Demolizione e ricostruzione: così si calcolano le distanze

La crisi economica ha colpito duramente l'edilizia che, ormai, in molte città, si tiene a galla con operazioni di ristrutturazione e ricostruzione, spesso incentivate dalle norme sul piano casa” di cui ogni Regione si è dotata. Utilizzare questi strumenti, però, non è sempre agevole in quanto non è facile tracciare la linea di demarcazione tra i vari interventi edilizi. Spesso e volentieri, poi, bisogna fare i conti con il problema delle distanze.

La seconda Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 473 del 10 gennaio 2019, intervenendo sulla materia, detta le proprie regole. I balconi finiscono sotto la lente. La società che gestisce un hotel, cita in giudizio il confinante che avrebbe realizzato un intervento di totale demolizione e ricostruzione del proprio fabbricato. L'intervento avrebbe conservato i volumi e l'altezza originaria, ma viene contestata una violazione delle distanze. In particolare, il nuovo fabbricato risulterebbe dotato di balconi aggettanti, originariamente non esistenti, che, per ovvie ragioni, avrebbero ridotto la distanza con il fabbricato preesistente, di proprietà dell'attore. Il parere del Tribunale. Il Tribunale ritiene che l'intervento di demolizione e ricostruzione debba essere qualificato come nuova opera” e, come tale, soggetta al rispetto della normativa in materia di distanze a cui si potrebbe derogare, invece, nel caso di un fabbricato preesistente . La realizzazione dei balconi avrebbe violato le distanze, per cui ordina l'arretramento fino a 10 metri dal fabbricato vicino e 5 metri dal confine ordina, inoltre, la demolizione dei balconi posti a distanza inferiore a 1,5 metri dal confine. La Corte d'appello corregge il tiro. Il giudice d'appello corregge il tiro. Secondo il piano regolatore e le relative Norme Tecniche di Attuazione, gli interventi di demolizione e ricostruzione non verrebbero qualificati come nuove opere” per cui non potrebbe essere invocata la disciplina relativa a questa tipologia di intervento. Riformando parzialmente la sentenza di primo grado, la Corte territoriale ordina la demolizione solo delle opere realizzate in violazione delle distanze dai fabbricati preesistenti. Il costruttore propone una lettura” personalizzata. Il costruttore propone una propria interpretazione del concetto di sagoma distinguendo tra quattro diverse figure e precisamente sagoma urbanistica valida ai fini urbanistici ed edilizi , sagoma geometrica valida ai fini del calcolo del volume , sagoma lorda compresa degli sporti e dei corpi aggettanti e sagoma netta che esclude il computo i corpi aggettanti . Fatta questa precisazione, ritiene che le distanze vadano calcolate in funzione della sagoma netta ovvero dalla facciata” del corpo di fabbrica escludendo, quindi, i corpi aggettanti ovvero i balconi . Questi ultimi avrebbero solo una valenza architettonica, potrebbero incidere sul prospetto, ma non sul concetto di sagoma” che sarebbe rimasta inalterata. Prendendo come punto di riferimento la sagoma netta ovvero la facciata del corpo di fabbrica , la costruzione sarebbe perfettamente in regola. Il concetto di sagoma. La Cassazione, con la sentenza in commento, rigetta la tesi del costruttore precisa che in assenza di una definizione normativa, la nozione di sagoma è stata costantemente identificata con la conformazione planovolumetrica della costruzione ovvero con il contorno che viene ad assumere l'edificio”. La sagoma del fabbricato, non verrebbe a coincidere con la facciata dell'edifico ovvero con quella che, in senso tecnico, è definita parete opaca” bensì, verrebbe a comprendere anche gli aggetti ovvero i balconi . Partendo da questo presupposto, la Cassazione rigetta l'interpretazione fornita dal costruttore che considerava i balconi dei semplici elementi architettonici essi, secondo Piazza Cavour, fanno parte della sagoma e devono essere conteggiati ai fini delle distanze mentre solo gli sporti ovvero i cornicioni, di grandezza più limitata sarebbero irrilevanti. Ristrutturazione, ricostruzione e nuova opera. La Cassazione traccia la linea di demarcazione tra il concetto di ristrutturazione, quello di ricostruzione e di nuova opera. Gli interventi edilizi sarebbero qualificabili come semplici ristrutturazioni ove comportino esclusivamente delle modifiche interne, lasciando inalterati gli altri elementi strutturali. La ricostruzione, viceversa, sarebbe configurabile nel caso di demolizione del fabbricato preesistente a prescindere dalla causa che lo abbia determinato e nuova edificazione di un corpo di fabbrica identico, senza apportare alcuna modifica. L'intervento edilizio sarebbe invece qualificabile come nuova opera, ove la