Disciplina applicabile in casi di apertura di luci e vedute sul cortile comune

La regolamentazione sulle distanze è applicabile quando lo spazio su cui si apre la veduta è in comune, poiché in comproprietà o in condominio, ma solo se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni. In caso di contrasto prevale, in virtù della sua specialità, la regola di cui all’art. 1102 c.c

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n, 17002/18, depositata il 27 giugno. Il caso. Il Tribunale di Sondrio veniva chiamato a dirimere il conflitto” insorto tra vicini di casa per la costruzione, da parte del convenuto, di opere in sopraelevazione con apertura di vedute, luci e balconi sul cortile comune senza il rispetto delle distanze ed in violazione delle vigenti N.T.A. e P.R.G Il Giudice accoglieva la domanda attorea ed ordinava la demolizione delle nuove vedute e dei balconi, oltre alla regolarizzazione delle luci. La decisione veniva confermata in sede di appello. Apertura di luci e vedute. Giunta la vicenda dinanzi ai Giudici di legittimità, questi ricordano che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la regolamentazione sulle distanze è applicabile quando lo spazio su cui si apre la veduta è in comune, poiché in comproprietà tra le parti in causa o in condominio, solo se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni. In caso di contrasto prevale, in virtù della sua specialità, la regola di cui all’art. 1102 c.c. che consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune senza alterarne la destinazione o impedire agli altri partecipanti di farne uso. Aggiunge dunque la Suprema Corte che sulla base del principio nemini res sua servit e della considerazione che i cortili condominiali o, comunque, comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo, dai proprietari del bene comune o dai condomini, tenuti solo al rispetto dell’art. 1102 c.c. . Ne consegue che tra le facoltà riconosciute a questi ultimi rientra anche quella di praticare aperture che consentano il passaggio di aria e luce senza che possano essere opposte le limitazioni di cui agli artt. 901 – 907 c.c., posto che tale modalità di fruizione del bene comune ordinariamente non comporta ostacoli al godimento da parte degli altri compartecipi né pregiudizi agli altri immobili. Erroneamente dunque il giudice di merito ha ritenuto che la deroga alla normativa sulle vedute, sui balconi e sulle luci riguardi solo i fabbricati condominiale, escludente l’applicabilità dell’art. 1102 c.c. e dei principi summenzionati con riferimento all’ipotersi della proprietà comune di un cortile non condominiale. Ristrutturazione o nuova costruzione? Analizzando la censura incidentale, secondo cui le opere contestate non rientrano nel concetto di ristrutturazione ma debbono essere considerate quali nuove costruzioni, la Corte rammenta che sono opere edilizie di mera ristrutturazione quelle che comportano modifiche esclusivamente interne. È invece ravvisabile una costruzione” laddove siano modificate le competenti essenziali dell’edificio quali i muri perimetrali, le struttura orizzontali e la copertura. Nel caso di specie, è riscontrabile un aumento di volumetria del 6% del totale con incremento dell’altezza del fabbricato, dovendo dunque l’interevento rientrare nel concetto di nuova costruzione” per la quale il giudice del rinvio dovrà verificare il rispetto delle distanze sulla base delle disposizioni applicabili. In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 5 aprile – 27 giugno 2018, n. 17002 Presidente Orilia – Relatore Grasso Fatto e diritto Ritenuto che con atto di citazione notificato in data 11 marzo 2005 L.A. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Sondrio, P.M. e A. chiedendo che le opere da questi eseguite sul fabbricato sito nel Comune di f. , mapp. contiguo alla propria casa f. , mapp. ora e alla corte comune f. mapp. , realizzate in sopraelevazione dell’edificio in violazione delle vigenti N.T.A. e del P.R.G., con apertura di vedute, luci e balconi sulla corte comune senza il rispetto delle relative distanze o senza i requisiti di legge, venissero demolite o riportate nei limiti della legalità che si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto delle domande proposte, deducendo che l’intervento effettuato era da considerarsi legittimo in quanto opera di ristrutturazione che istruita la causa con acquisizione documentale e consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza depositata il 24 agosto 2009, il Tribunale di Sondrio, respinta ogni altra domanda ed eccezione, condannava i convenuti alla eliminazione delle nuove vedute dirette e dei balconi realizzati sulla corte comune, mapp. , nonché alla regolarizzazione delle luci aperte sulla medesima corte, sulla scorta del dettato di cui gli artt. 901 e 902 c.c., compensando tra le parti le spese di lite che L.A. impugnava la sentenza chiedendone la riforma parziale nella parte in cui non aveva accolto la domanda relativa alla demolizione o all’arretramento della nuova costruzione in sopraelevazione e dei corpi aggettanti corpo scala e pilastro prospicienti i mappali omissis e nella parte in cui non aveva provveduto sulla richiesta di risarcimento del danno che P.A. e M. si costituivano contestando l’impugnazione e proponevano appello incidentale al fine di accertare la conformità delle luci e delle vedute alle prescrizioni di legge che, con sentenza depositata il 15 maggio 2013, la Corte d’appello di Milano rigettava entrambi gli appelli e confermava la sentenza del Tribunale di Sondrio che avverso la sentenza della Corte d’appello P.A. e M. hanno proposto ricorso per cassazione con un unico motivo e illustrato da memoria che L.A. ha resistito in giudizio proponendo ricorso incidentale contrastato, a sua volta, da controricorso e memoria Considerato che, in via preliminare, va