Proprietario esclusivo di una frazione del cortile? Nessuna presunzione di comunione sulla parte restante

È da escludersi la presunzione di comunione se uno o più soggetti risultano proprietari di quote di un cortile utilizzato per accedere ad unità immobiliari.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 28395/17, depositata il 28 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Brescia, confermando la sentenza del Tribunale di Bergamo, rigettava la domanda volta all’accertamento del diritto di comproprietà dell’area di sedime e del cortile attraverso i quali gli attori e i convenuti – gli stessi da cui gli attori avevano acquistato la loro proprietà – accedevano alle loro unità immobiliari. Avverso la sentenza d’appello le parti che invocano la comproprietà propongono ricorso per cassazione affermando la presenza di una comunione necessaria delle pertinenze oggetto del ricorso ai sensi degli artt. 1117 Parti comuni dell’edificio e 1117- bis Ambito di applicabilità c.c., posto che nel contratto di vendita non era stata inserita alcuna clausola negoziale di proprietà esclusiva. La presunzione di comunione. La Suprema Corte nega la sussistenza di una comunione del cortile e delle parti oggetto del contendere, poiché dall’atto di vendita risultava chiaramente che i ricorrenti avessero acquistato una quota del cortile stesso, pertanto la presunzione di comunione non soccorre ove l’indagine sui titoli di proprietà conduca a ritenere che tale destinazione non sia stata operata quando il suolo e gli edifici appartenevano a una stessa persona o a più persone pro indiviso . La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 settembre – 28 novembre 2017, n. 28395 Presidente Bianchini – Relatore Grasso Fatto e diritto Ritenuto che la Corte d’appello di Brescia, con sentenza pubblicata il 21/5/2013, confermò quella emessa dal Tribunale di Bergamo del 7/1/2008, con la quale era stata disattesa la domanda avanzata da F.P. e C.G. , i quali avevano citato in giudizio B.A. , Be.Gi. , G.C. , B.M. e Ce.Ca. , per chiedere che fosse accertato il diritto di comproprietà degli attori dell’area di sedime, nonché del cortile, dal quale aveva accesso l’unità immobiliare da loro acquistata, nel 1987, dai coniugi B. -Be. abitazione, quota parte del cortile e una porzione di tettoia e dal quale accedevano gli altri chiamati in causa, acquirenti sempre dei predetti coniugi, con condanna alla rimozione delle opere collocate sull’area rivendicata come comune che avverso quest’ultima sentenza propongono ricorso per cassazione F.P. e C.G. illustrando unitaria, articolata censura, all’accoglimento della quale insistono con memoria successivamente depositata e che B.A. , Be.Gi. , B.M. e G.C. resistono conti controricorso considerato che i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1117 e 1117 bis, cod. civ., in quanto, secondo la loro ricostruzione, i giudici del merito avevano errato nell’affermare che si fosse in presenza di tre distinti corpi di fabbrica che non davano vita al condominio, essendo un tale convincimento stato fondato su una lettura fallace dei documenti di causa in particolare i dati catastali ed il contratto e sulla base delle risultanze di una non condivisibile CTU, senza contare che l’art. 1117 bis, cod. civ., impone estensione dei principi di cui all’articolo che lo precede in ipotesi di fabbricati limitrofi e autonomi, prospicienti la medesima area, destinata a dare aria e luce a tutte le unità che in essa si affacciano e, di conseguenza, con il contratto d’acquisto si era venuta a costituire una comunione necessaria, non soggetta a scioglimento, non essendo stata effettuata riserva negoziale di proprietà esclusiva, tutto ciò, concludono i ricorrenti, in conformità con il comportamento mantenuto nel corso degli anni considerato che l’esposto motivo non merita di essere accolto in quanto, pur vero che la condominialità del cortile può sussistere in presenza di edifici distinti in corpi di fabbrica separati, tuttavia una tale presunzione risulta essere stata smentita, con vaglio di merito in questa sede incensurabile, dalla locale Corte considerato che tale vaglio ha messo in evidenza, quale circostanza univoca di senso contrario che il cortile non serve a dare aria e luce alle unità acquistate dai ricorrenti cfr. Sez. 2, n. 14559, 30/7/2004, Rv. 575122 Sez. 2, n. 17993, 2/8/2010, Rv. 614187 considerato che è stato, inoltre, soggiunto che una quota del cortile in parola venne frazionata e ceduta in proprietà esclusiva agli acquirenti con l’atto di compravendita, e, pertanto, seguendo indirizzo interpretativo antico e consolidato deve ribadirsi che la presunzione di comunione non soccorre ove l’indagine sui titoli di proprietà conduca a ritenere che tale destinazione non sia stata operata quando il suolo e gli edifici appartenevano a una stessa persona o a più persone pro indiviso, ovvero che ne sia stata prevista la soppressione all’atto di frazionamento, stante che in tali ipotesi - a meno che non fosse stata stipulata una nuova, apposita convenzione scritta, oppure a meno che non si fosse verificata l’usucapione - le norme relative all’accessione e alla forma scritta richiesta ad substantiam per il trasferimento dei diritti reali immobiliari, non avrebbero consentito ai proprietari di edifici, diversi da quello in cui la cosa e situata, di acquistarne la comproprietà, anche se la sua costruzione o trasformazione fosse avvenuta d’accordo fra gli interessati e anche se le relative spese fossero state sostenute in tutto o in parte da persona diversa dal dominus soli Sez. 2, n. 3501, 22/10/1975, Rv. 377676 Sez. 2, n. 4881, 26/4/1993, Rv. 482042 considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate considerato che, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12 applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.