La divisione del condominio dev’essere strutturale

I criteri per la divisione di un condominio in condomini autonomi non sono dati dalla presenza delle parti comuni ad una unità immobiliare, ma dalle caratteristiche strutturali della costruzione. Le parti prima oggetto di diritto di comunione ex art. 1117 c.c. possono infatti, nel perdurare della loro fruizione, divenire poi oggetto di diverso regime giuridico quale quello fondato sul diritto di servitù.

Ai fini dello scioglimento del condominio di un edificio o di un gruppo di edifici in condomini separati, è necessario che questi abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, per quanto possano continuare ad essere serviti da parti comuni insieme con gli originari partecipanti. Al di fuori di tale eccezione, ove la divisione comporti interferenze strutturali più gravi, interessanti la sfera giuridica di altri condomini, con imposizioni di limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, è da escludersi che l’edificio all’esito della divisione possa avere autonomia strutturale. La divisione del condominio non può essere meramente amministrativa. Di conseguenza non può ammettersi la divisione di un condominio sulla base nuove tabelle millesimali. Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione numero 22041, depositata il 3 settembre 2019, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. La richiesta lo scioglimento del condominio e la redazione di nuove tabelle millesimali. La domanda giudiziale attiene allo scioglimento del condominio in più condomini ai sensi dell’articolo 61 disp. att. trans. c.c. La richiesta viene motivata con ragioni pratiche letteralmente, si legge in sentenza, in quanto l’attuale consistenza condominiale era iniqua e inutilmente complessa” ed è affermata possibile per via dell’autonomia strutturale dei corpi di fabbrica. Si chiede inoltre in ogni caso” che sia dichiarata la nullità delle tabelle millesimali in quanto errate e prive di fondamento ex articolo 69 disp. att. c.c.”, la stesura di nuove tabelle ed il riconoscimento del diritto degli attori alla restituzione delle somme versate indebitamente sulla base delle dette tabelle. Scioglimento del condominio, le norme di riferimento. Riportiamo a seguire il testo degli artt. 61 e 62 disp. att. trans. c.c Art. 61 I. Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. II. Lo scioglimento è deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell'articolo 1136 del codice, o è disposto dall'autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione. Art. 62 La disposizione del primo comma dell'articolo precedente si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall'articolo 1117 del codice. Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell'articolo 1136 del codice stesso”. La decisione la domanda va rigettata per assenza di autonomia strutturale. Il rigetto della domanda, che si ripete per tutti i gradi di giudizio, si fonda essenzialmente sull’esclusione dell’autonoma strutturale dei condomini che deriverebbero dallo scioglimento del condominio esistente. In primo grado il rigetto era motivato per l’esistenza di compenetrazioni ed intersecazioni” tra varie unità, in ragione delle quali non era possibile la separazione in distinti condomini alcune unità immobiliari sarebbero rientrate in più di un condominio , oltre che per l’anomala presenza dei contatori acqua e gas di un unità immobiliare nell’androne di un diverso condominio. La domanda relativa alle tabelle millesimali è rigettata in quanto ritenuta assorbita dal rigetto della domanda principale. In grado di appello l’impugnazione era rigettata per assenza di due condizioni prescritte dall’articolo 61 era assente il quorum, in quanto dal riparto operato dalla ctu, risultava che la collocazione di una delle unità immobiliari sviluppantesi in verticale impediva il raggiungimento del quorum richiesto dalla legge un terzo dei comproprietari della parte dell’edificio di cui è richiesta la separazione , che era presente solo per una delle quattro parti risultanti dal riparto. Il secondo requisito di legge assente era quello dell’autonomia delle parti oggetto di divisione ex articolo 61 il supplemento di ctu evidenziava che ben otto unità immobiliari sarebbero rientrate in due diversi condomini con una evidente situazione di interferenze e sovrapposizioni” . La carenza di autonomia strutturale non era nemmeno superabile con la predisposizione di nuove tabelle millesimali. Inoltre, la domanda relativa alla nullità delle stesse tabelle viene respinta, non in quanto ritenuta assorbita dalla domanda principale diversamente da quanto concluso dal tribunale , ma in quanto erronea le tabelle erano state