Il regolamento non può vietare ai condomini di affittare ai turisti la propria abitazione per le vacanze

La vicenda decisa dalla Seconda Sezione della Corte di Cassazione con sentenza numero 22711 del 28 settembre 2017 principia, in primo grado, con la citazione in giudizio di un condominio da parte di alcuni condòmini.

Il caso. Gli attori, in particolare, lamentavano come il regolamento condominiale recasse una previsione che imponeva il divieto di destinare i locali di proprietà privata ad uso diverso da quello abitativo, ivi compreso l’affitto o subaffitto sotto forma di pensione o albergo. Il condominio era infatti sito in una nota zona balneare italiana e sarebbe stato interesse dei condòmini locare i propri immobili ai turisti giunti per le vacanze estive. Il condominio si costituiva in giudizio negando gli addebiti avversari e sostenendo come la disposizione sopra citata poi in seguito comunque dichiarata nulla dal giudice , pur vietando affitti e subaffitti, non vietava comunque la locazione ad uso transitorio stagionale, che era poi l’attività che i condòmini lamentavano di non avere potuto svolgere a causa del regolamento. In conseguenza, il condominio concludeva che nessun danno potesse essere stato causato ai proprietari dal regolamento. Il giudice, all’esito del giudizio, rigettava la domanda dei condòmini. È nulla la clausola del regolamento mirata a disciplinare l’uso o costituire divieti con oggetto beni di proprietà dei privati. In ragione della soccombenza i condòmini proponevano appello alla sentenza di prime cure. Le contestazioni degli appellanti vertevano, sinteticamente, sull’asserita mancata valutazione da parte del giudice di primo grado del danno cagionato ai proprietari da parte del regolamento condominiale. Questo, infatti, può unicamente disporre sulla gestione dei beni comuni, mentre risulta nulla qualunque clausola del regolamento mirata a disciplinare l’uso o costituire divieti con oggetto beni di proprietà dei privati. La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava l’appello proposto. In particolare i giudici del riesame motivavano specificando che la disposizione oggetto del giudizio benché annullata dal Tribunale di Messina perché lesiva delle prerogative dei singoli condomini ed illegittimamente invasiva delle facoltà connesse al diritto di proprietà individuale, tuttavia non precludeva la possibilità di locare i vani ad uso abitativo anche per brevissimi periodi” aggiungendo che il divieto riguardava esclusivamente l’affitto degli immobili sotto forma di pensione o albergo, mentre erano consentite tutte quelle utilizzazioni compatibili con la natura del luogo, ivi comprese la locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi”. La vicenda approda in Cassazione, ma la Corte non vira rispetto alla linea di pensiero adottata dai giudici di merito. Alla luce della duplice soccombenza, i condòmini ricorrevano in Corte di Cassazione depositando un ricorso nel quale, in sintesi, sostenevano che i giudici di appello avessero errato nel valutare l’assenza di un danno economico cagionato dall’illegittima clausola regolamentale. All’esito del giudizio, tuttavia, la cassazione non si discostava dalla linea di pensiero seguita dai giudici di merito e rigettava il ricorso condannando le parti ricorrenti alla corresponsione delle spese del giudizio. È interessante notare come nessuno dei tre giudici intervenuti abbia in alcun modo avallato la clausola regolamentale citata. Come già riportato, infatti, la clausola in oggetto era nulla in quanto stabiliva limiti di utilizzo alle parti private che non avrebbero potuto essere previsti in un regolamento condominiale. È pur legittimo vietare un’attività, ma solo se questa costituisce un pregiudizio per il decoro, per la tranquillità o per la sicurezza dello stabile e dei suoi abitanti, cosa che la l’affitto e subaffitto della singola unità non pare poter integrare. Il giudizio, tuttavia, non verteva tanto sulla legittimità della clausola, quanto sul danno causato dall’impossibilità di concedere in locazione gli appartamenti ai turisti. Come bene evidenziato dai Giudici, però, il regolamento – pur viziato – non aveva cagionato alcun danno ai condòmini. L’attività vietata, infatti, era solo quella dell’affitto a uso pensione o albergo, quindi l’utilizzo dell’appartamento al fine di costituire una stabile attività commerciale. Tale attività, sottolineano i decidenti, non avrebbe comunque regolamento o meno essere svolta in quanto i condòmini non avevano alcuna licenza alberghiera. Il regolamento, comunque, non impediva loro di locare i propri appartamenti ai turisti per brevi affitti nella stagione estiva e la mancata espletazione di tale attività era unicamente imputabile agli stessi proprietari.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 luglio – 28 settembre 2017, n. 22711 Presidente Bianchini – Relatore Varrone Fatti di causa 1.