Corte interna resa inservibile dall’istallazione di un ascensore: il condomino ha diritto al risarcimento

Nel condominio l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione che come tale va approvata dall’assemblea condominiale con la maggioranza ex art. 1136, commi 2 e 3, c.c

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 23076/18 depositata il 26 settembre. Il caso. L’attrice, proprietaria di un immobile compreso in un condominio, conveniva quest’ultimo in giudizio per vedersi risarcire il danno cagionatole dall’installazione di un ascensore nella corte interna dell’edificio. In particolare ella lamentava la riduzione di luce e aria al suo appartamento posto a piano terra e l’impedimento di utilizzare una rilevante porzione della suddetta corte. Avverso la sentenza di primo grado, con cui veniva rigettata la domanda attorea, la signora proponeva ricorso in Corte d’Appello, la quale confermava però la pronuncia del Tribunale. Si propone così ricorso per cassazione. Le parti comuni del condominio. In tema di condominio va ricordato che la realizzazione di un ascensore su un’area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, rappresenta un’innovazione che come tale deve essere approvata in assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136, commi 2 e 3, c.c., ovvero che, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di 3 mesi dalla richiesta scritta, può essere installata dal portatore di handicap a proprie spese, nel rispetto comunque dei limiti descritti dagli artt. 1120 e 1121 c.c Anche se, in considerazione del concetto di inservibilità della parte comune, questa non può consistere in un semplice disagio subito rispetto alla normale utilizzazione, ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della parte comune o dalla sensibile menomazione dell’utilità che il condomino prima ricavava dal bene. Cosa che è accaduta nel caso di specie alla condomina, dato che l’innovazione è stata lesiva del divieto posto dall’art. 1120, comma 2, c.c È dunque nulla la deliberazione lesiva dei diritti individuali di un condomino su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile e inutilizzabile e quindi il ricorso va accolto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 maggio – 26 settembre 2018, n. 23076 Presidente Matera – Relatore Scarpa Fatti di causa G.A.M. ha proposto ricorso articolato in due motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 849/2013, depositata il 3 ottobre 2013. Resiste con controricorso il Condominio omissis . Il giudizio ebbe inizio con atto di citazione notificato il 12 febbraio 2010. La signora G. , proprietaria di unità immobiliare compresa nell’edificio di Via omissis , convenne il Condominio omissis innanzi al Tribunale di Trieste per vedersi risarcire il danno cagionatole dalla realizzazione di un ascensore nella corte interna dell’edificio condominiale, danno consistente nella riduzione di luce e aria all’appartamento dell’attrice posto al piano terra, e nell’impedimento all’uso di una rilevante porzione della suddetta corte. Avverso la sentenza del Tribunale, che rigettò la domanda, propose appello la G. , reiterando le domande risarcitorie prospettate in primo grado. La Corte di Appello di Trieste, confermando la sentenza del giudice di primo grado, rigettò il gravame, sul presupposto che le delibere che avevano deciso l’installazione dell’impianto di ascensore non erano state impugnate precedentemente dall’appellante, a nulla rilevando l’omessa convocazione della stessa alle relative assemblee, in quanto soltanto in sede di impugnativa ex art. 1137 c.c. sarebbe stato possibile dedurre l’invalidità delle decisioni assembleari, causa del ravvisato pregiudizio della proprietà esclusiva della singola condomina. Tali delibere sarebbero perciò risultate tuttora valide e vincolanti anche per la signora G. , con conseguente carenza dei presupposti per l’azione di risarcimento, ex art. 2043 c.c. Il ricorso era stato inizialmente fissato in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi degli artt. 375, comma 2, e 380 bis.1, c.p.c., ma, con ordinanza interlocutoria dell’8 febbraio 2018, pronunciata all’esito dell’adunanza del 19 gennaio 2018, ritenuta la particolare rilevanza della questione di diritto posta a fondamento del secondo motivo di ricorso, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza. Ragioni della decisione I.Il primo motivo di ricorso di G.A.M. denuncia l’erronea applicazione dell’art. 1137 c.c., atteso che tale disposizione riguarderebbe i condomini in quanto tali, mentre la ricorrente, mai convocata alle assemblee inerenti all’impianto di ascensore, mai notiziata delle delibere al riguardo adottate e mai coinvolta nella divisione delle rispettive spese, non potrebbe dirsi condomina rispetto all’impianto. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’erronea e omessa applicazione dell’art. 2043 c.c. in quanto, seppur la delibera nulla può produrre effetti perché non impugnata, non può negarsi che essa sia causa di conseguenze dannose per la ricorrente e dunque fonte di responsabilità civile. Il controricorrente Condominio omissis afferma che entrambi i motivi siano inammissibili e comunque infondati, e poi contesta la negazione della qualità di condomina in capo alla ricorrente, trattandosi di bene comune, come anche la mancata convocazione assembleare e la mancata comunicazione dei verbali. Il controricorrente esclude altresì il carattere doloso o colposo ex art. 2043 c.c. del comportamento tenuto dal Condominio, in quanto frutto di una legittima delibera condominiale, mai impugnata, e quindi tuttora valida ed efficace. II.