approvate all’unanimità nel 1995 la Corte di Cassazione, esprimendosi a Sezioni Unite Cass. 18477/2010 ha escluso la necessità dell’unanimità, affermando la sufficienza della maggioranza qualificata ex articolo 1136 comma 2 c.c. manca però del tutto, nella domanda attorea l’allegazione circa i motivi per cui i valori millesimali erano errati oppure non più corrispondenti alla realtà. Non specifiche parti comuni, ma la struttura è l’indice di appartenenza a questo o a quell’edificio. Ricorrendo in Cassazione, i condomini affermano la violazione degli artt. 61 e 62 disp. att. trans. c.c. e 1117 cc. e cioè che in realtà dalla ctu risulta che le parti dell’attuale condominio sono distinte e facilmente identificabili e la divisione non creerebbe problemi nella gestione delle parti comuni inoltre, affermano che il calcolo del quorum operato dalla Corte d’appello viola la prescrizione dell’articolo 1117 c.c., avendo essa escluso che la collocazione di un immobile nella proiezione verticale di altro condominio possa essere operata sulla base della presenza di scale, ingresso e androni necessari ad accedere allo stesso. La censura circa l’errato calcolo del quorum, trattata dalla Corte in via preliminare, viene disattesa. In primis viene rilevato che si tratta di un accertamento di fatto operato dal giudice di merito - il quale ha rilevato che l’unità in questione, pur accedendo dal condominio indicato con il numero 3, va poi a svilupparsi in direzione verticale nel condominio indicato con il numero 4 - nell’ambito dell’indagine volta a verificare la presenza di autonomia strutturale delle parti ai fini della divisione del condominio in via giudiziale. Secondo i ricorrenti, la presenza di parti comuni quali scale, androne, ingresso etc. deve portare a includere l’immobile nel condominio cui le dette parti appartengono. Ma, sfugge a tale prospettazione, rileva la Corte, la circostanza che tale valutazione qui è operata nel momento in cui il condominio è ancora unico, non diviso, con la conseguenza che ogni singola unità immobiliare ivi inclusa può vantare diritti di comunione sui beni rientranti nel novero di cui all’articolo 1117 c.c. laddove posti a servizio della stessa”. Sfugge invece ai ricorrenti, osserva la Corte che in caso di divisione le conclusioni dovrebbero essere diverse operata la divisione in fase di merito - con accertamento di fatto non più censurabile in grado di legittimità sull’argomento v. Cass. 16385/2018, richiamata più avanti - sulla base correttamente di caratteristiche strutturali, e, dunque, fatto rientrare l’immobile nel condominio soprastante numero 4 e non in quello da cui avviene l’accesso numero 3 , quelle parti non sarebbero più oggetto di diritto di comunione ex articolo 1117 c.c., ma al più, nel perdurare di tale utilizzo, di diverso regime giuridico, quale ad es. quello fondato sul diritto di servitù infatti, ciò che rileva, si osserva, ai fini che qui interessano, è unicamente l’appartenenza o meno del bene ad un determinato edificio”. Per sciogliere un condominio, serve una autonomia strutturale, non solo amministrativa. Passando alla questione della corretta divisione del condominio, la Corte ribadisce il constante orientamento giurisprudenziale che a partire da Cass. numero 1964/1963 richiede, ai fini dello scioglimento del condominio di un edificio o di un gruppo di edifici in condomini separati, che questi abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, per quanto possano continuare ad essere serviti da parti comuni insieme con gli originari partecipanti. Non può quindi bastare una divisione meramente amministrativa più che ad un concetto di gestione, il termine ‘edificio’ va riferito alla costruzione” principio già affermato da Cass. 21686/2014, richiamata più avanti . Con la sola eccezione, ammessa dall’articolo 62 comma 1, della permanenza di parti comuni originarie a tutti gli edifici risultanti dalla divisione parti comuni definite come destinate in modo permanente al servizio generale e alla conservazione dell’immobile, riguardo sia nel suo complesso unitario che nella separazione di edifici autonomi”. In tal caso, la disciplina dell’uso di dette parti potrà essere oggetto di specifici accordi tra i condomini. Al di fuori di tale eccezione, ove la divisione comporti interferenze strutturali più gravi, interessanti la sfera giuridica di altri condomini, con imposizioni di limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, è da escludersi che l’edificio all’esito della divisione possa avere autonomia strutturale. La sentenza richiama poi la recente decisione della Corte numero 27507/2011, con la quale si è ribadito che la divisione può essere disposta dal giudice