Validità della delibera assembleare che modifica la ripartizione delle spese di riscaldamento condominiale

Nulla per impossibilità dell’oggetto la delibera assembleare che decreta la modifica dei criteri di ripartizione delle spese di riscaldamento stabiliti nel regolamento condominiale contrattuale senza l’unanimità dei consensi.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 470/19, depositata il 19 gennaio. Il caso. Un condomino aveva agito in giudizio chiedendo pronunciarsi la nullità di una delibera assembleare in ragione della presunta violazione da parte della stessa, dei criteri di riparto delle spese relative al riscaldamento. Tale delibera stabiliva che, in caso di distacco dall’impianto di riscaldamento condominiale, ciascun proprietario fosse tenuto a corrispondere comunque il 50% delle spese di esercizio di detto impianto senza nulla sancire in merito ai costi relativi a manutenzione, riparazione e ricostruzione . A parere del ricorrente, tuttavia, tale previsione sarebbe stata invalida in quanto in aperto contrasto con il regolamento condominiale che prevedeva che il condomino distaccato dall’impianto di riscaldamento dovesse corrispondere il 25% del consumo e una quota relativa alle spese di manutenzione, riparazione e ricostruzione in ragione dei millesimi di proprietà detenuti. Il Tribunale in primo grado rigettava la domanda del condomino. La questione approdava in Corte d’Appello, e la Corte distrettuale confermava la decisione del primo magistrato affermando come la quantificazione delle spese approvata dall’assemblea fosse sì in contrasto con il regolamento, ma questo contrasto non modificasse i criteri regolamentari, limitandosi a violarli con conseguente annullabilità e non nullità della stessa come invece domandato dal ricorrente. Il ricorrente, a seguito della duplice soccombenza, si risolveva ad agire in Cassazione. Il ricorso del condomino viene accolto. Il condomino depositava quindi un articolato ricorso incentrato su otto motivi di diritto. La Cassazione, con la pronuncia in commento, rigettava ben sette dei motivi e accogliendo però la terza doglianza e – conseguentemente - accogliendo il ricorso. Tale motivo di diritto in particolare era incentrato sulla presunta violazione degli articoli 1104, 1117, 1118, 1120, 1123, 1135, 1136, 1137, 1138, 1362, 1421 e 2377 c.c., oltre che del citato Regolamento condominiale, in cui la Corte d’Appello era incorsa nel ritenere la delibera assembleare impugnata annullabile invece che nulla. Il motivo era considerato fondato in quanto la delibera assembleare in questione avrebbe dovuto essere considerata come nulla e tale radicale invalidità avrebbe potuto anche, a prescindere dalla domanda giudiziale del ricorrente, essere rilevata d’ufficio dal giudice del riesame. Secondo la Corte, infatti, le delibere dell’assemblea di condominio con le quali siano stati stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall’art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento contrattuale, richiedano l’approvazione di tutti i condomini a pena di radicale nullità sul punto venivano citati altresì i precedenti giurisprudenziali Cass. n. 16321/16 e Cass. n. 19651/17 . Proseguiva la Cassazione affermando come alla nullità della delibera per impossibilità dell’oggetto il ricorrente avrebbe avuto diritto di promuovere una iniziativa giudiziale non solo entro i 30 giorni successivi alla notificazione del verbale assembleare, ma indipendentemente dal termine citato previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. e che tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale . Alla luce dei principi sopra invocati la Cassazione rilevava l’errore realizzato dalla Corte d’Appello e, con l’accoglimento del solo terzo motivo di ricorso, rinviava il giudizio al secondo grado per un nuovo giudizio sul merito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 6 giugno 2018 – 10 gennaio 2019, n. 470 Presidente Lombardo – Relatore Cosentino Rilevato che il signor E.L. , condomino di un complesso edilizio sito in omissis denominato Condominio omissis ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Lecce ha confermato il rigetto della sua domanda di declaratoria di nullità della delibera approvata dall’assemblea condominiale il 21 agosto 2002, nella parte in cui, autorizzandolo a distaccare l’appartamento di sua proprietà dall’impianto di riscaldamento centralizzato, poneva a suo carico il 50% delle spese di esercizio di detto impianto senza nulla specificare sul suo onere di contribuzione alle spese di manutenzione, riparazione e ricostruzione che, a giudizio della corte distrettuale, la ripartizione delle spese approvata dalla delibera impugnata violava i criteri fissati nel regolamento condominiale di natura contrattuale, secondo quanto riportato nella stessa sentenza gravata ma non modificava gli stessi, non incidendo sul testo del’art. 22 del regolamento alla cui stregua il contributo al costo del servizio attivo di riscaldamento centralizzato a carico del condomino che distacca la propria unità immobiliare dal relativo impianto è pari al 25% del consumo, fermo restando l’obbligo di contribuzione alle spese di manutenzione, riparazione e ricostruzione per quota millesimale