dichiarata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale sul presupposto della sua tardività, poiché la notificazione a mezzo posta eseguita mediante consegna dell’atto a persona diversa dal suo destinatario si perfeziona, dopo l’entrata in vigore del comma 6 dell’art. 7 della L. n. 890 del 1982 introdotto dall’art. 36, comma 2-quater, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla L. n. 31 del 2008 , con la spedizione, al destinatario medesimo, della lettera raccomandata con cui l’agente postale lo informa dell’avvenuto recapito dell’atto al terzo estraneo, pur abilitato a riceverlo Cass. 3 ottobre 2016, n. 19730 che nel caso di specie la consegna del plico al portiere è avvenuta il 30 aprile 2014, mentre l’avviso al destinatario è stato comunicato il 15 maggio 2014 e la consegna del controricorso all’ufficiale giudiziario è avvenuta il 12 giugno 2014 che con l’unico motivo di ricorso P.A. e M. eccepiscono la violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 1102 c.c. con riferimento agli artt. 905 e 906 c.c. . Secondo i ricorrenti, l’apertura di una finestra in un immobile di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari verso un’area di proprietà comune e indivisa tra le parti o la realizzazione di un balcone in prossimità di essa non costituirebbero opere idonee a un suo asservimento, bensì esercizio del diritto di proprietà. A tal fine deducono che l’apertura di luci, vedute e balconi realizzata nel caso di specie deve ritenersi legittima essendo comproprietari pro indiviso della corte comune sulla quale affaccia sia la porzione di loro esclusiva proprietà sia la porzione di proprietà del L. . Tale corte comune dà accesso alle diverse proprietà fornendo luce e aria alle stesse e non è ravvisabile alcuna servitù a carico del cortile comune in seguito alla realizzazione delle aperture in oggetto, che non alterano la destinazione del fondo in comproprietà che il motivo è fondato che, secondo la prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte, la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprietà tra le parti in causa o in condominio, soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la fondamentale regola di cui all’art. 1102 c.c., in ragione della sua specialità, a termini della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, senza alterarne la destinazione o impedire agli altri partecipanti di farne pari uso Cass. 19 dicembre 2017, n. 30528 Cass. 9 giugno 2010, n. 13874 Cass. 19 ottobre 2005, n. 20200, risultando superato l’orientamento risalente a Cass. 21 maggio 2008, n. 12989, secondo cui la qualità comune del bene su cui ricade 13 veduta non esclude il rispetto delle distanze predette che sulla base del principio nemini res sua servit e della considerazione che i cortili condominiali o, comunque, comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo, dai proprietari del bene comune o dai condomini, tenuti solo al rispetto dell’art. 1102 c.c. Cass. n. 20200/2005 che, pertanto, nell’ambito delle facoltà riconosciute rientra anche quella di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte dagli artt. 901-907 c.c. a garanzia della libertà dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, Mila riservatezza e sicurezza dei rispettivi titolari, considerato che tali modalità di fruizione del bene comune ordinariamente non comportano ostacoli al godimento dello stesso da parte dei compartecipi, né pregiudizi agli immobili di proprietà esclusiva che, pertanto, erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che la deroga alla normativa sulle vedute, sui balconi e sulle luci riguardi soltanto i fabbricati condominiali, ovvero i casi in cui già sussisteva un’analoga servitù di veduta, trovando applicazione i principi richiamati anche nell’ipotesi di proprietà comune di un cortile non condominiale, essendo l’art. 1102 c.c. dettato per regolare il godimento del bene in comunione che con il ricorso incidentale L.A. deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 873 c.c., art. 9 del d.m. 1444/1968, art. 6.3/1 N.T.A. del P.R.G. vigente nel Comune di al tempo dell’intervento, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c Secondo quanto argomentato, contrariamente alla motivazione della sentenza, le dimensioni dell’edificio realizzato eccedono quelle dell’originario manufatto vengono in rilievo in particolare il sopralzo sui lati nord ed ovest, i nuovi terrazzi sul lato nord, il nuovo pilastro e una parte del corpo scale sul lato ovest , che non può quindi costituire un’opera di recupero e di ristrutturazione del preesistente ma una nuova costruzione, con la conseguenza della necessità di rispettare le distanze previste dalla legge e dal regolamento che il motivo è fondato che nell’ambito delle opere edilizie la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la ricostruzione allorché dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2011, n. 21578 che in presenza di tali aumenti - a prescindere dalla loro ampiezza - si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione , come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima Cass., 20 agosto 2015, n. 17043 che, nel caso di specie, come accertato nella pronuncia impugnata, vi è stato un aumento di volumetria pari al 6% del totale, che ha determinato altresì l’incremento dell’altezza del fabbricato, per cui la fattispecie, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello di Milano, ricade senz’altro nella nozione di nuova costruzione . È necessario, pertanto, verificare il rispetto delle distanze, sulla base delle disposizioni applicabili, tenendo conto di tale qualificazione del manufatto che la sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata sia in relazione al ricorso principale sia a quello incidentale, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale e quello incidentale cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.