solo qualora il complesso possa essere diviso senza la necessità di modifica dello stato dei luoghi tramite ristrutturazione in tal caso operando il diverso disposto di cui all’articolo 62 su cit. . Ribadisce poi la Corte come l’assenza di autonomia strutturale prescritta dalla legge non possa essere sopperita dalla creazione di nuove tabelle millesimali, realizzando così una mera divisione amministrativa. La Corte poi esclude la pertinenza del richiamo al precedente di cui Cass. numero 4439/1982, relativo ad un caso di unione, mediante abbattimento di un muro, di due unità dello stesso proprietario e successiva divisione del condominio, dove si affermava che, dato il carattere ricognitivo dello scioglimento del condomino ex artt. 61 e 62, con la divisione del condominio, quel condomino possa ritenersi obbligato a ripristinare la separazione ovvero autore di un’indebita imposizione di servitù, salvo che non si dia prova dell’esistenza di un unico edificio. I due casi non sono assimilabili, osserva la Corte, in quanto in quello di specie non è data prova che la sovrapposizione delle unità immobiliari sia stata operata illegittimamente dopo la costruzione o non sia invece da ricondursi alla costruzione originaria e dunque alla volontà del costruttore di dare vita ad un edificio dove i corpi di fabbrica sono privi di autonomia. In assenza di tali prove non può discutersi circa la legittimità delle attuali costruzioni e dunque lo stato di fatto preclude la divisione del condominio. Ove diversamente si concludesse per la divisione delle singole unità, si imporrebbero alle proprietà individuali limitazioni incompatibili con i presupposti richiesti dalla legge per la divisione del condominio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 marzo – 3 settembre 2019, n. 22041 Presidente Oricchio – Relatore Criscuolo Ragioni in fatto ed in diritto 1. A.L.G. e R.E. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze gli altri condomini del condominio Palazzo A.L. deducendo di rappresentare oltre un terzo dei comproprietari previsto dall’art. 61 disp. att. c.c. e, poiché l’attuale consistenza condominiale era iniqua ed inutilmente complessa, imponendo la partecipazione dei condomini a spese per spazi e servizi da cui non traevano alcuna utilità, sebbene non potessero reputarsi comuni, chiedevano che, attesa l’autonomia strutturale dei vari corpi di fabbrica presenti nel condominio, fosse disposto lo scioglimento dello stesso condominio e la sua scomposizione in cinque unità autonome, provvedendosi in ogni caso a dichiarare la nullità delle tabelle millesimali attualmente applicate, in quanto errate e prive di fondamento ex art. 69 disp. att. c.c., provvedendosi alla stesura delle nuove tabelle e con il riconoscimento del diritto degli attori alla ripetizione delle somme indebitamente versate sulla scorta delle tabelle errate. Si costituivano A.L.C., P.P.F., C.C., C.L. e A.L.A. che si opponevano alla domanda, mentre gli altri convenuti restavano contumaci. Disposta CTU, il Tribunale adito con la sentenza n. del 23 aprile 2008 rigettava la domanda di scioglimento del condominio, stante l’accertata esistenza di compenetrazioni ed intersezioni tra le varie unità immobiliari, tali da comportare che le stesse sarebbero ricadute in due distinti condomini, attesa anche l’anomalia rappresentata dalla permanenza dei contatori dell’acqua e del gas di uno dei futuri condomini nell’androne di un altro condominio. Da ciò traeva altresì il corollario che la domanda relativa alle tabelle millesimali fosse assorbita dal rigetto della domanda principale. La Corte d’Appello di Firenze, sul gravame proposto dalle originarie parti attrici, rigettava l’impugnazione con la sentenza n. 1683 del 4 novembre 2013. In primo luogo osservava che, a fronte delle quattro possibili parti individuate dal CTU nelle quali il condominio attuale potrebbe essere ripartito, gli attori soddisfacevano il quorum richiesto dall’art. 61 disp. att. c.c., solo in relazione al cd. Condominio n. 1, in quanto per il Condominio n. 3 occorreva rilevare che l’appartamento dell’attrice avente accesso da tale condominio, in realtà si sviluppava in proiezione verticale nella parte del fabbricato denominata come Condominio n. 4, non potendo quindi essere presa in considerazione ai fini del detto quorum. In relazione alla decisione di rigettare la domanda di scioglimento, evidenziava che dal supplemento di CTU era emerso che dalla separazione del corpo di fabbrica sarebbe derivato che ben otto unità immobiliari del Condominio n. 1 sarebbero venute a ricadere in due distinti condomini, con una evidente situazione di interferenze e sovrapposizioni, che preclude l’ipotizzabilità di essere al cospetto di edifici autonomi. Nè tale inconveniente potrebbe essere superato adducendo la possibilità di predisporre adeguate tabelle millesimali, che non potrebbero mai ovviare alla carenza di autonomia strutturale. In merito alla domanda di nullità delle tabelle millesimali, ancorché fosse erronea la conclusione del Tribunale circa il carattere accessorio rispetto alla domanda di scioglimento del condominio, doveva rilevarsi che le tabelle vigenti erano state approvate all’esito della Delib. 