Applicazione del limite minimo di distanza tra edifici

La distanza minima di 10 metri tra le costruzioni, prevista dall’art. 9 d.m. n. 1444/1968, deve essere osservata in modo assoluto posto che la ratio della norma non è la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza.

Sul tema la Corte di legittimità con l’ordinanza n. 24076/18, depositata il 3 ottobre. Il fatto. La Corte d’Appello di Trieste, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, condannava al ripristino dello stato dei luoghi con riferimento ad una sopraelevazione effettuata dai soccombenti in violazione della distanza prevista dall’art. 9 d.m. n. 1444 del 2 aprile 1968 rispetto all’appartamento della controparte. I soccombenti ricorrono per la cassazione della sentenza deducendo l’erroneità dell’affermazione secondo cui non erano state rispettate le distanze minime previste dall’ordinamento. Applicazione delle distanze minime. La Corte territoriale ha accertato che la sopraelevazione realizzata dai ricorrenti comportava un aumento della volumetria e risultava eretta ad una distanza inferiore ai 5 metri prevista dalla normativa urbanistica in materia di distanze dal confine, rimanendo irrilevante il fatto che il Comune abbia approvato, mediante rilascio della concessione, l’intervento edilizio. Correttamente il Giudice d’appello ha applicato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la distanza minima di 10 metri tra le costruzioni, prevista dall’art. 9 d.m. n. 1444/1968 deve essere osservata in modo assoluto posto che la ratio della norma non è la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza. Il Collegio precisa dunque che la norma trova applicazione a prescindere dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle pareti di questi, purchè sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 12 aprile – 3 ottobre 2018, numero 24076 Presidente Oricchio – Relatore Federico Fatto C.M. ed P.A. propongono ricorso, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste numero 880/13 depositata il 28 novembre 2013, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato gli odierni ricorrenti in solido alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, avuto riguardo alla sopraelevazione da essi effettuata, ritenuta in violazione della distanza prescritta dall’articolo 9 d.m. 2.4.1968 rispetto all’appartamento di R.L. , mediante demolizione delle opere eseguite, ovvero loro arretramento. La Corte territoriale, in particolare, premesso che l’immobile di proprietà della R. costituiva un unico edificio, con unica facciata, accertava che la soprelevazione eretta dagli odierni ricorrenti risultava posta in essere in violazione delle disposizioni in materia di distanze ex articolo 873 e ss.c.c. e della disposizione di cui all’articolo 9 d.m. 1444/1968, con riferimento, rispettivamente, alla stradella di cui la R. era comproprietaria ed all’ edificio di proprietà esclusiva della medesima. R.L. non ha svolto, nel presente giudizio, attività difensiva. In prossimità dell’odierna adunanza, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa. Considerato in diritto Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 871 c.c. e dell’articolo 17 l.765/1967, in relazione all’articolo 12.1 dell’elaborato D Norme tecniche di attuazione della variante generale del PRG, nonché agli artt. 115, 116 e 132 cpc. I ricorrenti censurano la statuizione della sentenza impugnata secondo cui la sopraelevazione non rispettava le distanze minime previste dal codice civile, rilevando in contrario che l’edificio dei ricorrenti già insisteva all’odierna distanza dal confine la soprelevazione a filo di facciata non privava dunque l’intimata di alcun diritto o facoltà. I ricorrenti sostengono inoltre che la disposizione dell’articolo 12.1 dell’elaborato D delle Norme tecniche di attuazione della variante generale del PRG del Comune di Trieste, riconosceva la possibilità di eseguire soprelevazioni di edifici, limitandosi a prescrivere limiti alle altezze massime, consentendo una deroga alle distanze previste dalle normative di zona, purché non in contrasto con quanto previsto del codice civile e ferma restando la distanza di 10 mt tra pareti finestrate deducono dunque la legittimità dell’intervento, approvato dal Comune di Trieste che ha rilasciato la relativa concessione edilizia. Il motivo è infondato. La Corte d’Appello ha infatti accertato che la soprelevazione dei ricorrenti, la quale, come già precisato dal giudice di primo grado, comportava un aumento della volumetria preesistente, risultava eretta a distanza inferiore a quella, di 5 mt., prevista dalla normativa urbanistica vigente in materia di distanze dal confine, avuto riguardo alla stradella di cui alla p.c.numero in comproprietà dell’intimata, apparendo al riguardo irrilevante il fatto che l’intervento edilizio sia stato approvato, previo rilascio di concessione, dal Comune di Trieste. Non risulta dunque ravvisabile alcuna violazione di legge, posto che la deroga prevista dall’articolo 12.1 dell’elaborato D Norme tecniche di attuazione della variante generale del PRG del Comune di Trieste per la soprelevazione faceva salve le disposizioni inderogabili in materia di distanze previste dall’articolo 873 codice civile, come integrata dalle norme di attuazione del PRG 5 metri dal confine Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 9 d.m.1968 numero 1444 e dell’articolo 873 c.c., censurando la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto che i due edifici di cui l’intimata è comproprietaria costituissero una facciata unica, fronteggiante la parete ovest dell’immobile di proprietà dei ricorrenti ad avviso dei ricorrenti solo uno dei due distinti corpi di fabbrica è dotato di finestra, ma esso non fronteggia l’edificio di controparte. Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 9 d.m. 1444/1968 e degli artt. 115 e 116 cpc, nonché dell’articolo 132 numero 4 cpc, deducendo l’assoluta mancanza di motivazione ed il fatto che la sentenza impugnata si discosti dalle conclusioni peritali senza darne adeguata motivazione, omettendo dunque di valutare tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame. I due motivi, che, per la loro connessione, vanno unitariamente esaminati, sono infondati. La Corte territoriale ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito, che le unità immobiliari di proprietà dell’intimata costituissero un unico fabbricato e componessero un’unica facciata tale statuizione, in quanto logicamente ed adeguatamente motivata e fondata sul complessivo esame dei documenti e degli atti di causa, si sottrae a sindacato in sede di legittimità. Il giudice di appello ha fatto coerentemente discendere da tale accertamento la violazione dell’articolo 9 d.m. 1444/1968, in quanto la distanza tra la soprelevazione della facciata nord ed il balcone verandato dell’abitazione dell’intimata era di soli 2,61 cm. La Corte ha dunque fatto buon governo del consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui la distanza minima di dieci metri tra le costruzioni, stabilita dall’articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968 numero 1444, deve osservarsi in modo assoluto, poiché la ratio della norma non è la tutela della riservatezza, bensì quella della salubrità e sicurezza. Tale norma va pertanto applicata indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle pareti di questi, purché sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento Cass.5741/2008 . Il ricorso va dunque respinto e, considerato che l’intimata non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.