio al primo grado, decisione, quindi, confermata dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 giugno – 24 ottobre 2019, n. 27361 Presidente Campanile – Relatore Bellini Fatti di causa Con atto di citazione, notificato in data 22.2.1996, C.L. , quale proprietariadi un appartamento al primo piano di un edificio in , località omissis , nonché dell’attigua cucina realizzata in luogo di una preesistente legnaia e latrina, esponeva che B.G. , proprietaria per successione dalla propria madre M.L. , dell’appartamento sito al terzo piano del medesimo stabile, aveva realizzato, in adiacenza al preesistente fabbricato, una costruzione che, oltre a investire un’area attribuita in proprietà alla condividente M.A. sorella di L. , sovrastante quella occupata dalla cucina dell’attrice, aveva abusivamente occupato anche una porzione di circa mq. 7,30 del confinante terreno, acquistato dalla C. in data 26.11.1989, aprendovi vedute dirette. Ciò premesso, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, B.G. , chiedendone la condanna a demolire la costruzione realizzata in adiacenza al fabbricato, fino al rispetto delle distanze legali o, quantomeno, a rimuovere ogni manufatto invadente lo spazio aereo sovrastante la cucina della C. e, in ogni caso, a rimuovere le vedute dirette sulla proprietà dell’attrice, con condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di lite. Si costituiva in giudizio B.G. deducendo la legittimità della costruzione, in quanto realizzata conformemente a quanto stabilito nell’atto di divisione del 1951, con il quale era stato riconosciuto a M.L. , dante causa della convenuta, il diritto di costruire nuovi vani a oriente del fabbricato, usufruendo gratuitamente del muro esistente e occupando parte del terreno assegnato ad M.A. , a non oltre 10 metri dal fabbricato. Deduceva l’avvenuta realizzazione delle vedute in virtù di scrittura privata del 13.12.1979, intervenuta tra M.F. , madre dell’attrice, e B.G. , cugina di Filomena. Con diverso atto di citazione, notificato in data 7.7.1999, B.G. conveniva in giudizio C.L. , M.F. , F.F. e F.L. , questi ultimi quali eredi di M.A. , esponendo che in seguito all’acquisto della porzione attribuita in sede di divisione alla propria madre L. , la B. , avvalendosi del diritto riconosciuto alla propria dante causa aveva realizzato sulla particella n. , appartenente alla quota assegnata ad A. , un piccolo fabbricato su due livelli, dei quali il primo, secondo gli accordi di cui all’atto di divisione, era rimasto in proprietà di A. . Aggiungeva che C.L. , divenuta proprietaria della quota originariamente assegnata a M.M. sorella di L. e A. e poi da questa donata alla figlia M.F. , nonché proprietaria dell’adiacente particella n. , già di M.A. , aveva eretto, unitamente alla madre M.F. , una costruzione in violazione delle distanze legali rispetto alla proprietà dell’attrice, usufruendo delle strutture realizzate da quest’ultima in adiacenza al preesistente fabbricato e realizzando anche uno scavo per mettere in collegamento le nuove costruzioni con il preesistente immobile oggetto di donazione. Pertanto, chiedeva di accertare e dichiarare la legittimità della costruzione da lei realizzata sulla part. n. di proprietà di M.A. e di dichiarare la violazione delle distanze legali nella realizzazione delle nuove costruzioni ad opera della C. e l’illegittimità e abusività delle opere realizzate da questa e da M.F. nel sottosuolo di detta particella, nonché al di sotto della scalinata condominiale, con condanna delle convenute alla demolizione delle stesse e al pagamento delle spese. Si costituiva C.L. , la quale, in via preliminare, chiedeva la riunione del processo a quello già pendente nel merito invocava il rigetto delle domande. M.F. eccepiva il difetto di legittimazione passiva relativamente alla domanda di riduzione in pristino e invocava il rigetto della domanda di risarcimento dei danni. F.F. e L. dichiaravano di non opporsi alla domanda diretta a ottenere l’accertamento della proprietà