14 marzo 1995, all’unanimità dei presenti. Una volta esclusa, alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite, la necessità dell’unanimità dei condomini per approvare le tabelle, essendo sufficiente anche la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, era carente l’allegazione posta a supporto della domanda, mancando la puntuale individuazione delle ragioni per le quali i valori millesimali di cui alla tabella sarebbero errati e non corrispondenti all’effettivo assetto proprietario. Infine era accolto l’appello incidentale in punto di spese, non potendosi reputare corretta la decisione del Tribunale di compensare le spese tra le parti, e dovendo essere invece poste, unitamente a quelle del grado di appello, a carico degli appellanti. 2. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso A.L.G. e R.E., sulla base di un motivo. A.L.C., P.P.F., C.C. e C.L. hanno resistito con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza. 3. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. e dell’art. 1117 c.c Si deduce che le indagini del consulente tecnico d’ufficio avevano evidenziato la presenza di singoli corpi di fabbrica all’interno dell’attuale condominio, essendosi altresì evidenziato che il fabbricato era frutto dell’aggregazione di distinti corpi di fabbrica, facilmente identificabili, come riscontrabile anche dall’andamento delle falde di copertura e dalla tipologia delle facciate, avendo altresì aggiunto che la divisione proposta non avrebbe creato problemi nella gestione delle parti comuni. La soluzione del giudice di merito contrasta evidentemente con quanto accertato dal CTU e contravviene alla previsione normativa, anche per quanto attiene al mancato riconoscimento in capo agli attori del quorum necessario per addivenire allo scioglimento in relazione al Condominio n. 3, violando in tal modo l’art. 1117 c.c., laddove ha escluso che l’utilizzo delle scale, dell’ingresso e degli androni per accedere all’unità immobiliare della ricorrente, che si assume far parte del Condominio n. 3, sia risolutivo rispetto alla collocazione dell’appartamento nella proiezione verticale di altro condominio. Si deduce altresì che, quale effetto della riforma della sentenza gravata, dovrebbe determinarsi la perdita di efficacia ex art. 336 c.p.c., delle statuizioni in punto di spese di lite. 4. Il motivo è infondato. Preliminarmente deve essere disattesa la censura di parte ricorrente quanto alla mancata considerazione ai fini del riconoscimento del quorum previsto dall’art. 61 disp. att. c.c., della titolarità in capo alla A.L.G. di un appartamento ubicato nel fabbricato individuato come Condominio n. 3, e ciò in ragione del fatto che in realtà la sua proiezione verticale interesserebbe in prevalenza la parte del fabbricato denominato, sempre nell’elaborato peritale, come Condominio n. 4. Rileva in tal senso che la doglianza investe precipuamente un accertamento in fatto operato dal giudice di merito che proprio in relazione alla necessaria indagine finalizzata a verificare l’autonomia degli edifici, presupposto necessario, come si avrà modo di esporre oltre, per addivenire all’accoglimento della domanda di scioglimento del condominio, ha riscontrato che l’unità immobiliare di cui al motivo di ricorso, sebbene avente anche accesso dalle parti comuni del fabbricato denominato Condominio n. 3, nella realtà faceva parte di un diverso edificio, destinato, secondo la prospettazione dell’ausiliario d’ufficio, a dare vita ad un diverso condominio, con la conseguenza che dal computo dei condomini dell’edificio di cui si chiede la separazione, ed in relazione al Condominio n. 3 non poteva tenersi conto del bene in esame. La contraria deduzione di parte ricorrente evidenzia che nel novero dei beni comuni ex art. 1117 c.c., rientrano anche le scale, gli ingressi, gli androni ecc., così che il bene che ne usufruisce in concreto non può che considerarsi incluso nel condominio. L’errore che risiede in tale prospettazione parte in primo luogo dal fatto di avere riguardo a quella che è la situazione attuale di unitarietà dell’intero condominio del palazzo A.L., con la conseguenza che ogni singola unità immobiliare ivi inclusa