Le norme sulle distanze tra edifici operano solo se sussiste una situazione di frontalità tra le due facciate

Obbligo, per gli edifici di nuova costruzione, di mantenere una distanza minima assoluta di 10 metri tra le proprie pareti finestrate e le pareti degli edifici antistanti, ma solo se sussiste una frontalità tra gli edifici.

L’art. 9, n. 2, d.m. n. 1444/1968 prevede l’obbligo - per gli edifici di nuova costruzione - di mantenere una distanza minima assoluta di 10 metri tra le proprie pareti finestrate e le pareti degli edifici antistanti. Tale norma, però, con i temperamenti del caso si veda infra , vede per la sua applicazione la necessaria sussistenza di una frontalità tra i 2 edifici e ciò comporta che, in caso di assenza del presupposto, non si assista ad alcuna violazione. Il caso. Un condominio agiva in giudizio avverso una impresa di costruzioni lamentando come questa avesse edificato uno stabile in violazione del rispetto delle distanze. A detta degli attori, infatti, ai sensi del d.m. n. 1444/1968, la convenuta avrebbe dovuto edificare la parete finestrata del proprio palazzo ad almeno dieci metri dal confine con la loro proprietà, e, in conseguenza, domandavano la riduzione in pristino del nuovo edificio. Il Tribunale, in primo grado, accertava la costruzione ad una distanza inferiore di 10 metri rispetto al confine e ne ordinava la demolizione. Avverso tale sentenza proponeva appello la società costruttrice, lamentando una errata valutazione dello stato dei luoghi da parte del primo Giudice. La Corte d’Appello, tuttavia, confermava la sentenza di prime cure. Presupposto necessario per l’applicazione di tale disciplina è la frontalità tra gli edifici. A seguito della duplice soccombenza, la società costruttrice depositava un ricorso in Cassazione con il quale, sostanzialmente, censurava l’operato della Corte d’ Appello per non avere correttamente applicato la vigente normativa in materia di distanze. In particolare, la disciplina delle distanze constava sia dell’art. 873 c.c., che affermava che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di 3 metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore , sia dell’art. 9, n. 2, d.m. n. 1444/1968 che riporta che nuovi edifici ricadenti in altre zone è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti . A parere della ricorrente, tuttavia, il Giudice del riesame non aveva correttamente valutato il suo appello, applicando la succitata disciplina in modo totalmente acritico e senza verificarne i presupposti. La Cassazione, all’esito del giudizio, pronunciava la sentenza numero 24471 con la quale accoglieva il motivo di ricorso sopra menzionato. In particolare, secondo gli Ermellini, avrebbe errato la Corte d’Appello nel non valutare che uno dei presupposti necessari per l’applicazione della disciplina sulle distanze tra edifici così come sopra riassunta era la frontalità tra gli edifici. Tale frontalità, anche parziale, avrebbe dovuto essere sussistente nel caso in questione al fine di legittimare la decisione di ridurre in pristino il nuovo edificio, dato che in assenza del presupposto, il costruttore non avrebbe commesso alcuna violazione. È quindi necessario, al fine della sanzionabilità della nuova costruzione, che sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento Cass. n. 4715/2001 . La Corte d’Appello, nel caso in oggetto, a seguito della descrizione dei fabbricati oggetto di causa, aveva ravvisato una violazione della norma senza peraltro verificare se, in dipendenza della edificazione, vi fosse una effettiva e attuale posizione di frontalità tra le due facciate. Essa, inoltre, non avrebbe valutato se, nel caso in oggetto, vi fosse stato il rispetto del principio giurisprudenziale in ragione del quale l’art. 9, n. 2, d.m. n. 1444/1968 non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine e che ove invece il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire rispettando la metà della distanza legale dal confine Cass. 4848/2019 e Cass. 3340/2002 . La sentenza pronunciata, quindi, era carente dal punto di vista della corretta applicazione della normativa e, nel rilevarlo, la Cassazione la cassava e disponeva il rinvio del giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione nel merito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 maggio – 1 ottobre 2019, n. 24471 Presidente Gorjan – Relatore Tedesco Fatti di causa Z.L. , C.B.M. , Z.A. , S.A. , proprietari di un complesso immobiliare in omissis , chiamavano in giudizio davanti al Tribunale di