Per i canali di gronda e i pluviali discendenti dal tetto si deve rispettare la distanza di almeno un metro

Per i tubi d’acqua e loro diramazioni deve osservarsi la distanza dal confine di almeno un metro, si fonda su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette prova contraria. Questo vale anche per i canali di gronda e i pluviali discendenti dal tetto.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 14273/19, depositata il 24 maggio. Il caso. Due comproprietari di un fabbricato chiamavano in giudizio i proprietari di un terreno confinante per sentirli condannare all’abbattimento del timpano eseguito in sopraelevazione del fabbricato confinante, all’arretramento dello sporto di gronda e al ripristino dello stato precedente del terreno, nonché al risarcimento del danno, poiché tali opere erano state realizzate senza il rispetto delle orme in tema di distanza dai confini e tra fabbricati. I convenuti sostenevano che le opere erano state realizzate in conformità ai titoli autorizzatori rilasciati dal Comune. Dopo i primi due gradi di giudizio che vedevano rigettare in parte la domanda attorea, si giunge in Cassazione. Il rispetto delle distanze di confine. In proposito, intervenuta la Suprema Corte sul caso, essa ribadisce che la sopraelevazione, anche se di dimensioni ridotte, comporta sempre un aumento del volume e della superficie di ingombro e dunque va considerata come nuova costruzione. Per quanto riguarda, poi, il rispetto delle distanze tra confini, il Collegio ricorda che, in tema di distanze per impianti del fondo contiguo, l’art. 889, comma 2, c.c., secondo cui per i tubi d’acqua e loro diramazioni deve osservarsi la distanza dal confine di almeno 1 metro, si fonda su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette prova contraria. Da ciò deriva che anche i canali di gronda e i pluviali discendenti dal tetto dello stabile, come nel caso in esame, devono essere equiparati alle colonne di scarico. Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 gennaio – 24 maggio 2019, n. 14273 Presidente D’Ascola – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione del 30.6.2008 B.R. e P.A. , comproprietari di un fabbricato sito in , evocavano in giudizio inannzi il Tribunale di Busto Arsizio la R. Snc, R.P. , D.V.C. e R.P.C. per sentirli condannare all’abbattimento del timpano eseguito in sopraelevazione del fabbricato confinante, all’arretramento dello sporto di gronda e del pluviale di gronda creato a servizio della nuova conformazione del tetto, al ripristino dello status quo ante e delle preesistenti quote dei terreni, nonché al risarcimento del danno, sul presupposto che tutte le opere denunciate fossero state eseguite in violazione delle norme in tema di distanza dai confini e tra i fabbricati. Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda e sostenendo la liceità di quanto da loro realizzato in conformità ai titoli autorizzatori ottenuti dal Comune di . Con sentenza n. 656/2012 il Tribunale respingeva tutte le domande condannando gli attori alle spese del grado. Interponevano appello questi ultimi e la Corte di Appello di Milano, con la sentenza impugnata n. 3528/2015 accoglieva in parte il gravame condannando la sola R. Snc a convogliare le acque meteoriche provenienti dal tetto dello stabile di sua proprietà in conformità al regolamento di igiene della Regione Lombardia respingeva invece gli altri motivi di appello compensando le spese del grado. Propongono ricorso avverso detta decisione B.R. e Br.Am. affidandosi a tre motivi, il primo dei quali articolato in due distinti profili. Resiste con controricorso la R. Snc. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione Con la prima censura, contenuta alla lettera B del primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perché la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che la realizzazione del timpano sul tetto dello stabile della società resistente non costituisse nuova costruzione, posto che la C.T.U. aveva accertato che l’opera era alta cm.257 e che qualsiasi opera non completamente interrata aventi requisiti di stabilità, indipendentemente dalla sua utilizzabilità a fini abitativi e dalla sua altezza, va ritenuta nuova costruzione e come tale va assoggettata alle prescrizioni di cui all’art. 873 c.c La doglianza è fondata. In proposito, va ribadito il principio secondo cui La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6809 del 24/05/2000, Rv.536871 conf. Sez. 3, Sentenza n. 21059 del 01/10/2009, Rv.609586 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15732 del 15/06/2018, Rv.649409 . La Corte di Appello ha quindi erroneamente valorizzato il fatto che il nuovo volume derivante dalla sopraelevazione oggetto di causa non possedesse i requisiti di abitabilità ed accessibilità, senza considerare che . rientra nel concetto di nuova costruzione qualsiasi modifica della volumetria di un fabbricato preesistente che comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, in guisa da incidere direttamente sulla situazione di distanza tra edifici, indipendentemente dalla sua utilizzabilità ai fini abitativi Cass. 24.6.1996, n. 5828 cfr., in motivazione, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 400 del 12/01/2005 . Con la seconda parte del primo motivo, identificata dalla lettera C cfr. pag.26 del ricorso , i ricorrenti lamentano un ulteriore profilo di violazione e falsa applicazione art. 873 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perché la Corte di Appello avrebbe dovuto applicare la norma sulle distanze anche alla gronda, che era stata prolungata in conseguenza della modifica del tetto e posta, nella parte nuova, a distanza dal confine, inferiore a quella legale. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione art. 889 c.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perché la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che anche lo sporto di gronda era stato prolungato per effetto della modifica realizzata al tetto dello stabile della società controricorrente e posto a soli 28 cm. dal confine tra i lotti, in violazione della distanza minima di un metro imposta dall’art. 889 c.c Le due censure, che vanno trattate congiuntamente in quanto ambedue relative alla distanza dal confine dei canali di scarico delle acque piovane dell’edificio della società contro ricorrente, sono fondate nei limiti di cui infra. Va invero ribadito, sul punto, il principio secondo cui In tema di distanze per impianti dal fondo contiguo la disposizione dell’art. 889 c.c., comma 2, secondo cui per i tubi d’acqua pura o lurida e loro diramazioni deve osservarsi la distanza dal confine di almeno un metro, si fonda su una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contraria Cass. Sez.2, Sentenza n. 2558 del 02/02/2009, Rv.606601 Cass. Sez.6-2, Ordinanza n. 20046 del 30/07/2018, Rv.650075 . Proprio in virtù della ritenuta presunzione assoluta di dannosità, con i precedenti appena richiamati questa Corte ha sancito la completa equiparazione dei canali di gronda e dei pluviali discendenti dal tetto dello stabile alle colonne di scarico. Di conseguenza, la Corte di Appello ha erroneamente escluso cfr. pagg.4-5 della sentenza impugnata dall’ambito di applicazione dell’art. 889 c.c. il canale di gronda e i pluviali di scarico realizzati dalla società controricorrente in diretta conseguenza dell’intervento di sopraelevazione e di modifica della sagoma del tetto dell’edificio di cui è causa. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perché la Corte territoriale non avrebbe considerato i diversi documenti elencati nel corpo della censura, che avrebbero dovuto condurla ad una decisione opposta rispetto a quella in concreto raggiunta dalla Corte ambrosiana mediante una acritica adesione alle risultanze della C.T.U La doglianza risulta sostanzialmente accolta in parte qua, e precisamente nella parte interessata dall’accoglimento dei primi due motivi del ricorso. Spetterà peraltro al giudice del rinvio, alla luce dei principi enunciati da questa Corte, riesaminare nel merito la fattispecie e gli elementi di prova acquisiti agli atti del giudizio al fine di verificare la sussistenza, o meno, della lesione delle norme in tema di distanze lamentata dagli odierni ricorrenti. In definitiva, il ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censure accolte. La causa va di conseguenza rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per le spese del presente giudizio di Cassazione. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.