Differenza tra luce e veduta: è l’affaccio a fare la differenza

Affinché si possa parlare di veduta, e non di semplice luce, occorre che sia presente non solo la possibilità della inspectio, ma anche quella della prospectio.

Questo il principio di diritto espresso nella ordinanza della Suprema corte in commento, n. 14091/19, depositata il 23 maggio. Il caso, in particolare, era sorto poiché un condomino si era rivolto al Tribunale di Bari chiedendo la demolizione o l’arretramento, poiché non a distanza regolamentare, di alcuni volumi edilizi realizzati in sopraelevazione sul lastrico solare preesistente allo stabile. La domanda veniva respinta con sentenza poi confermata nel successivo giudizio di appello. Le vedute si differenziano dalle luci per la possibilità di visione laterale e non solo frontale sul fondo del vicino. I giudici del merito, in particolare, rilevavano che la natura del manufatto in questione, come da accertamento reso dal CTU nel corso del giudizio, era quello di porta e non di finestra questo in quanto la sua funzione essenziale risultava quella di rendere possibile l’accesso e non, viceversa, quella di affacciarsi, ovvero oltre che di inspicere anche di prespicere. Trattandosi di porta e non di veduta, pertanto, secondo i giudici non si applicava la distanza, minima, di dieci metri imposta dal regolamento comunale che avrebbe, in caso contrario, giustificato la domanda degli attori. Avverso tale decisione proponeva ricorso il soccombente nei precedenti gradi di giudizio. Spetta al giudice di merito e non a quello di legittimità stabilire la natura di veduta o di luce di una apertura. La Cassazione, a sua volta, respingeva i vari motivi di gravame rilevando anzitutto come spetti al giudice del merito, e non a quello della legittimità, lo stabilire se una porta oltre a dare accesso ad un locale assolva anche, o no, alla funzione di assoggettare il fondo vicino ad una visione completa, ossia obliqua e laterale. In ogni caso, prosegue la Corte, nel giudizio sottoposto alla sua attenzione il Tribunale ha escluso, in base alle risultanze della CTU, che la porta in oggetto potesse qualificarsi anche come veduta, in quanto mancava la possibilità della prospectio, e cioè sia lo sguardo frontale che laterale sul fondo del vicino. Per quanto riguarda le porte finestrate, in particolare, ricordava ancora la Suprema corte come siano tali solo quelle che presentino finestre qualificabili come vedute e non come semplici luci. Il principio di diritto è quindi quello ben noto per cui l’obbligo nelle costruzioni di osservare determinate distanze sussiste solo qualora si sia in presenza di vedute e non di luci nel caso di specie, pertanto, trattandosi di luci e non di vedute correttamente il tribunale ha respinto il ricorso non ritenendo sussistente il requisito della distanza regolamentare di dieci metri invocata dagli attori.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 14 gennaio – 23 maggio 2019, n. 14091 Presidente Oricchio – Relatore Varrone Fatti di causa 1. Con atto di citazione del 2 dicembre 2003 i coniugi B. -I. , in qualità di comproprietari di un’unità immobiliare ubicata in uno stabile in omissis , convenivano in giudizio F.D. , proprietario del frontistante fabbricato, lungo la medesima via pubblica al numero 22, per sentirlo condannare a demolire o arretrare i volumi edilizi realizzati in sopraelevazione sul lastrico solare preesistente allo stabile, in quanto posti a distanza inferiore a quella regolamentare 10 mt. rispetto alla facciata del proprio stabile. 2. Il Tribunale, dopo la costituzione del convenuto e lo svolgimento dell’istruttoria anche mediante espletamento di CTU, rigettava la domanda attorea con condanna alle spese. 3. Avverso tale decisione proponevano impugnazione gli attori. 4. La Corte d’Appello rigettava l’impugnazione, evidenziando che la questione aveva ad oggetto la natura di porta o finestra dell’apertura esistente sulla parete dell’immobile della parte appellante, in quanto nel primo caso, la sopraelevazione non sarebbe stata assoggettata al rispetto delle distanze di metri 10 dallo stabile frontistante come imposta dal regolamento comunale ivi vigente, mentre, nel secondo caso, dovendosi applicare tale disciplina, la sopraelevazione avrebbe dovuto essere demolita, per il mancato rispetto della distanza minima prevista. Dall’istruttoria era emerso che la porta finestra consisteva in una porta a struttura metallica, con vetrata trasparente, che da un vano originariamente qualificato come soffitta consentiva l’accesso ad un terrazzino di forma trapezoidale. Da tale conformazione dei vani, oltre che dalle caratteristiche dell’apertura, il CTU era pervenuto alla conclusione che la più volte citata portafinestra fosse una porta piuttosto che una finestra e, negli stessi termini, si era espresso anche l’ufficio tecnico comunale in una nota redatta proprio al fine di replicare alla diffida stragiudiziale fatta pervenire a quell’ufficio dal legale degli odierni appellanti, con la richiesta di revoca, in quanto illegittima, della concessione edilizia rilasciata al F. per la sua sopraelevazione. Sulla base di tali indicazioni il Tribunale, dunque, era pervenuto correttamente alla conclusione che la portafinestra del F. fosse essenzialmente una porta avendo la funzione essenziale di rendere possibile l’accesso al terrazzino e non quella di affacciarsi, ovvero oltre che di inspicere anche di prospicere art. 900 c.c. . Rispetto a tale funzione essenziale era del tutto secondario che il pannello della portafinestra fosse stato realizzato in vetro piuttosto che in comune materiale legnoso o metallico, e che, dunque, consentisse al proprietario anche di prospicere verso l’esterno oltre che di ricevere luce. Infatti, tale beneficio supplementare, realizzato dal proprietario mediante l’impiego di una vetrata, non alterava la caratteristica funzionale effettiva della porta che era quella di assicurare l’accesso al terrazzino, come reso palese dalla considerazione che se non vi fosse stata tale chiusura mobile non sarebbe stato possibile neanche uscire sul terrazzino. 5. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione B.C. e I.A. sulla base di tre motivi di ricorso. 6. F.D. ha resistito con controricorso. 7. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 869, 871, 872, 873, 900, 901, 905, 906 e 907 c.c., nonché del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, dell’art. 2, comma 18, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Bitetto, in relazione all’art. 360, n. 3 - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nullità della sentenza per omesso insufficiente contraddittoria motivazione art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, e all’art. 111 Cost Il ricorrente evidenzia che per pareti finestrate, ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, devono intendersi non soltanto le pareti munite di vedute, ma più in generale le pareti munite di aperture di qualsiasi genere verso l’esterno quali porte, balconi e finestre di ogni tipo. In ogni caso la portafinestra, anche se considerata come una porta, consentiva di inspicere e di prospicere e consentiva non solo l’accesso al ballatoio esterno ma anche al terrazzino mediante una scala e, pertanto, non poteva che essere considerata come veduta. In tal senso, la parte ricorrente richiama la giurisprudenza amministrativa e di merito sull’equiparazione di qualsiasi apertura verso l’esterno alle vedute, concludendo che l’esistenza di un’apertura sulla parete, da considerarsi appunto veduta, impediva l’edificazione della sopraelevazione del frontistante edificio realizzato dal F. a distanza inferiore ai 10 mt. 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 869, 871, 872, 873, 900, 901, 905, 906 e 907 c.c., nonché del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, dell’art. 2, comma 18, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Bitetto, in relazione all’art. 360, n. 3 - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, 3 all’art. 111 Cost Il ricorrente ritiene che, anche volendo accedere alla tesi secondo la quale l’esistenza di una veduta è indispensabile al fine dell’applicabilità del divieto di cui al D.M. n. 1144 del 1968, art. 9, si deve considerare che secondo la Corte di Cassazione le porte possono essere anche destinata alle vedute e devono essere considerate tali quando risulti da elementi non equivoci la funzione di consentire il passaggio della luce e dell’aria con l’affaccio sul fondo del vicino Cass. n. 763 del 1976 e altre . L’apertura dell’immobile degli odierni ricorrenti non può, pertanto, essere considerata una porta, non avendo la sola ed esclusiva funzione di accedere al terrazzino. Essa, infatti, consente oltre alla possibilità di inspicere anche quella di prospicere e, quindi, di affacciarsi frontalmente o lateralmente, dunque la conformazione della porta scorrevole in vetro preesistente la sopraelevazione, rende la stessa una vera e propria veduta dalla quale è possibile, senza neppure l’apertura della medesima, guardare di fronte e lateralmente. E anche a prescindere dal materiale vetro o altro non trasparente rimarrebbe la funzione di veduta consentendo l’accesso a una scaletta che dalla giurisprudenza è stata anch’essa ritenuta veduta. 3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 869, 871, 872, 873, 900, 901, 905, 906 e 907 c.c., nonché del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, dell’art. 2, comma 18, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Bitetto, in relazione all’art. 360, n. 3 - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nullità della sentenza per omesso insufficiente contraddittoria motivazione art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, e all’art. 111 Cost Secondo il ricorrente, quand’anche si volesse considerare che la portafinestra consenta solo l’inspectio sul fondo del vicino e non la prospectio, si dovrebbe comunque ritenere sussistente la violazione, perché ciò che caratterizza la veduta è la possibilità di avere una visuale agevole sul fondo del vicino e, dunque, anche qualora mancasse il requisito dell’affaccio non sarebbe esclusa la configurabilità della veduta mediante la semplice inspectio. Una volta stabilito trattarsi di una veduta non si può dire che la stessa costituisca un beneficio supplementare rispetto a quello di inspicere attraverso la vetrata verso l’esterno, costituendo invece un elemento essenziale che caratterizza la veduta. 