Milano la FAER S.r.l. Faer , lamentando, per quanto ancora interessa in questa sede, che la convenuta aveva realizzato uno stabile sul fondo confinante, al civico di viale , in violazione delle distanze tra costruzioni. Si costituiva la S.r.l. e il contraddittorio era esteso al Condominio di omissis e ai proprietari delle singole unità immobiliari. Si costituivano N.A. , +Altri , facendo proprie la difese della FAER e comunque chiedendo di essere dalla stessa Faer garantiti in caso di soccombenza. Rimanevano contumaci C.N. , S.M.G. e S.U. . Il tribunale accertava la violazione delle distanze per le parti dell’edificio di omissis poste a meno di metro 10 dalla parete lato nord degli edifici degli attori, e ne ordinava conseguentemente la demolizione accoglieva la domanda di manleva proposta dai condomini contro la società costruttrice Contro la sentenza proponevano appello il Condominio di omissis , la Faer s.r.l. e condomini già costituiti in primo grado, ad eccezione di C.N. e S.M.G. , che si costituivano a mezzo del medesimo difensore delle parti appellanti Rimenavano contumaci C.R. , +Altri . La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza. Per la cassazione della sentenza Faer s.r.l. ha proposto ricorso principale affidato a quattro motivi. N.A. , +Altri hanno aderito al secondo, al terzo e al quarto dei motivi di cassazione dedotti dalla ricorrente Faer srl in liquidazione e a loro volta hanno proposto con ricorso incidentale affidato a due motivi. Hanno resistito con controricorso Z.L. , C.B.M. , Z.A. , S. , che hanno depositato controricorso al ricorso incidentale. Sono rimasti intimati A.G. , +Altri . Tutte la parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza. Fissata la pubblica udienza la Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo, ordinando la rinnovazione della notificazione del ricorso principale nei confronti di F.M. e degli eredi di S.U. e disponendo la trasmissione del fascicolo iscritto al n. 1746 RG 2009 della Corte d’appello di Milano, comprensivo del fascicolo del procedimento di primo grado. C.R. e S.C.D. , quali eredi di S.U. hanno resistito con controricorso. F.M. è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia nullità della sentenza per omesso esame dell’appello della Faer s.r.l. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 . La corte d’appello ha omesso l’esame dell’appello della Faer, che aveva autonomamente sviluppato quattro motivi d’appello contro la sentenza del tribunale, uno solo dei quali coincidenti con quello del condominio, peraltro con argomenti in fatto e in diritto diversi e non sovrapponibili. Si sostiene che la totale obliterazione dell’appello di Faer trova conferma nel fatto che la società non è menzionata nel dispositivo e inoltre nel fatto che la corte aveva equivocato sulle posizioni processuali, attribuendo alla stessa Faer non la veste di appellante, ma di appellata. In verità la Faer è menzionata solo nella parte relativa alla regolamentazione delle spese di lite, là dove la corte ha accennato a una adesione di FAER alle ragioni fatte valere dagli appellanti. Il secondo motivo denuncia violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 2. Le pareti dell’edificio realizzato dalla Faer e della palazzina degli attori non si fronteggiano, essendovi uno sfalsamento di 0,73 cm. Si sottolinea che gli attori hanno costruito in aderenza alla parete del lato nord del capannone industriale dei signori Z. poi una volta raggiunta l’altezza del colmo del capannone con la costruzione del piano pilotis, l’edificio è arretrato rispetto al confine. In conseguenza di tale arretramento la parete finestrata si trova a una distanza che in nessun punto è inferiore a mt. 5,05 del muro nord dal capannone degli Zanolini, e cioè dalla linea di confine fra le due proprietà, non essendo quindi configurabile la violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, n. 2. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1969, art. 9, comma 2, in relazione al disposto dell’art. 28, comma 1, lett. b. 1 b. 2 del Regolamento edilizio del Comune di Milano e dell’art. 873 c.c La norma regolamentare consente, in deroga a quanto previsto dall’art. 27 del medesimo regolamento, l’edificazione in aderenza ai muri nudi dei fabbricati esistenti. La corte d’appello non ha compreso il senso della censura formulata in proposito, che era volta a dimostrare che la presenza della norma regolamentare rendeva palese che il regolamento non aveva recepito la previsione del decreto ministeriale. Pertanto, non essendo la stessa previsione invocabile direttamente nei rapporti fra privati, la corte di merito, una volta constatato che l’edificazione del lato dell’edificio realizzato dalla Faer s.r.l. in liquidazione è avvenuta in presenza delle condizioni stabilite dall’art. 28, comma 1, lett. b1 e b2 , avrebbe dovuto trarne la conseguenza della inapplicabilità sulle distanze fra pareti finestrate e valutare la legittimità dell’opera secondo la norma dell’art. 873 c.c. . Il quarto motivo denuncia omesso valutazione di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 833 c.c La corte non ha considerato che le controparti non avevano obiettato alcunché nel corso della edificazione, per poi accampare le loro pretese a edificio ultimato. Ciò rendeva evidente, da un lato, l’assenza di pregiudizi, dall’altro, l’intento emulativo dell’iniziativa giudiziaria. 2. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 2. Si sottolinea che gli attori hanno costruito in aderenza alla parete del lato nord del capannone industriale dei signori Z. poi una volta raggiunta l’altezza del colmo del colmo del capannone con la costruzione del piano pilotis, l’edificio arretra e la parete finestrata si trova a distanze che in nessun punto è inferiore a mt. 5,05 del muro nord dal capannone degli Z. , e cioè dalla linea di confine fra le due proprietà. Conseguentemente di fronte alla parete dell’edificio realizzato da Faer s.r.l. in liquidazione che si affaccia sul fondo dei signori Z. non si trova alcuna parete. La carenza di tale presupposto rendeva inapplicabile la norma del D.M. n. 1444 del 1968. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, n. 2, in relazione all’art. 28, comma 1, lett. b1 e b2 del regolamento edilizio del Comune di Milano e dell’art. 873 c.c La previsione regolamentare, in deroga a quanto previsto dal precedente art. 27, consente l’edificazione a confine in aderenza ai muri nudi dei fabbricati esistenti. Il fabbricato condominiale è conforme a tale previsione, essendo costruito in aderenza fino al colpo del muro nudo preesistente, per poi arretrare di oltre tre metri dal confine, nel rispetto della norma regolamentare dell’art. 27 del medesimo regolamento edilizio. 3. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile. La corte di merito ha ritenuto che le posizioni della Faer e del Condominio di omissis fossero coincidenti. Pertanto l’esame dell’appello del Condominio comportava, nello stesso tempo e di là dalle imprecisioni terminologiche denunciate con il ricorso, l’esame e la decisione dell’appello proposto dalla Faer. La ricorrente si duole di tale decisione, assumendo che i motivi di appello non erano coincidenti, tuttavia non chiarisce in che cosa essi differivano e soprattutto non indica alcun argomento idoneo a giustificare, sul piano teorico e in considerazione delle ragioni della decisione presa dalla Corte d’appello di Milano, l’illazione che la impugnazione proposta dalla Faer avrebbe potuto avere una sorte diversa da quella del Condominio. 4. Il secondo motivo del ricorso principale è fondato. La Corte d’appello di Milano, nell’esame della fattispecie, ha riconosciuto che, nella specie, l’intervento edilizio realizzato dalla Faer doveva avvenire secondo la previsione del D.M. 2 aprile 1968, art. 9, n. 2, recepito dalle NTA del Piano regolatore generale del Comune di Milano, approvato il 26 febbraio 2000. In relazione a tale norma - che impone una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - la corte d’appello ha richiamato principi consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte, sui quali non è il caso di soffermarsi la norma è integrativa della disciplina del codice civile sulle distanze non è derogabile in sede locale Cass. n. 1556/2005 n. 19554/2009 il giudice ha la potestà di disapplicare la norma regolamentare difforme ed applicare le distanze previste dal D.M. n. 1444 quale norma di relazione immediatamente efficace nei rapporti fra privati Cass., S.U. n. 14953/2011 . La corte, quindi, è passato dal piano dei principi a quello della fattispecie concreta, rilevando innanzitutto che il rispetto della distanza di 10 metri non può escludersi nel caso in esame in considerazione del fatto che gli edifici non potrebbero considerarsi antistanti . Al fine di giustificare tale affermazione ha ritenuto di poter trovare appiglio nel principio secondo il quale la distanza fra pareti di edifici antistanti, prevista dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non solo alle parti che si fronteggiano e tutte le pareti finestrate, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 novembre 2010, n. 7731 . Quindi ha richiamati i principi di giurisprudenza sui punti di misurazione delle distanze, per concludere perentoriamente che, nel caso di specie, alla luce delle misurazioni effettuate dal consulente tecnico, la distanza tra l’edificio eretto dalla Faer e quello di proprietà degli appellati non rispetto la distanza di dieci metri, il che rende evidente l’esistenza della violazione in cui Faer s.r.l. è incorsa sotto il profilo in esame . 