È fondato il secondo motivo di ricorso, e l’accoglimento dello stesso determina l’assorbimento del primo motivo. II.1.In tema di condominio, l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione che, ex art. 2, commi 1 e 2, della l. n. 13 del 1989, va approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, commi 2 e 3, c.c. ovvero che, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, può essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap , comunque osservando i limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato art. 2 Cass. Sez. 6 - 2, 09/03/2017, n. 6129 Cass. Sez. 2, 25/10/2012, n. 18334 Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930 . Poiché resta dunque fermo il disposto dell’art. 1120, comma 2, c.c. formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220 , sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione della comunione. Tale concetto di inservibilità della parte comune non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione - coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità, ovvero dalla sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene cfr. Cass. Sez. 2, 12/07/2011, n. 15308 Cass. Sez. 2, 25/10/2005, n. 20639 . Nella specie, la condomina G. assume, a fondamento della sua pretesa risarcitoria, che la realizzazione dell’impianto di ascensore nella corte interna dell’edificio condominiale, deliberata dall’assemblea, le impedisca di far uso di una rilevante porzione di tale area comune, ed abbia altresì ridotto la luce e l’aria fruibili dal suo appartamento, così prospettando che l’innovazione sia lesiva del divieto posto dall’art. 1120, comma 2, c.c., in quanto alla possibilità dell’originario godimento della cosa comune sarebbe stato sostituito un godimento di diverso contenuto. II.2.È, allora, certamente da qualificare nulla la deliberazione, vietata dall’art. 1120 c.c., che sia lesiva dei diritti individuali di un condomino su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, trattandosi di delibera avente oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea arg. da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806 Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930 Cass. Sez. 6-2, 14/9/2017, n. 21339 Cass. Sez. 2, 25/06/1994, n. 6109 . La nullità di una deliberazione dell’assemblea condominiale comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilità, non implichi la necessità di tempestiva impugnazione nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c. Una deliberazione nulla, secondo i principi generali degli organi collegiali, non può, pertanto, finché o perché non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, come si afferma per le deliberazioni soltanto annullabili. La nullità della deliberazione assembleare costituisce, perciò, fatto ostativo all’insorgere del potere-dovere dell’amministratore, ex art. 1130, n. 1, c.c., di darne attuazione, differentemente dalle ipotesi di mera annullabilità, non incidendo questa sul carattere vincolante delle decisioni del collegio dei condomini per l’organo di gestione fino a quando non siano rimosse con pronuncia di accoglimento dell’impugnazione proposta a norma dell’art. 1137 c.c. Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica, peraltro, il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche d’appello, il potere di rilevarne d’ufficio la nullità, ogni qual volta la validità o l’invalidità dell’atto collegiale rientri tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere con riferimento proprio ad azione risarcitoria, cfr. Cass. Sez. 2, 10/03/2016, n. 4726 inoltre, si vedano Cass. Sez. 2, 17/06/2015, n. 12582 Cass. Sez. 2, 12/01/2016, n. 305 Cass. Sez. 6 -2, 15/03/2017, n. 6652 . II.3.Non è perciò corretta l’affermazione della Corte d’Appello di Trieste secondo cui la violazione dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c. e la conseguente nullità della deliberazione assembleare siano deducibili solo in sede d’impugnazione di detta delibera, nel caso di specie pacificamente mai proposta . L’accertamento dell’invalidità può costituire, infatti, una questione pregiudiziale rispetto al riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni soltanto nelle ipotesi di annullabilità della delibera, ovvero in ipotesi di vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, o al procedimento di convocazione o di informazione della stessa, o alle maggioranza occorrente in relazione all’oggetto. Se la delibera annullabile non sia impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c., il comportamento del condomino assume, invero, un significato di acquiescenza all’espressione di volontà collegiale, sicché la praticabilità dell’accesso alla tutela risarcitoria avverso una delibera assembleare annullabile in via complementare ed integrativa alla tutela demolitoria può affermarsi unicamente per quegli eventuali danni che non siano riparabili con l’eliminazione della delibera e delle modificazioni della realtà materiale da essa discendenti, salva poi la necessità della prova degli elementi oggettivi e soggettivi del danno, nonché del nesso di causalità tra questo e la delibera invalida. Soluzione diversa va affermata quando la domanda di risarcimento dei danni avanzata dal singolo condominio si ricolleghi all’esecuzione di una deliberazione dell’assemblea nulla, e cioè che abbia oggetto impossibile, illecito, o non rientrante nelle competenze condominiali, o che incida sui diritti individuali inerenti alle parti comuni o alla proprietà esclusiva di ognuno dei partecipanti. Va perciò enunciato il seguente principio. La delibera dell’assemblea di condominio, che privi un singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo quest’ultimo, lamentando la nullità della suddetta delibera, ha perciò la facoltà di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, dovendosi imputare alla collettività condominiale gli atti compiuti e l’attività svolta in suo nome, nonché le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo. Essendo la nullità della delibera dell’assemblea fatto ostativo all’insorgere del potere - dovere dell’amministratore di eseguire la stessa, l’azione risarcitoria del singolo partecipante nei confronti del condominio è ravvisabile non soltanto come scelta subordinata alla tutela demolitoria ex art. 1137 c.c., ma anche come opzione del tutto autonoma. II.4.Deve, in definitiva, essere accolto il secondo motivo di ricorso e dichiarato assorbito il primo motivo il quale, attenendo alle ragioni, addotte dalla ricorrente, della mancata impugnazione della delibera ex art. 1117 c.c., rimane privo di rilevanza decisoria in conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo, in base al quale, come visto, l’impugnazione ex art. 1137 c.c. non era affatto presupposto indispensabile per l’esperibilità della proposta azione risarcitoria . La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, che deciderà la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, anche per le spese del giudizio di cassazione.