può vantare diritti di comunione sui beni rientranti nel novero di cui all’art. 1117 c.c., laddove posti a servizio della stessa. Trascura però di considerare la diversa conclusione alla quale dovrebbe approdarsi all’esito dello scioglimento del condominio, in quanto, avendo i giudici di merito accertato con verifica in fatto, non suscettibile di rivisitazione in questa sede, che l’unità immobiliare de qua in realtà appartiene al corpo di fabbrica denominato come Condominio n. 4 da parte del CTU, le scale, l’androne e l’ingresso del diverso condominio n. 3 non rientrerebbero più tra i beni comuni sui quali l’appartamento in questione possa vantare diritti ex art. 1117 c.c., potendo se del caso riconoscersi un perdurante diritto alla loro fruizione sulla base di un diverso regime giuridico, quale ad esempio quello fondato sull’esistenza di un diritto di servitù, occorrendo infatti avere riguardo ai fini che interessano, unicamente alla appartenenza o meno del bene ad un determinato edificio. Disattesa tale censura, va altresì escluso che ricorra la dedotta violazione delle norme in tema di scioglimento del condominio. A tal fine deve farsi richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte che, già a far data da Cass. n. 1964/1963, ha affermato che a norma degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., lo scioglimento del condominio di un edificio o di un gruppo di edifici, appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi, in tanto può dare luogo alla costituzione di condomini separati, in quanto l’immobile o gli immobili oggetto del condominio originario, possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, quand’anche restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’art. 1117 c.c Il tenore della norma, riferito all’espressione edifici autonomi esclude di per sé che il risultato della separazione si concreti in un’autonomia meramente amministrativa, giacche, più che ad un concetto di gestione, il termine edificio” va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, dev’essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola estensione che può consentirsi a tale interpretazione è quella prevista dall’art. 62 citato, il quale fa riferimento all’art. 1117 c.c. parti comuni dell’edificio in quanto destinate in modo permanente al servizio generale e alla conservazione dell’immobile, riguardato sia nel suo complesso unitario che nella separazione di edifici autonomi . In questo ultimo caso, l’istituzione di nuovi condomini non è impedita dalla permanenza, in comune delle cose indicate dall’art. 1117, la cui disciplina d’uso potrà formare oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri relativi. Al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo espressamente previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare non può attuarsi se non mediante interferenze ben più gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condomini, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, è da escludere, in tale ipotesi che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa. Trattasi di principi assolutamente condivisibili e che sono stati ripresi anche dalla più recente giurisprudenza che ha ribadito che Cass. n. 27507/2011 l’autorità giudiziaria può disporre lo scioglimento di un condominio solo quando il complesso immobiliare sia suscettibile di divisione, senza che si debba attuare una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, mentre, laddove la divisione non sia possibile senza previa modifica dello stato delle cose mediante ristrutturazione, lo scioglimento e la costituzione di più condomini separati possono essere approvati soltanto dall’assemblea con un numero di voti che sia espressione di due terzi del valore dell’edificio e rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio. In termini si veda anche Cass. n. 21686/2014 che ha affermato che l’espressione edifici autonomi , non consente di accedere all’esito interpretativo secondo cui il risultato della separazione si possa concretizzare in una autonomia meramente amministrativa, giacché, più che ad un concetto di gestione, il termine edificio va riferito ad una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, deve essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. Resta quindi preclusa la possibilità di attuare la separazione in caso di interferenze gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condomini, alla cui proprietà verrebbero ad imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, in quanto ciò porta ad escludere che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa. Infine, tali principi hanno ricevuto ulteriore conferma da Cass. n. 