5. Secondo la ricostruzione della sentenza impugnata la proprietà Z. consiste in un complesso edilizio a destinazione residenziale ed artigianale collocato in fregio alla via OMISSIS , che occupa quindi la parte nord ovest del lotto e da un secondo edificio a destinazione artigianale, che si innesta ad angolo retto ed occupa il suo lato lungo il rimanente confine nord . Si può dare per acquisito a che Faer ha costruito in aderenza rispetto al muro dell’edificio a destinazione artigianale per poi realizzare le pareti finestrate a distanza inferiore a 10 metri dal muro su cui ha costruito in aderenza b che la parete finestrata è stata edificata dalla Faer interamente sul lato nord dell’edificio di fronte all’edificio a destinazione artigianale, posto sul confine fra i due lotti e sul cui muro avanzato la Faer ha costruito in aderenza per tutta la sua altezza c che le pareti finestrate sono state edificate in arretramento rispetto a tale muro si legge nella sentenza che l’edificio eretto dalla Faer s.r.l. edificate in posizione arretrata a partire dal primo piano fuori terra alla quota di + mt. 5,20 e per i successivi, per una lunghezza di mt. 13 sul totale di mt. 24 di lunghezza d che fra le facciate finestrate dell’edificio la facciata finestrata del fabbricato degli originari attori esiste uno sfasamento di 0,72 cm. 6. Il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 prescrive la distanza minima tra parete e parete finestrata. È pacifico che l’art. 9 è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata Cass., S.U., n. 1486/1997 n. 1984/1999 e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del muovo edificio o dell’edificio preesistente Cass. n. 13547/2011 , o che si trovi alla medesima altezza o diversa altezza rispetto all’altro Cass. n. 8383/1999 . Finalità della norma è la salvaguardia dell’interesse pubblico-sanitario a mantenere una determinata intercapedine fra gli edifici che si fronteggiano quando uno dei due abbia una parete finestrata Cass. n. 20574/1997 . La antistanza va intesa come circoscritta alle porzioni di pareti che si fronteggiano in senso orizzontale. Nel caso in cui i due edifici siano contrapposti solo per un tratto perché dotati di una diversa estensione orizzontale o verticale, o perché sfalsati uno rispetto all’altro, il giudice che accerti la violazione delle distanze deve disporre la demolizione fino al punto in cui i fabbricati si fronteggiano Cass. n. 4639/1997 . La Suprema Corte ha osservato che, ai fini del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, due fabbricati, per essere antistanti, non devono essere necessariamente paralleli, ma possono fronteggiarsi con andamento obliquo, purché fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento Cass. n. 4175/2001 . Non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, nè quello in cui sono opposti gli spigoli a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l’altro. Poiché lo scopo del limite imposto dall’art. 873 c.c. è quello di impedire intercapedini nocive, la norma non trova applicazione quando i fabbricati non si fronteggiano, ma sono disposti ad angolo retto in modo da non avere parti tra loro contrapposte Cass. n. 4639/1997 . Le distanze fra edifici non si misurano perciò in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare Cass. n. 9649/2016 . Con riferimento all’analoga materia di pareti frontistanti vigente in materia antisismica la giurisprudenza di questa corte ha avuto modo di affermare che la disposizione contenuta nella L. n. 1684 del 1962, art. 6, n. 4 - a norma della quale l’area posta tra edifici e sottratta al pubblico transito deve avere la larghezza minima di sei metri misurata tra i muri frontali - attiene a tutte le ipotesi in cui i muri perimetrali di costruzioni finitime si trovino in posizione antagonista, idonea a provocare, in caso di crollo di uno degli edifici, danni a quello finitimo pertanto la presenza nei detti muri perimetrali di spigoli o angoli non esula dalla sfera