esclusiva, in capo alla B. , del secondo piano della costruzione eseguita sulla part. e chiedevano che venisse disposta l’eliminazione di ogni abuso commesso dalle altre parti in danno del cespite di loro proprietà. Disposta la riunione, veniva ammesso l’interrogatorio formale di C.L. e di M.F. ed espletata CTU. Con sentenza n. 2168/2008, il Tribunale di Salerno condannava la B. alla demolizione della porzione dell’appartamento di sua proprietà insistente, per una superficie di mq 7, sulla part. di proprietà dell’attrice, secondo le modalità di cui alla CTU condannava la B. all’eliminazione delle tre vedute dirette realizzate sulla parte del fabbricato prospiciente sulla part. e all’arretramento a m. 1,50 dal filo esterno del fabbricato della ringhiera installata sulla terrazza di copertura rigettava, per il resto, la domanda proposta dalla C. e le domande proposte dalla B. dichiarava inammissibili, perché tardivamente formulate, la domanda di acquisto della proprietà del suolo oggetto di sconfinamento proposta dalla B. e la domanda proposta dai F. nei confronti delle altre parti processuali condannava la B. al pagamento delle spese di lite e della CTU. Proponeva appello la B. , chiedendo di dichiarare la nullità della sentenza rimettendo la causa al primo Giudice chiedendo il rigetto delle domande formulate dalla C. . Si costituivano in giudizio M.F. e C.L. invocando il rigetto dell’appello. I F. chiedevano la conferma della sentenza impugnata. Con sentenza n. 284/2015, depositata in data 27.4.2015, la Corte d’Appello di Salerno accoglieva l’appello e dichiarava la nullità della sentenza appellata, per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari rimetteva le parti davanti al Giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c. compensava le spese del grado di appello. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C.L. , sulla base di un unico motivo resiste B.G. con controricorso, illustrato da memoria difensiva gli intimati F.L. e F. non hanno svolto difese. La causa proviene dalla adunanza camerale del 28.2.2019. Ragioni della decisione 1. - Con l’unico motivo, la ricorrente deduce la Nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 948, 949, 950 e 873 c.c., artt. 102 e 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 . Rileva la ricorrente che - così come correttamente ritenuto dal Tribunale, che aveva accolto la domanda proposta dalla C. nei soli confronti della B. , in riferimento alla sola porzione delle fabbriche realizzata da quest’ultima e ricadenti in proiezione nel suolo di proprietà dell’attrice - l’estensione del contraddittorio, nel lato passivo, si impone solo quando sia in discussione contrariamente al caso di specie la proprietà comune a terzi del bene verso il quale è diretta la domanda di demolizione. Sempre secondo la ricorrente, sotto questo profilo la domanda è stata correttamente inquadrata dalla Corte d’Appello, che individua l’oggetto della domanda della C. nella condanna della B. alla demolizione della nuova costruzione, a lei sola appartenente, dalla medesima eseguita in parte in proprietà aliena. Ma, poi, la Corte motiva la decisione sulla materiale complessità dell’esecuzione dell’intervento di parziale demolizione dell’appartamento della convenuta, implicante possibili ripercussioni sul piano sottostante dei F. . Sicché, l’errore della Corte di merito è quello di aver posto alla base della riforma della sentenza di primo grado solo la possibilità che, in sede esecutiva, l’intervento demolitorio comporti ripercussioni sul piano sottostante dei F. . 1.1. - Il motivo non è fondato. 