Officina rumorosa: va risarcito il proprietario dell’appartamento soprastante

Respinte le obiezioni dei titolari della piccola ditta. Legittime le proteste dell’uomo che ha l’abitazione proprio sopra l’officina. Evidente la lesione da lui subita sul fronte del pieno svolgimento della vita domestica.

Troppo rumoroso il lavoro di riparazione delle automobili. Legittima, quindi, la condanna dei proprietari a risarcire i danni arrecati alla persona che ha il proprio appartamento esattamente sopra l’autofficina Cassazione, ordinanza n. 21554/2018, Sezione Seconda Civile, depositata il 3 settembre . Danno. Vittoria in ambito giudiziario per la persona – un uomo – lamentatasi per i fastidi provocatigli dai rumori provenienti dall’officina collocata proprio sotto la sua abitazione. Riconosciuto, quindi, il suo diritto ad ottenere un adeguato risarcimento dei danni , quantificato in circa 10mila euro. Proprio la cifra, però, non viene ritenuta sufficiente dall’uomo, che sceglie di presentare ricorso in Cassazione. In sostanza, in Corte d’Appello i Giudici hanno ritenuto che seppure le immissioni di rumore privavano il proprietario della possibilità di godere in modo pieno e pacifico della propria abitazione, non poteva ritenersi provato un danno alla salute . Di conseguenza, l’unico danno risarcibile è quello della compromissione del pieno svolgimento della vita domestica , è stato sancito in Appello. Ecco spiegata la scelta di ridurre la cifra riconosciuta in Tribunale, anche tenendo presente che sulla base dei rilievi effettuati, le immissioni provenienti dall’officina risultavano superare la soglia di normale tollerabilità in un solo ambiente della casa e in misura contenuta ed inoltre nel solo orario di apertura dell’officina . Uso. Riflettori puntati quindi sul calcolo del risarcimento. E su questo fronte i Giudici della Cassazione accolgono, seppur solo in parte, le obiezioni mosse dal proprietario dell’appartamento. Una volta ritenute legittime le proteste dell’uomo per i fastidiosi rumori provenienti dall’officina, i magistrati del ‘Palazzaccio’ escludono innanzitutto l’esistenza di un danno alla salute , mancando una prova certa del pregiudizio subito dall’uomo. E questo dato, aggiungono i giudici, non è in contrasto col riconoscimento del danno derivante dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare . Discorso diverso, invece, per quanto concerne la presunta priorità temporale dell’attività commerciale rispetto alla destinazione abitativa . Su questo fronte i giudici della Cassazione censurano la decisione emessa in Corte d’appello, decisione che ha erroneamente considerato, ai fini dell’ammontare del risarcimento, pure il criterio della ‘priorità dell’uso’ . Da rivedere, quindi, la cifra stabilita in secondo grado e che i titolari dell’officina dovranno versare al proprietario dell’abitazione. E in questa prospettiva la Corte d’appello dovrà tenere bene a mente, spiegano dalla Cassazione, che il Codice Civile sì impone, nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio , ma l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità comporta, nella liquidazione del danno da immissioni, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto, venendo in considerazione in tale ipotesi unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni e, specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 febbraio – 3 settembre 2018, numero 21554 Presidente Oricchio – Relatore Federico Fatto F.E. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’Officina F.lli L. al pagamento di 10.500,00 Euro a titolo di risarcimento danni in favore dell’odierno ricorrente. La Corte territoriale, in particolare, riteneva che seppure le immissioni di rumore privavano il proprietario della possibilità di godere in modo pieno e pacifico della propria abitazione, non poteva ritenersi provato un danno alla salute, per cui l’unico danno risarcibile era quello della compromissione del pieno svolgimento della vita domestica. Considerato dunque che, sulla base dei rilievi effettuati, le immissioni provenienti dall’officina risultavano superare la soglia di normale tollerabilità in un solo ambiente della casa ed in misura contenuta DA 3 a 5 DbA ed inoltre nel solo orario di apertura dell’officina, determinava in via equitativa l’ammontare del risarcimento del danno in 10.550,00 Euro, riducendo l’ammontare originariamente liquidato. L’Officina L. resiste con controricorso, illustrato