cosicché detta delibera doveva giudicarsi, in conformità alla sentenza di primo grado, annullabile ma non nulla che il ricorso si articola in otto motivi che il Condominio omissis sì è difeso con controricorso che la causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del giorno 6 giugno 2018 per la quale per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria e il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta. Considerato che con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1136 e 2697 c.c., il vizio di motivazione e la nullità del giudizio di primo grado in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in cui la corte sarebbe incorsa respingendo l’eccezione di carenza di legittimazione dell’amministratore e, conseguentemente, di nullità della procura da lui rilasciata al difensore in primo grado il ricorrente argomenta che il Condominio non avrebbe adempiuto all’onere di deposito della delibera assembleare di autorizzazione dell’amministratore a resistere in giudizio, in primo grado che il motivo va disatteso, perché non attinge specificamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, autonomamente idonea a sorreggere il decisum, secondo cui l’eventuale vizio della costituzione in primo grado sarebbe rimasto sanato dalla delibera di autorizzazione dell’amministratore alla costituzione del condominio nel giudizio di appello, implicante ovvia ratifica dell’attività difensiva svolta in primo grado pag. 7, primo cpv., della sentenza che può poi aggiungersi, per completezza, che il riferimento del ricorrente alla rilevabilità di ufficio dell’eccezione di difetto di legittimazione processuale è privo di pertinenza alla motivazione della sentenza gravata, nella quale tale eccezione non viene giudicata inammissibile, perché tardiva, ma viene giudicata infondata nonché, ancora, che l’affermazione della corte territoriale secondo cui l’amministratore poteva stare in giudizio senza autorizzazione assembleare costituente ratio decidendi concorrente è conforme alla giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 1451/14, recentemente confermata da Cass. n. 7095/17 , che il ricorrente non offre convincenti argomenti per superare che con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1129, 1136 e 2697 c.c. e il vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, deducendo la carenza di prova sulla permanenza in carica dell’amministratore al momento del conferimento della procura ad litem al difensore del Condominio per il giudizio di appello, con conseguente nullità di tale procura al riguardo il ricorrente argomenta che l’amministratore C.E. era stato sostituito nella carica di amministratore dal sig. P.G. , con efficacia sin dall’anno 2004, e quindi difettava dei poteri di rappresentanza sostanziale e processuale del condominio all’epoca dell’introduzione del giudizio di appello che il motivo - che, in sostanza, attinge l’accertamento di fatto della corte salentina secondo cui, all’epoca dell’introduzione del giudizio di appello, il Condominio era amministrato dal sig. C. - va giudicato inammissibile per difetto di specificità, in quanto non risulta formulato secondo il paradigma del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, né illustra il contenuto dei documenti dai quali pretende di trarre la prova ritenuta insussistente dalla corte territoriale del fatto che il sig. C. fosse cessato dalla carica di amministratore nel 2004, né attinge specificamente l’argomentazione della corte territoriale alla cui stregua il sig. C. aveva convocato l’assemblea del 25.8.2011 e nella stessa era stato autorizzato a costituirsi in appello per il Condominio senza che alcun condomino ne contestasse la qualità di amministratore pag. 7, terzo cpv., della sentenza che con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1104, 1117, 1118, 1120, 1123, 1135, 1136, 1137, 1138, 1362, 1421 e 2377 c.c. e dell’art. 22 del regolamento condominiale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in cui la corte sarebbe incorsa ritenendo annullabile, invece che nulla, l’impugnata delibera assembleare del 21 agosto 2002 che il motivo va giudicato fondato, in adesione al recente orientamento di questa Corte che - sulla premessa che le delibere dell’assemblea di condominio con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall’art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento contrattuale, richiedano l’approvazione di tutti i condomini a pena di radicale nullità cfr. Cass. 16321/16, in motivazione, pag. 9 Cass. 19651/17, in motivazione, pag. 8 - ha chiarito, superando orientamenti precedenti Cass. 16793/06, Cass. 7708/07 , che sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e non meramente annullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137 c.c., comma 2, tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale Cass. 6128/17, Cass. 19651/17, Cass. 22157/18, Cass. 23222/18 che, va aggiunto, deve essere disatteso l’argomento del contro ricorrente secondo cui il rilievo della nullità della delibera impugnata sarebbe stato precluso alla corte di appello per non avere il sig. E. specificamente censurato la statuizione del tribunale secondo cui tale delibera sarebbe stata annullabile ma non nulla