- Con atto di citazione notificato in data 28 novembre 1996, Al.Le. e A.G. , proprietari di alcune unità facenti parte del complesso immobiliare denominato omissis , ubicato in , contrada , convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Messina l’amministratore pro tempore chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati dall’inutilizzabilità di detti immobili derivante dall’articolo 4 del regolamento condominiale con il quale era stato introdotto il divieto di destinare i locali di proprietà dei singoli condomini ad uso diverso da quello abitativo, di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o albergo. 1.1- Esponevano gli attori che, benché tale disposizione del regolamento condominiale fosse stata annullata dal Tribunale di Messina, con sentenza del 14 novembre 1994, tuttavia, tra l’approvazione del regolamento condominiale, avvenuta il 6 ottobre 1984 ed il passaggio in giudicato della sentenza, avvenuto il 29 dicembre 1995, non avevano potuto affittare, anche per brevi periodi, i vani di loro proprietà ai clienti dello stabilimento balneare denominato Lido omissis , ubicato nelle immediate vicinanze del condominio e da essi gestito. 1.2- Nel costituirsi in giudizio, il condominio contestava la fondatezza della domanda, evidenziando che la disposizione regolamentare non vietava la locazione ad uso transitorio stagionale, che avrebbe consentito agli attori di trarre dai loro immobili le utilità auspicate e di evitare il danno. 1.3- Intervenivano in giudizio anche i coniugi G.E. e P.S. , comproprietari di due monolocali facenti parte del condominio, chiedendo il rigetto della domanda. 1.4- Il Tribunale rigettava la domanda e condannava gli attori al pagamento delle spese processuali. 2.- Avverso tale sentenza veniva proposto appello. 2.1- Gli appellanti contestavano il rigetto della domanda risarcitoria perché il tribunale non aveva considerato che, con sentenza ormai passata in giudicato, era stata dichiarata la nullità della delibera con cui era stato approvato l’articolo 4 del regolamento condominiale, poiché ritenuta lesiva del diritto di proprietà dei singoli condomini. La ratio di detta pronuncia era quella di riconoscere che la disposizione regolamentare annullata aveva arrecato danni ai condomini dissenzienti, come peraltro emerso dalle prove assunte nel giudizio di primo grado, a causa dell’impossibilità di continuare ad esercitare l’attività turistico alberghiera conseguente al divieto di cui all’articolo 4 citato che aveva imposto l’utilizzo personale degli immobili o l’affitto saltuario, ricavando un reddito di gran lunga inferiore. Gli appellanti osservavano che solo in comparsa conclusionale il condominio aveva eccepito la mancata documentazione del possesso dei requisiti dell’autorizzazione necessaria per l’espletamento di attività alberghiera, quando ormai era incorso nella decadenza di legge. 2.2- La Corte d’Appello di Messina rigettava l’appello. 2.3- Secondo i giudici del gravame la disposizione regolarmente annullata introduceva il divieto di destinare il locale ad uso diverso dalla privata abitazione, attesa la destinazione degli immobili al luogo di riposo e di villeggiatura e, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, detto disposizione, benché annullata dal Tribunale di Messina perché lesiva delle prerogative dei singoli condomini ed illegittimamente invasiva delle facoltà connessi al diritto di proprietà individuale, tuttavia, non precludeva la possibilità di locare i vani ad uso abitativo anche per brevissimi periodi. Il divieto riguardava esclusivamente l’affitto degli immobili sotto forma di pensione o albergo, mentre erano consentite tutte quelle utilizzazioni compatibili con la natura del luogo, ivi comprese le locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi. Tali locazioni rappresentavano la forma usuale di sfruttamento degli immobili degli appellanti, come emerso dalle disposizioni dei testi e dalle stesse dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio, dalle quali risultava che gli immobili in questione, fino all’approvazione del regolamento condominiale, erano affittati per brevi periodi dai clienti dello stabilimento balneare gestito dagli stessi A. . Del resto, nella stessa comparsa conclusionale relativa al giudizio di primo grado, gli appellanti avevano pacificamente riconosciuto di non aver mai utilizzato i loro appartamenti per pensione o albergo proprio in virtù del l’ubicazione degli stessi che ben si adattavano a locazioni stagionali. Il tenore letterale della previsione regolamentare, come risultato anche dai lavori preparatori nel corso dei quali era stato eliminato il divieto della cessione di godimento delle unità per soggiorni saltuari, confermava tale interpretazione. Pertanto, secondo la Corte d’Appello, non risultava provato che la vigenza della disposizione avesse recato danno agli appellanti, attesa, da un lato, la possibilità di mantenere le abituali forme di sfruttamento economico delle unità abitative di proprietà e, dall’altro, la mancata documentazione del possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività alberghiera. Inoltre gli stessi appellanti avevano implicitamente ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall’esercizio della preclusa attività alberghiera. 