1.2. - La Corte di merito ha sottolineato che sulla scorta della relazione integrativa depositata il 7.3.2007 in primo grado il consulente aveva chiarito che l’intervento di demolizione parziale dell’appartamento della convenuta, fino al confine con la p.lla , risulta estremamente complesso, trattandosi, nella specie, di un edificio con struttura portante mista muratura portante e pilastri di cemento armato , sviluppantesi su tre piani, reatizzato, peraltro, con strutture portanti orizzontali travi e solai in c.a. collegate ad altro edificio adiacente. Dovendo, quindi, detto l’intervento coinvolgere anche le strutture portanti dell’edificio, con l’inserimento di pilastri nella parete della cucina al piano terra, di proprietà della attrice e il passaggio dei nuovi pilastri nell’appartamento del prima piano, di proprietà F. sentenza impugnata, pagine 9-10 . Nonostante, dunque, il primo giudice avesse limitato la propria decisione al solo intervento di demolizione di cui al grafico riportato alla pagina 8 della relazione integrativa, tuttavia, secondo la Corte di merito, tale intervento non potrebbe essere realizzato senza la compromissione delle strutture portanti, come dettagliatamente illustrato dal c.t.u. nei grafici di cui alle pagine 7 e 9, costituenti parte integrante del complessivo lavoro da eseguirsi sentenza impugnata, pagina 10 . Pertanto, la Corte distrettuale - sulla base di un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale sottratto al sindacato di legittimità, anche in quanto immune dalle censure sollevate dalla ricorrente, che sostanzialmente si limita a prospettare una diversa ricostruzione delle vicende che hanno dato luogo alla presente controversia Cass. n. 1916 del 2011 - conclude ritenendo evidente che la inevitabile compromissione delle strutture portanti dell’edificio e la necessità di coinvolgere nella esecuzione dell’opera di abbattimento anche la proprietà posta al primo piano del fabbricato non avrebbe potuto essere risolta, come invece ha fatto il Tribunale, mediante la emissione di una sentenza di condanna condizionata alla possibilità di abbattimento parziale della unità della convenuta senza il coinvolgimento di porzioni comuni o di beni appartenenti a soggetti rimasti estranei allo specifico contraddittorio. Ed invero, stante la acclarata impossibilità di un siffatto intervento, come desumibile dalla svolta c.t.u. e come, del resto, implicitamente recepito dal primo giudice a fondamento della posta condizione, la pronuncia impugnata si rivela inutiliter data, per la oggettiva impossibilità, peraltro riconosciuta anche dal primo giudice, di produrre i propri effetti nei confronti di tutti i soggetti della situazione sostanziale plurilaterale sussistente nella specie sentenza impugnata, pagina 11 . 1.3. - Ciò posto, correttamente la Corte distrettuale ha richiamato e fatto proprio il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nell’azione negatoria servitutis, se per l’attuazione della tutela richiesta è necessaria la rimozione dello stato di fatto mediante l’abbattimento di un’opera in proprietà o in possesso di più persone, le stesse devono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari, in quanto la sentenza resa nei confronti di alcuno e non anche degli altri comproprietari o compossessori dell’opera sarebbe inutiliter data, per il fatto che la demolizione della cosa pregiudizievole incide sulla sua stessa esistenza e, di conseguenza, sulla proprietà o sul possesso di tutti coloro che sono partecipi di tali signorie di fatto o di diritto sul bene, non essendo configurabile una demolizione limitatamente alla porzione o alla quota del solo comproprietario o compossessore convenuto in giudizio cfr. ex plurimis, Cass. n. 17663 del 2018 Cass. n. 4685 del 2018 Cass. n. 6622 del 2016 Cass. n. 3925 del 2016 Cass. n. 2170 del 2013 . 1.4. - Per cui, altrettanto correttamente, la Corte distrettuale ha concluso che, con riferimento al caso di specie, la innegabile necessità di un intervento di abbattimento coinvolgente le strutture portanti dell’edificio, quali i pilastri, i solai e i muri comuni, come desumibile dal contenuto della svolta c.t.u., avrebbe dovuto comportare, alla stregua degli enunciati principi, la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti proprietari dei beni sui quali tale intervento era destinato a incidere sentenza impugnata, pagina 12 . 2. - Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.