E’ valido il contratto che limita la sopraelevazione?

Questa volta si discute della validità del contratto con cui i confinanti avevano disciplinato il diritto di sopraelevazione. In particolare, ci troviamo di fronte ad un contratto, stipulato nel 2002, con cui i confinanti si erano concessi reciprocamente il diritto di sopraelevare ma fino ad una altezza massima di un metro.

Il patto era stato puntualmente disatteso per cui il vicino aveva denunciato l'avvenuta violazione delle norme in materia di distanze legali ed aveva chiesto al giudice civile di ordinare la demolizione delle opere asseritamente illegittime. Il giudice di merito respinge la domanda e la causa finisce sui banchi della cassazione. La scrittura è nulla? Il punto cruciale della vicenda consiste nello stabilire la validità della scrittura che aveva fissato un limite alle sopraelevazioni. Il contratto, secondo il ricorrente, sarebbe nullo in quanto si sarebbe posto in contrasto con le norme del piano regolatore che, in quell'area, vietava le sopraelevazioni. E non finisce qui. Il contratto avrebbe violato l'art. 873 c.c. in materia di distanze legali. La Cassazione, quindi, viene chiamata a tracciare l'ambito di applicazione del citato art. 873 c.c Il parere della Cassazione. La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 30 novembre 2018, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il successivo 14 marzo 2019, confermando il parere del giudice di merito, respinge il ricorso. L'art. 873 c.c. prescrive, letteralmente, che Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore . A questo punto si pone un problema l'articolo 873 c.c. può essere interpretato in materia estensiva fino a comprendere anche le sopraelevazioni? Porte sbarrate alla demolizione. Secondo la Cassazione, la norma in esame disciplina le distanze tra costruzioni nonché le distanze dal confine ma non è applicabile alle sopraelevazioni. Di conseguenza, richiamando l'art. 873 c.c., è possibile chiedere la demolizione delle opere realizzate in violazione delle distanze legali la sanzione demolitoria, viceversa, non può essere chiesta al giudice civile ove sia stata denunciata una violazione delle norme tecniche di attuazione che vietavano le sopraelevazioni. Le norme contenute nel piano regolatore dirette a vietare o, comunque, a porre dei limiti al diritto di sopraelevare, mirano a tutelare il pubblico interesse ad un corretto sviluppo del territorio cittadino ma ciò non incide sulle norme in materia di distanze. Il contratto con cui i vicini convengono di limitare reciprocamente il diritto di sopraelevare non comporta una deroga alla normativa in materia di distanze legali ex art. 873 c.c. per cui non può essere invocata la nullità del contratto per contrasto con le norme civilistiche in materia di distanze legali. Si tratta di violazioni urbanistiche. Per concludere la Cassazione ricorda che la violazione delle norme contenute nel piano regolatore che impongono una altezza massima dei fabbricati o che vietano le sopraelevazioni hanno un impatto urbanistico. Sotto il profilo edilizio ed urbanistico, l'eventuale violazione delle altezze può essere sanzionata con la demolizione. Sotto il profilo civilistico, invece, la violazione delle distanze può comportare solo un'azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno ex art. 872 c.c. .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 30 novembre 2018 – 14 marzo 2019, n. 7333 Presidente Orilia – Relatore Fortunato Fatti di causa S.T. ha adito il tribunale di Saluzzo, esponendo di essere proprietaria di talune unità immobiliari site in omissis , confinanti con gli immobili dei convenuti che, con scrittura privata del 25.10.2002, le parti si erano concesse reciprocamente il diritto di sopraelevare fino ad un’altezza non superiore ad un metro che tuttavia i convenuti avevano elevato la loro costruzione di mt. 1,55 sul fronte strada e di mt. 1,45 sul fronte cortile, in violazione delle distanze legali. Ha chiesto la demolizione delle opere illegittime e di essere autorizzata ad accedere al fondo dei convenuti per eseguire riparazioni indifferibili al proprio immobile. T.G. , A.I. , T.S. e Sc.Fe. hanno resistito alla domanda, spiegando riconvenzionale. Il Tribunale ha respinto