ricostruzione comporti delle differenze rispetto al fabbricato originario. Confermato il verdetto della Corte territoriale. La Cassazione conferma il verdetto della Corte d'Appello. L'intervento comporta la demolizione e totale ricostruzione del fabbricato al quale, però, venivano apportate delle variazioni consistenti nella realizzazione dei balconi aggettanti. In questo caso, l'intervento deve essere qualificato come nuova opera”, a cui va applicata la disciplina in materia di distanze vigente al momento della realizzazione dell'intervento. La Riforma Madia detta il concetto di sagoma. La Cassazione viene chiamata a decidere una controversia sorta nel 2003 all'epoca, nessuna norma dettava l'esatto concetto di sagoma”. Questa trovava una propria definizione solo all'interno dei regolamenti edilizi comunali che, come noto, variavano da comune a comune. Per uniformare la disciplina edilizia ed urbanistica, la c.d. Riforma Madia ha introdotto le c.d. definizioni standardizzate” poi confluite nel Regolamento Edilizio Tipo ovvero un elenco di ben 42 definizioni valide in tutti i comuni italiani. La definizione n. 18 riguarda il concetto di sagoma” definita come Conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.”. Il Legislatore, quindi, intervenendo sul concetto di sagoma” ha previsto che in esso debbano essere compresi anche gli sporti nonché i balconi e, in genere, tutti gli aggetti di lunghezza superiore a 1,50 mt in altri termini, i balconi fino a 1,50 mt non fanno distanza. Tra le definizioni standardizzate troviamo anche la n. 30 in materia di distanze”, definite come Lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con il confine di riferimento di proprietà, stradale, tra edifici o costruzioni, tra i fronti, di zona o di ambito urbanistico ecc. , in modo che ogni punto della sua sagoma rispetti la distanza prescritta.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 giugno 2018 – 10 gennaio 2019, n. 473 Presidente Oricchio – Relatore Fortunato Fatti di causa Con ricorso depositato in data 12.2.2003, la Hotel Galileo ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Ancona la Residence Elisabetta di C.F. e C. e c. s.n.c., sostenendo di esser proprietaria di due distinti edifici, l’Hotel Mara di omissis e l’Hotel Galileo di omissis , muniti di pareti finestrate e con affaccio su una corte esclusiva, confinante con la proprietà della società convenuta che quest’ultima aveva demolito il vecchio edificio denominato Hotel Gabbiano per realizzare un nuovo fabbricato munito di balconi, prima inesistenti che la nuova costruzione aveva una volumetria maggiore di quella originaria e non rispettava le distanze previste dalle norme in vigore all’epoca della vecchia costruzione né quelle, sopravvenute, contemplate dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore art. 30 e ciò sia per i balconi che per i pilastri realizzati fuori dal muro perimetrale che inoltre, in luogo di una struttura esterna in metallo, destinata a cucina e dispensa, la società convenuta aveva in corso di realizzazione una struttura in muratura. Ha chiesto, con azione nunciatoria, di sospendere le opere e - nel giudizio di merito - di ordinarne l’arretramento fino al rispetto della distanza legale. La società convenuta ha sostenuto di non aver realizzato una nuova costruzione ma di aver ricostruito il preesistente edificio in ottemperanza al disposto dell’art. 29 delle norme di attuazione del piano regolatore, ed ha asserito che i balconi non avevano modificato la sagoma dell’edificio e che, comunque, i fabbricati non erano frontistanti, deducendo, infine, di aver presentato istanza di concessione in variante. Ha chiesto il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, di accertare che la costruzione era stata realizzata prima che fosse edificato l’edificio della controparte. Il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità della costruzione, ordinandone l’arretramento fino al rispetto della distanza di 10 metri dall’Hotel Galileo e di cinque metri dal confine, disponendo la demolizione delle vedute dirette poste a distanza inferiore di un metro e mezzo dal confine, e la condanna della convenuta al risarcimento del danno, pari ad Euro 10.000,00. Su appello della Residence Elisabetta s.n.c., la Corte distrettuale ha parzialmente riformato la prima decisione, ordinando la demolizione delle sole eccedenze del fabbricato che sui lati nord e est riducevano i distacchi dal confine e dai fabbricati preesistenti ha compensato parzialmente le spese di giudizio, ponendo il resto a carico dell’appellante. La sentenza ha ritenuto che la società ricorrente, realizzando i balconi, avesse modificato la sagoma preesistente dell’edificio ed ha sostenuto