2.4- Quanto alla tardività dell’eccezione relativa alla mancata documentazione, risultava dagli atti che era stata già sollevata in comparsa di costituzione. In ogni caso la preclusione di cui all’articolo 180, secondo comma, cod. proc. civ. aveva ad oggetto le sole eccezioni in senso proprio e non si estendeva alle eccezioni improprie o alle mere difese, ossia alle deduzioni volte la contestazione dei fatti costitutivi e giustificativi allegati dalla controparte a sostegno della pretesa. 2.5- Veniva respinto anche il motivo di gravame con il quale gli appellanti avevano lamentato che erroneamente il tribunale avesse ritenuto mancante la prova del nesso causale tra la previsione regolamentare annullata e la dedotta impossibilità di destinare le unità immobiliari allo sfruttamento turistico. La Corte d’Appello riteneva che tale motivo fosse assorbito, attesa la mancanza di prove in ordine all’an debeatur. 3.- Avverso la citata sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, Al.Li. e A.G. . Si è costituito il Condomino omissis che resiste con controricorso. In prossimità dell’udienza del 20 dicembre 2016 entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Con ordinanza del 30 dicembre 2016 è stato assegnato termine di giorni 90 al condominio intimato per depositare delibera di autorizzazione o ratifica a costituirsi nella presente fase di legittimità. In data 27 marzo 2017 è stata depositata la delibera condominiale di ratifica dell’operato dell’amministratore del condomino omissis , in relazione al conferimento del mandato speciale a costituirsi nel presente giudizio di legittimità. Ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo di ricorso viene censurata la violazione di cosa giudicata e la violazione tra chiesto e pronunciato, ai sensi degli artt. 2909 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., in relazione all’articolo 360, n 3, del medesimo codice di procedura. Secondo il ricorrente la sentenza della Corte di merito sarebbe errata per due diversi motivi in primo luogo essa ignorerebbe del tutto il giudicato sulla delibera impugnata in secondo luogo, qualora si volesse ritenere che la motivazione si riferisca a tale giudicato, sarebbe palese l’errore di interpretazione da parte della Corte d’Appello, che aveva ritenuto che tale decisione sancisse l’illegittimità della previsione regolamentare limitatamente al divieto di utilizzo dei monolocali a pensione o albergo e non in relazione anche all’affitto stagionale. 2.- Il motivo è infondato. Deve innanzitutto smentirsi l’assunto del ricorrente secondo cui la sentenza impugnata non aveva tenuto in nessun conto la sentenza passata in giudicato con la quale il Tribunale di Messina aveva annullato l’art. 4 del regolamento di condominio, in quanto, al contrario, la sentenza dava atto della sussistenza di tale giudicato, interpretandolo unitamente alla clausola del regolamento condominiale annullata. Si legge nella sentenza testualmente che come correttamente rilevato dal giudice di primo grado l’art. 4 del regolamento condominiale, benché ritenuto lesivo delle prerogative dei singoli condomini ed illegittimamente invasivo delle facoltà connesse al diritto di proprietà individuale, e conseguentemente annullato dal Tribunale di Messina, non precludeva la possibilità di locare i monovani ad uso abitativo per brevissimi periodi . 2.1- Da un lato, pertanto, risulta infondata la censura relativa alla violazione dell’art. 2909 cod. civ. per aver il giudice d’appello del tutto ignorato la sentenza del Tribunale di Messina di annullamento del regolamento condominiale e, dall’altro, risulta altrettanto infondata la censura in relazione all’errata interpretazione della suddetta sentenza. 2.2- A tal proposito deve premettersi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte cui questo collegio intende dare continuità, La violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 cod. civ., è denunziabile in cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica Sez. L., Sentenza n. 14297 del 08/06/2017. 