16385/2018 che ha precisato come l’indagine circa la natura autonoma o meno degli edifici scorporandi dall’unitario condominio costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Poste tali doverose premesse in diritto, reputa il Collegio che la sentenza impugnata abbia fatto corretta applicazione dei principi suesposti e che la censura di parte ricorrente miri nella sostanza a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze fattuali in contrasto con i limiti posti al sindacato di legittimità. La gran parte del motivo riporta, infatti, le conclusioni del CTU nominato in corso di causa, sottolineandosi come lo stesso avesse individuato, in relazione all’attuale condominio, dei distinti corpi di fabbrica, che assumeva fossero anche facilmente identificabili, aggiungendo che la soluzione della divisione non avrebbe creato problematiche nella gestione delle parti comuni. Tale giudizio di divisibilità è stato però contraddetto dalla sentenza gravata la quale, conformemente a quanto già opinato dal giudice di primo grado, ha evidenziato che, secondo quanto emergeva dallo stesso supplemento di CTU pagg. 9-11 , addivenendosi alla creazione del Condominio n. 1, ben otto unità immobiliari sarebbero venute a ricadere in due distinti condomini. Trattasi di una situazione fattuale che denota come in realtà non possa ravvisarsi, in mancanza di più precise indicazioni provenienti da parte ricorrente circa le ragioni che abbiano portato tali unità immobiliari ad essere compenetrate in quelli che il CTU reputa essere diversi edifici, il connotato dell’autonomia per i condomini che scaturirebbero aderendo alle conclusioni del CTU, il quale, peraltro, ben consapevole della circostanza valorizzata dal giudice di appello ha ritenuto che cfr. pag. 13 del ricorso ove si riportano stralci della CTU , la reale condivisione di varie unità immobiliari potrebbe essere gestita tramite adeguate tabelle millesimali. In tal modo però si contravviene apertamente alla nozione di autonomia che è richiesta dalle norme in esame che è propriamente quella strutturale, alla quale non può derogarsi, come nel caso di adozione di adeguate tabelle millesimali per regolare la coesistenza di varie unità immobiliari all’interno di due edifici, accontentandosi di un’autonomia meramente amministrativa o contabile. Nè appare pertinente rispetto alla vicenda in esame quanto affermato da Cass. n. 4439/1982, secondo cui, dato il valore di atto ricognitivo dello scioglimento del condominio di edificio, secondo la previsione degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., con la costituzione di condomini separati per le parti di detto edificio che presentino i connotati di autonomi e distinti edifici, il singolo condomino, che quale proprietario di più appartamenti, ricadenti per l’avvenuto scioglimento in edifici distinti, li abbia unificati abbattendo un muro divisorio prima dello scioglimento stesso, possa ritenersi obbligato alla separazione degli appartamenti medesimi, ovvero autore di un’indebita imposizione di servitù, per il fatto di continuare ad utilizzare determinate cose comuni di ciascun distinto edificio per l’intera sua proprietà esclusiva, salvo che ricorra la dimostrazione dell’insussistenza della distinzione degli edifici, e la ricorrenza, in realtà, di un unico edificio, in quanto nel caso in esame non è dimostrato che la condizione di sovrapposizione delle unità immobiliari sia frutto di una condotta illegittima dei proprietari delle singole unità stesse, o se piuttosto non risalga alle originarie modalità costruttive dell’edificio, che invece denoterebbe in maniera evidente la volontà di far perdere ai vari corpi di fabbrica la connotazione dell’autonomia. Ne discende quindi che, non potendosi discutere circa la legittimità della condizione attuale dei fabbricati trattandosi in ogni caso di questione che esula dal novero di quelle solevate dai ricorrenti , la permanenza dello stato di fatto attuale e quindi della sovrapposizione in più condomini delle medesime unità immobiliari preclude il riconoscimento del carattere dell’autonomia degli edifici, mentre ove si opinasse per addivenire alla separazione degli appartamenti, al fine di ricondurli nelle proiezioni verticali dei vari edifici, si verrebbero in tal modo ad imporre alle proprietà individuali delle limitazioni che appaiono incompatibili con i presupposti che la legge richiede per addivenire allo scioglimento del condominio. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. 5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla a disporre quanto agli intimati che non hanno svolto attività difensiva in questa fase. 6. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.