che, mancando nella disciplina locale una norma che equiparasse le ricostruzioni alle nuove costruzioni, dovesse applicarsi la distanza prevista dalle norme urbanistiche sopravvenute solo ai balconi, agli sporti e ai pilastri di cui non era munita la costruzione preesistente, poiché l’art. 29 delle norme tecniche di attuazione consentiva la ricostruzione con demolizione nel rispetto della sagoma, delle volumetrie e dei distacchi precedenti. Per la cassazione di questa sentenza la Residence Elisabetta s.n.c., ha proposto ricorso in un unico motivo, illustrato con memoria, cui la Hotel Galileo s.a.s ha resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato in due motivi. Con ordinanza interlocutoria n. 5367/2018, la causa è stata assegnata alla pubblica udienza per il rilievo nomofilattico delle questioni dibattute. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo censura la violazione della L. n. 457 del 1978, art. 31, lett. d , come integrato dal D.P.R. n. 380 del 2011, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte di merito abbia erroneamente ritenuto inapplicabile la previsione del testo unico sull’edilizia, benché si trattasse di norma cui non solo dovevano conformarsi gli strumenti urbanistici locali, ma che impediva la demolizione in quanto, avendo vincolato le ristrutturazioni edilizie al rispetto della sagoma e non del prospetto, ne conseguiva che la distanza non andava calcolata dai punti di massima sporgenza dei balconi, ma dalle pareti dell’edificio che, difatti, occorreva distinguere il concetto di sagoma urbanistica da quella di sagoma in senso geometrico e il concetto di sagoma lorda intesa quale forma esterna della costruzione comprese le parti aggettanti , da quello di sagoma netta , rappresentata dalla forma geometrica del fabbricato che, calcolando il distacco dalle pareti perimetrali e non dai corpi aggettanti, la costruzione risultava conforme alla disciplina sulle distanze. Il motivo è infondato. L’intervento realizzato dalla società ricorrente è consistito nella demolizione del precedente edificio e nella realizzazione di uno nuovo, che ha conservato la medesima volumetria ed altezza di quello precedente ma che ha comportato una riduzione dei distacchi originariamente intercorrenti tra i due corpi di fabbrica a causa della creazione di nuovi balconi e corpi aggettanti. Il Tribunale, rilevando che l’art. 29 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale consentiva la demolizione con ricostruzione a parità di volumetria altezza e distanza, ha ritenuto che l’intero edificio costituisse una nuova costruzione e che dovesse arretrare fino al rispetto della distanza di mt. 5 dal confine e di mt. 10 dagli immobili fronteggianti. La pronuncia è stata parzialmente riformata in appello, avendo il giudice distrettuale rilevato che sebbene la ricorrente, nel ricostruire l’edificio, avesse modificato la sagoma del manufatto preesistente, tuttavia il piano regolatore e le relative norme tecniche non equiparava le ricostruzioni alle nuove costruzioni e che la disciplina prevista per queste ultime doveva applicarsi solo alle eccedenze non preesistenti, e cioè quelle che sui lati nord ed est avevano ridotto la distanza dal confine e dai fabbricati . A parere della ricorrente, pur essendo indubbio che la ricostruzione mediante demolizione dovesse attuarsi nel rispetto della sagoma della costruzione precedente, quest’ultima, per quanto previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d , rappresentando l’involucro esterno o contorno del fabbricato, non era stata alterata dalla realizzazione di balconi, i quali incidevano sul prospetto e quindi sul solo aspetto architettonico ed estetico del fabbricato. Di conseguenza la distanza andava calcolata dai muri perimetrali dell’edificio ricostruito, senza considerare gli elementi aggettanti. Tale assunto non merita di essere condiviso. La L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. d , qualificava come interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare i manufatti mediante un insieme sistematico di opere idonee a condurre ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con formula idonea ad includere non soltanto le opere che riguardassero un fabbricato ancora esistente e, cioè, un’entità dotata quanto meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di copertura , ma anche la ricostruzione con la fedele demolizione di un precedente fabbricato nel rispetto della sagoma, del volume e delle superfici preesistenti cfr., in motivazione, Cass. 14786/2017 Cass. s.u. 21578/2011 Cass. 22688/2009 Cass. 2009/3391 . La ricostruzione previa demolizione è stata, di seguito, espressamente contemplata dal successivo