di applicazione della detta norma, in quanto ogni angolo o spigolo è formato da due linee che, sul piano costruttivo, costituiscono vere e proprie fronti , le quali, a loro volta, realizzano rispetto all’opposta costruzione, quella posizione antagonista la cui potenzialità viene eliminata o attenuata dal rispetto della distanza minima. Ha, però, soggiunto che tale principio trova applicazione nel caso in cui le due rette che si dipartano dall’angolo secondo le direttrici dei lati di questo vadano ad intersecare il perimetro della costruzione che si vuole opposta, mentre, qualora tali linee non attraversino idealmente il corpo dell’edificio vicino, non v’è antagonismo tra le costruzioni, nè sussiste quella frontalità che la norma in oggetto prevede come presupposto dell’osservanza della distanza di sei metri a scopo di prevenzione antisismica tra i segmenti perimetrali degli edifici Cass. n. 14606/2007 . È stato anche chiarito che il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, n. 2, non impone di rispettare in ogni caso una distanza minima dal confine, ma va interpretato, in applicazione del principio di prevenzione, nel senso che tra una parete finestrata e l’edificio antistante va mantenuta la distanza di mt. 10, con obbligo del prevenuto di arretrare la propria costruzione fino ad una distanza di mt. 5 dal confine, se il preveniente, nel realizzare tale parete finestrata, abbia a sua volta osservato una distanza di almeno mt. 5 dal confine. Ove, invece, il preveniente abbia posto una parete finestrata ad una distanza inferiore a detto limite, il vicino non sarà tenuto ad arretrare la propria costruzione fino alla distanza di mt. 10 dalla parete stessa, ma potrà imporre al preveniente di chiudere le aperture e costruire con parete non finestrata rispettando la metà della distanza legale dal confine, ed eventualmente procedere all’interpello di cui all’art. 875 c.c., comma 2, qualora ne ricorrano i presupposti Cass. n. 4848/2019 n. 3340/2002 . 7. La corte d’appello non si è attenuta a tali principi. Il principio affermato dal Consiglio di Stato sent. n. 7731/2010 , utilizzato dalla corte d’appello quale criterio guida nella valutazione della fattispecie, vuole dire che la distanza deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non solo alle parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quelle principali e prescindendo dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela. Ma tale principio, così come gli analoghi principi della giurisprudenza di legittimità, implica pur sempre che sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento Cass. n. 4715/2001 . Al contrario la corte di merito, dopo avere descritto la posizione dei fabbricati, ha ravvisato la violazione della norma senza verificare se, in dipendenza della edificazione Faer in aderenza fino al colpo del muro cieco del preesistente edificio destinato a laboratorio, vi fosse una effettiva e attuale posizione di frontalità fra due facciate, nel senso che facendo avanzare idealmente in linea retta una facciata verso il fabbricato vicino, le due facciate si sarebbero incontrate almeno in un punto Cass. n. 2548/1972 n. 3480/1972 n. 9649/2016 . Si ribadisce che la corte di merito non ha ravvisato la violazione nel fatto in sé dell’avere la Faer costruito in aderenza sul muro cieco preesistente, ma nel minore arretramento dell’edificio una volta raggiunto il colmo del tetto tanto ha fatto non in applicazione dei principi della prevenzione integrati con le previsioni di cui al D.M. 2 aprile 1969, art. 9 Cass. n. 3340/2002 cit. , ma avuto riguardo alla situazione attuale dei fabbricati, così dome delineatasi per effetto della edificazione in aderenza. In questo senso, però, è stata completamente omessa dalla corte d’appello la verifica di un’attuale situazione di frontalità fra le due facciate, costituente l’essenziale presupposto per l’operatività del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 Cass. n. 4715/2001, cit. . 8. L’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale comporta l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, in quanto fondato sulle stesse ragioni, e l’assorbimento degli altri motivi. Si impone in relazione ai motivi accolti la cassazione della sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà a nuovo esame della causa e liquiderà le spese del presente giudizio. P.Q.M. dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale accoglie il secondo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano anche per le spese.