la domanda principale di demolizione della sopraelevazione, con pronuncia confermata in appello. Il giudice distrettuale ha ritenuto che con la scrittura del 25.10.2002 fosse stata autorizzata la sopraelevazione dei manufatti preesistenti fino ad un’altezza di un metro da calcolare dal livello zero del piano stradale fino alla quota massima coincidente con il filo di gronda , rilevando che non vi erano evidenze di segno contrario rispetto all’individuazione dei piani di riferimento, come operata dal c.t.u. e che, tenuto conto della qualifica professionale dei contraenti, questi avessero inteso far riferimento ai criteri di misurazione dell’altezza usualmente adottati in edilizia. La cassazione di detta pronuncia è stata richiesta da S.T.A. sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria. T.G. , A.I. , T.S. e Sc.Fe. hanno depositato controricorso e memoria ex art. 380 bis1 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 lamentando che il giudice distrettuale non abbia considerato che la scrittura del 21.10.2002, consentendo la sopraelevazione di immobili ubicati nel centro storico, doveva ritenersi nulla per contrasto con le norme tecniche di attuazione del piano regolatore di omissis e delle prescrizioni inderogabili del D.M. n. 1444 del 1968, che imponevano il rispetto delle distanze e delle altezze preesistenti e che avevano valenza integrativa dell’art. 873 c.c Il motivo, nei termini in cui è formulato, non merita accoglimento. Le norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale imponevano, per la zona ove sono ubicati gli immobili, il divieto di costruzione oltre l’altezza già esistente cfr. norme tecniche pag. 64 conformemente alle previsioni di cui al D.M. n. 1444 del 1968, recepite dallo strumento urbanistico locale. A parere della ricorrente, la scrittura del 21.10.2002, consentendo la sopraelevazione, avrebbe quindi disatteso previsioni munite di valenza integrativa del disposto dell’art. 873 c.c Deve in contrario osservarsi che l’imposizione - contenuta nella norma locale - di un’altezza massima della costruzione da cui conseguiva il divieto di sopraelevare non poteva integrare le previsioni dell’art. 873 c.c. e non consentiva di disporre la demolizione, non imponendo una distanza minima in rapporto all’altezza dei fabbricati interessati. Secondo l’insegnamento di questa Corte, detta valenza integrativa della norme codicistica può riconoscersi solo alle disposizioni degli strumenti urbanistici che disciplinino la distanze come spazio che deve intercorrere tra le costruzioni, come distacco dal confine o in rapporto con l’altezza dei manufatti, perché solo queste ultime tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l’utilizzazione edilizia dei suoli privati, consentendo al privato di ottenere, in caso di loro violazione, la riduzione in pristino Cass. 1073/2009 Cass. 7384/2001 Cass. 12918/1991 . Per contro, i piani regolatori che contengano meri divieti di edificazione quale quello di sopraelevazione sono dettate esclusivamente per interessi pubblici, allo scopo di conservare la destinazione urbanistica di una determinata parte del territorio, e non concorrono a definire, in ambito locale, la disciplina delle distanze Cass. 2757/2001 Cass. 4343/1999 . La scrittura con cui le parti si erano concesse la facoltà di sopraelevare entro il limite massimo di un metro non contemplava quindi - alcuna inammissibile deroga all’art. 873 c.c. e alle relative disposizioni integrative locali, non potendo, per tali aspetti, ritenersi nulla per contrasto con una norma imperativa. Il divieto di sopraelevare in centro storico era suscettibile di determinare l’illegittimità della costruzione sotto il profilo urbanistico ma, ove disatteso, non autorizzava la riduzione in pristino chiesta dalla ricorrente, poiché, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2, la violazione delle norme di edilizia e di ornato pubblico autorizzano esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno Cass. 8532/2018 Cass. 5169/1985 . Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 3800,00 per compenso ed Euro 200,00per esborsi, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali in misura del 15%. Si dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.