il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d , ma lasciando inalterato, con previsione in parte qua non innovativa, l’obbligo di conservare la medesima sagoma e volumetria dell’edificio demolito cfr., D.Lgs. n. 301 del 2002, art. 1, in vigore dal 5.2.2003 , conformemente a quanto già disposto dalla L. n. 457 del 1978, art. 31. In assenza di una definizione normativa, la nozione di sagoma è stata costantemente identificata con la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale, ovvero con il contorno che viene ad assumere l’edificio con ogni punto esterno e non solamente le superfici verticali con particolari requisiti di continuità, quali le pareti chiuse, cosicché non rilevano le sole aperture che non prevedano sporgenze, mentre il prospetto si riferisce alla superficie e alla facciata della costruzione e quindi al suo profilo estetico-architettonico Corte cost. 309/2011 Cass. pen. 3849/1998 Cass. 8081/1994 Cass. pen. 25.11.1987 Cass. pen. 20846/2015 . Ne consegue che l’apertura di nuovi balconi su un edificio ricostruito in sostituzione di un precedente manufatto che ne era del tutto sprovvisto non incide solo sull’aspetto architettonico della costruzione ma ne modifica i punti esterni e la superficie verticale. Sono esclusi, quindi, dal calcolo delle distanze solo gli sporti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria come le mensole, i cornicioni, le canalizzazioni di gronda e simili , non anche le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi, costituite da solette aggettanti anche se scoperte, di apprezzabile profondità ed ampiezza, specie ove la normativa locale non preveda un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie Cass. 19932/2017 Cass. 18282/2016 Cass. 859/2016 Cass. 1406/2013 . In definitiva, come già stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito delle opere edilizie la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura , mentre è ravvisabile la ricostruzione allorché dell’edificio preesistente dette componenti siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino del manufatto preesistente senza alcuna variazione rispetto al precedente stato di fatto. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione , come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima, nel suo complesso, ove lo strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario cfr., per tutte, Cass. s.u. 21578/2011 . La decisione impugnata, dopo aver rilevato che la nuova costruzione differiva da quella preesistente solo a causa della presenza dei balconi e che la normativa urbanistica locale non parificava le ricostruzioni alle nuove costruzioni consentendo la ricostruzione a parità di volume ed altezza rispetto a quello demolito , ha correttamente disposto la demolizione delle sole eccedenze del fabbricato che riducevano i distacchi precedente e non è quindi incorsa nelle violazioni denunciate. 2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale si censura letteralmente - la violazione degli artt. 11 e 60 del regolamento edilizio comunale, 25, 29 e 30 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di S. Benedetto del Tronto, della L. n. 47 del 1985, art. 8, del D.M. n. 1444 del 1968 e dell’art. 905 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonché l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che l’edificio realizzato dalla ricorrente non poteva considerarsi una ristrutturazione mediante demolizione, poiché le norme locali disponevano che essa potesse aver luogo solo in base alle previsione di un piano di recupero, che, nella specie, non era stato adottato che quindi, l’edificio, avendo una sagoma diversa da quella originaria, costituiva una nuova costruzione anche ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 8, e doveva arretrare fino al rispetto di mt. 5 dal confine e 10 dall’edificio fronteggiante, anche considerando la diversa destinazione d’uso assunta dall’immobile, che aveva comportato una variazione degli standards urbanistici previsti dal D.M. n. 1444 del 1968. La sentenza avrebbe, infine, omesso di valutare che i balconi erano posti a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 905 c.c Il motivo è assorbito, essendo stato condizionato all’accoglimento del ricorso principale. Il ricorso principale è respinto, con assorbimento del ricorso incidentale. Le spese seguono la soccombenza come da liquidazione in dispositivo. Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. rigetta il ricorso principale, dichiarate assorbito quello incidentale e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5200,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali in misura del 15%. Si dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.