che, infatti, per un verso, va rilevato che la nullità della delibera di assemblea condominiale è rilevabile anche di ufficio anche in appello Cass. nn. 12582/15, 305/16, 6652/17, 22678/17 per altro verso, va evidenziato che sull’affermazione del tribunale di annullabilità - e non nullità - della delibera impugnata non può essersi formato il giudicato interno, trattandosi non di una statuizione autonoma ma di una argomentazione funzionale all’adozione della statuizione impugnata dal soccombente di rigetto della domanda di nullità che neppure risulta conferente il richiamo del contro ricorrente ai principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 18477/10, giacché nel presente giudizio non si discute dell’approvazione di tabelle millesimà ossia della determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino e della loro espressione in millesimi, la cui erroneità è sempre rimediabile ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c. , bensì di un criterio di riparto delle spese di un servizio condominiale tra i condomini che di tale sevizio fruiscono direttamente e i condomini che di tale sevizio non fruiscono direttamente criterio che, essendo definito da un regolamento contrattuale, non può essere modificato dalla maggioranza assembleare, come avvenuto con l’impugnata delibera sulla corretta individuazione dei principi fissati in SSUU n. 18477/10, cfr. Cass. 19651/17, cit., pagg. 6 e segg. che con il quarto motivo di ricorso il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 152 c.p.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 secondo il ricorrente, il giudice del primo grado, trattenuta la causa in decisione, non avrebbe potuto trasferire la stessa in capo al giudice onorario senza che ricorresse un impedimento assoluto, con conseguente nullità insanabile del procedimento che il motivo è inammissibile non avendo il ricorrente indicato le ragioni per cui contesta che nella specie sussistessero i presupposti legittimanti la sostituzione del magistrato istruttore ai sensi dell’art. 174 c.p.c., comma 2 in ogni caso, lo stesso ricorrente riferisce che il giudice onorario fece precisare nuovamente le conclusioni davanti a lui, cosicché nemmeno astrattamente è configurabile alcun vizio di costituzione del giudice tra le tante, da ultimo, Cass. n. 1912/17 che con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 232 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, censurando la mancata ammissione delle prove per testi e per interrogatorio da lui richieste che il motivo va disatteso perché formulato senza l’indicazione specifica delle circostanze oggetto delle prove non ammesse cfr. Cass. 19985/17 che con il sesto motivo il ricorrente impugna la sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. e mancanza di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamentando che la causa sia stata decisa in adesione ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità sfavorevole al ricorrente ed asseritamente formatosi in un momento successivo all’instaurazione del giudizio che il motivo risulta assorbito dall’accoglimento del terzo mezzo di impugnazione che con il settimo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ex n. 4 dell’art. 360 c.p.c., nonché error in procedendo in relazione all’art. 1133 e 2377 c.c. e all’istanza del ricorrente inoltrata al Condominio per far cessare la materia del contendere art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che con tale mezzo di gravame il ricorrente in sostanza lamenta che né il primo né il secondo giudice si siano pronunciati sulla circostanza che egli aveva presentato istanza non accolta di riconvocazione dell’assemblea per la rideterminazione delle spese di riscaldamento, al fine di evitare il contenzioso che il motivo va disatteso, in quanto il vizio di omessa pronuncia è configurabile in riferimento a domande giudiziali, non in riferimento ad argomentazioni difensive della parte che con l’ottavo motivo di ricorso il ricorrente impugna la statuizione sulle spese di lite per violazione del criterio della soccombenza, deducendo la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. ed error in judicando in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 e sostenendo che, nel caso di specie, sussistevano i presupposti per disporre la compensazione delle spese di giudizio che il motivo risulta assorbito dall’accoglimento del terzo mezzo di impugnazione che quindi, in conclusione, deve essere accolto il terzo motivo di ricorso, devono dichiararsi assorbiti il sesto e l’ottavo motivo e devono rigettarsi gli altri motivi, con cassazione della sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvio ad altra sezione della corte di appello di Lecce che si atterrà al principio di diritto che sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e non meramente annullabili, e perciò impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137 c.c., comma 2, tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale che il giudice di rinvio provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il sesto e l’ottavo motivo, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della corte di appello di Lecce, che regolerà anche le spese del presente giudizio.