2.3- Nella specie l’interpretazione del giudicato è congruamente motivata con riferimento al tenore complessivo della clausola annullata - pretermesso nell’esposizione del motivo in esame ma ricavabile dalla lettura della sentenza qui impugnata fol. 5 - che faceva divieto di destinare i locali ad uso diverso di privata civile abitazione, attesa la destinazione dell’immobile a luogo di riposo e di villeggiatura e pertanto è fatto divieto di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo , con ciò mettendosi in relazione il diverso uso intensivo dei locali allorché fossero stati destinati a pensione o albergo rispetto all’uso non abitativo in generale. Sicché la motivazione della sentenza risulta effettivamente immune da errori giuridici e vizi di logica, essendosi limitata a ritenere che la clausola del regolamento condominiale annullata non si riferisse ad un divieto assoluto di adibire i singoli vani dell’immobile ad uso diverso da quello di privata abitazione, e che, pertanto, fosse consentita la locazione per brevi periodi, come dimostrato anche dal tenore letterale del regolamento condominiale e dal fatto che in istruttoria si era accertato che la clausola era stata modificata proprio per chiarire tale aspetto, e che gli stessi appellanti avevano ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall’esercizio della preclusa attività alberghiera. 2.4- D’altra parte, deve anche evidenziarsi che il significato dell’espressione utilizzata nella sentenza del tribunale di Messina passata in giudicato di cui il ricorrente lamenta la violazione non è affatto univoco. In tale sentenza si legge, secondo quanto riportato nel ricorso, che l’assemblea del condominio non poteva vietare la destinazione dei locali di proprietà esclusiva ad uso diverso di privata abitazione e, tanto meno, vietare di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo. Ben poteva, pertanto, la Corte d’Appello interpretare tale espressione, come poi effettivamente ha fatto, nel senso che, se in astratto è illegittimo un regolamento condominiale che vieti una particolare destinazione agli immobili di proprietà esclusiva, in concreto tale illegittimità certamente ricomprende quella di vietare l’affitto sotto forma di pensione o di albergo. Alla luce di ciò deve allora ritenersi coperta da giudicato l’illegittimità della clausola ma non le argomentazioni svolte nella sentenza di annullamento in merito agli altri usi che sarebbero stati comunque consentiti, non costituendo, tale svolgimento logico, un presupposto ineliminabile per sostenere la illegittimità della delibera. Tanto basta, dunque, per rigettare il primo motivo di ricorso. 3.- Con il secondo motivo si fa valere l’omessa pronuncia e la violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n 4, del medesimo codice. Secondo i ricorrenti costituirebbe un errore della sentenza impugnata l’aver dichiarato assorbito il secondo motivo di appello attesa la mancanza di prova in ordine all’an debeatur, in quanto la delibera era potenzialmente produttiva di un danno che, pertanto, andava solo provato, mentre giudice d’appello avrebbe omesso totalmente di esaminare le prove raccolte nella fase istruttoria del giudizio e di conseguenza avrebbe omesso di considerare il secondo motivo di appello relativo alla prova del nesso di causalità tra la previsione regolamentare contestata e poi annullata in sede giurisdizionale e la dedotta impossibilità di destinare le unità immobiliari possedute allo sfruttamento turistico. Dunque, ricorrerebbe il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c Con il terzo motivo si fa valere l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione articolo 360, numero 5. Cos. Proc. civ. per avere la Corte d’Appello omesso di considerare l’istruttoria raccolta nel giudizio di primo grado tendente a provare l’effettiva sussistenza del danno e la quantificazione dello stesso come proverebbe quanto avvenuto in sede di interrogatorio formale e di prova testimoniale oltre che di consulenza tecnica di ufficio. Dalle considerazioni esposte in relazione al primo motivo discende anche l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso che, vista la loro intima connessione, possono essere trattati insieme. La sentenza impugnata ha ritenuto che dall’interpretazione della clausola del regolamento condominiale, così come annullata dal Tribunale di Messina, non potesse derivare nessun danno ai ricorrenti per il fatto che questi non avevano la licenza alberghiera e che, pertanto, potevano sfruttare economicamente gli immobili di loro proprietà solo mediante la locazione stagionale che il regolamento condominiale non gli vietava. I giudici del gravame, dunque, hanno ritenuto mancante il presupposto stesso del danno, in quanto l’unica attività che il regolamento vietava era l’esercizio dell’attività alberghiera e i ricorrenti non erano in possesso della licenza per esercitare tale attività. Risulta evidente, pertanto, che non vi è alcuna omissione di pronuncia e che la Corte d’Appello di Messina ha dato risposta, sia pure negativa, a tutte le doglianze fatte valere con i motivi di appello. Infatti risulta corretta anche la decisione di non esaminare il motivo di appello circa l’erronea valutazione della prova dell’esistenza del danno causato dalla forzata inutilizzazione del bene, essendo venuto meno il presupposto stesso dell’impossibilità di sfruttamento economico degli immobili. In conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 5.700,00 cinquemilasettecento , di cui 200 per esborsi.