4. Il quarto di motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 869, 871, 872, 873, 900, 901, 905, 906 e 907 c.c., nonché del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, dell’art. 2, comma 18, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Bitetto, in relazione all’art. 360, n. 3 - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nullità della sentenza per omesso insufficiente contraddittoria motivazione art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, 3 all’art. 111 Cost La Corte d’Appello avrebbe omesso completamente di considerare che, secondo la giurisprudenza, non si può escludere che in concreto una porta e, in particolare, il tipo che si indica come portafinestra possa dar luogo a veduta quando per chiari ed univoci segni e per la specifica situazione di fatto risulti normalmente destinata all’esercizio della veduta. Anche nella sentenza impugnata si riconosce che la porta assicurava anche la funzione di inspicere, erroneamente qualificando tale funzione come un beneficio supplementare non idoneo ad alterare la caratteristica funzionale della porta. 5. I quattro motivi di ricorso che possono essere trattati unitariamente, stante la loro intima connessione, sono infondati. 5.1 In primo luogo, deve affermarsi l’infondatezza dei motivi di ricorso rubricati in relazione all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e alla nullità della sentenza per omesso insufficiente contraddittoria motivazione art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, 3 all’art. 111 Cost Nella specie il fatto storico decisivo per il giudizio è stato esattamente inquadrato dalla Corte d’Appello e consiste nella qualificazione come veduta della porta che immette sul terrazzino di proprietà dei ricorrenti B. -I. . Non vi è stato, pertanto, alcun omesso esame di un fatto storico da parte del giudice del gravame e il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360, n. 4, è rilevabile solo in caso di motivazione apparente o inesistente. Nella specie, invece, la sentenza motiva in modo puntuale e dettagliato circa la natura dell’apertura in oggetto come porta piuttosto che come finestra. 5.2 I quattro motivi, nella restante parte, riguardano, da un lato, l’erronea qualificazione giuridica che la Corte d’appello ha dato all’apertura esistente nella costruzione dei ricorrenti e, dall’altro, l’erronea applicazione delle norme in materia di distanze. Le doglianze sono infondate sotto entrambi i profili. Giova premettere che secondo il consolidato indirizzo di Questa Corte, affinché sussista una veduta, a norma dell’art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale Cass. S.U. n. 10615 del 1996 e successive conformi . Ciò posto, va ulteriormente specificato che le porte, essendo destinate in generale all’accesso ai locali e all’uscita da essi, non rientrano nella categoria delle aperture , -considerate dagli artt. 900 c.c. e segg., che hanno invece la funzione di consentire il passaggio della luce e dell’aria, o di affacciarsi sul fondo vicino possono dunque avere dimensioni e caratteristiche diverse da quelle che l’art. 901 c.c. prescrive per le luci, ed essere aperte senza rispettare le distanze prescritte dagli artt. 905 e 906 c.c. per le vedute. Nondimeno le porte possono essere anche destinate alla veduta, e vedute devono essere considerate, ai fini delle citate norme, quando tale congiunta e stabile funzione che non può desumersi dal fatto che al momento della loro apertura e fino alla loro chiusura esse possano occasionalmente e fugacemente permettere di guardare nel fondo vicino risulti da elementi non equivoci, che il giudice del merito deve puntualmente accertare e verificare così, in motivazione, Cass. n. 8693/00 in senso conforme, fra le tante, v. Cass. n. 10603/90 . 5.2 Stabilire, pertanto, se una porta oltre a dare accesso ad un locale assolva anche la stabile e univoca funzione di assoggettare il fondo vicino ad una visione completa, ossia obliqua e laterale, costituisce accertamento di fatto rimesso al giudice di merito e sottratto, come tale, al sindacato di legittimità, ove sorretto da una motivazione sufficiente e scevra da vizi di logica giuridica. Nel caso specifico la Corte territoriale mostra di essersi attenuta a entrambi i principi innanzi richiamati, là dove, accertato il requisito dell’inspectio, ha escluso che la porta-finestra in oggetto potesse qualificarsi come veduta per difetto della possibilità di esercitare anche la facoltà di prospectio. La sentenza impugnata, pertanto, è conforme al seguente principio di diritto La porta-finestra che consenta la inspectio, ma non la prospectio, ossia lo sguardo frontale sul fondo del vicino, ma non lo sguardo obliquo e laterale, non integra veduta, sebbene permetta occasionalmente e fugacemente, nel momento dell’uscita, la visione globale e mobile del fondo alieno Sez. 6-2, Ord. n. 17950 del 2014 . 5.3 Anche con riferimento alla presunta violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 la sentenza è pienamente conforme alla giurisprudenza di legittimità. In particolare, si è ripetutamente affermato che per pareti finestrate secondo la definizione di cui alla norma citata devono intendersi esclusivamente le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette lucifere. In tal senso è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto L’obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, sicché la dizione pareti finestrate contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette lucifere. Cass. civ. Sez. II, 20/12/2016, n. 26383. 6. Il ricorso è rigettato, le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 8. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 5.200 di cui 200 per esborsi ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.