da memorie ex art. 380 bis cpc. Considerato in diritto Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 844, 2043, 2059, 1226 c.c., 112 e 115 cpc, in relazione all’art. 360 numero 3 codice di rito. Il ricorrente censura, in particolare, la statuizione della sentenza impugnata che ha ridotto il risarcimento del danno sul rilievo che non risultava provato un danno alla salute, ma unicamente una compromissione al pieno svolgimento della vita domestica, deducendo che in materia di immissioni intollerabili il danno non patrimoniale alla salute non dev’essere specificamente provato in quanto sussistente in re ipsa. Il motivo è infondato. Ed invero, secondo il più recente indirizzo di questa Corte, il danno alla salute non può ritenersi sussistente in re ipsa. L’assenza di un danno biologico documentato peraltro, non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo Cass. Ss.Uu.2611/2007 . A tale indirizzo si è conformata la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che non potesse ritenersi provato un danno alla salute, riconoscendo peraltro all’odierno ricorrente il risarcimento del danno derivante dalla lesione al normale svolgimento della vita familiare. Del pari esente da censure l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’odierno ricorrente non aveva allegato un danno alla salute, dovendo tale affermazione intendersi nel senso che non era stato specificamente allegato un concreto pregiudizio alla salute, e soprattutto tale pregiudizio, non riconducibile alla mera intollerabilità delle immissioni, non era stato dimostrato. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 844 comma 2, 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 numero 3 cpc, per avere la Corte territoriale illegittimamente tenuto conto della assoluta priorità temporale dell’attività commerciale esercitata, rispetto alla destinazione abitativa, nella determinazione dei danni. Il motivo è fondato. L’art. 844 cod. civ. impone, infatti, nei limiti della valutazione della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod.civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile e, specificamente, per quanto concerne il danno non patrimoniale risarcibile, dell’articolo 2059 cod. civ. Cass.5844/2007 . A tale criterio interpretativo non risulta essersi conformata la sentenza impugnata, che ha erroneamente considerato, ai fini dell’ammontare del risarcimento, pure il criterio della priorità dell’uso . Ed invero secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la valutazione equitativa, avendo ad oggetto un apprezzamento di fatto, è sottratta al sindacato di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici, mentre nel caso di specie uno dei criteri di determinazione del danno utilizzati dal giudice di merito risulta errato, non potendo ad esso farsi riferimento ai fini della liquidazione del danno. L’accoglimento del secondo motivo assorbe l’esame del terzo motivo, con i quali si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, rispettivamente, in relazione alla data di effettiva destinazione abitativa dell’immobile, rispetto all’inizio di attività dell’officina. Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 numero 5 cpc, in relazione all’effettiva estensione del salone, unico locale in cui erano state riscontrate le immissioni intollerabili, erroneamente determinata in 25 mq. invece che in 38 mq. Il motivo è inammissibile. Ed invero l’art. 360 comma 1 cpc, come riformulato dall’art. 54 Dl 83/2012, conv. nella L. 134/2012 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo al’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che il ricorrente deve indicare non solo il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, ma anche il come e quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività Cass. Ss.Uu.8053/2014 . Orbene nel caso di specie la ricorrente non ha assolto all’onere di specificare con che modalità ed in quale fase processuale la questione relativa all’estensione del salone sia stata ritualmente introdotta ed oggetto di discussione processuale tra le parti. Da ciò l’inammissibilità della censura. In conclusione respinto il primo motivo e dichiarato inammissibile il quarto motivo, va accolto il secondo motivo, assorbito il terzo. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo e dichiara inammissibile il quarto motivo. Accoglie il secondo motivo, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.