Vietato l'utilizzo esclusivo del bene comune

Deve considerarsi illegittimo l'utilizzo esclusivo del bene comune da parte del singolo condòmino in quanto, impedendo il libero e pacifico godimento dei beni comuni, viene ad essere alterato l'equilibrio esistente tra i singoli partecipanti al condomìnio.

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20712/17 depositata in cancelleria lo scorso 4 settembre, fornisce l'occasione per affrontare alcuni temi di particolare interesse nella vita condominiale quali la legittimità delle innovazioni e l'accertamento della proprietà esclusiva da parte del singolo condòmino. Il caso in esame. Il Condomìnio cita in giudizio il proprietario dei locali a piano terra adibiti a ristorante. Questa volta il motivo della lite non è da ricercare nelle immissioni di varia natura provenienti dal locale né negli schiamazzi degli avventori o nella movida. A dare fuoco alle polveri è l'asserita appropriazione di uno spazio comune. Le lamentele del Condomìnio. Il Condomìnio addebita al ristoratore l'arbitraria occupazione di una parte del passaggio pedonale che collegava la pubblica via con l'edificio condominiale. Sottolineava, al riguardo, che in passato esisteva uso scivolo di collegamento tra la strada pubblica ed il marciapiede e ciò permetteva un più agevole collegamento con il fabbricato condominiale. Tale scivolo era stato rimosso dal proprietario del locale a piano terra che, di fatto, aveva inglobato la relativa area nella proprietà privata impedendone il libero uso da parte degli altri condòmini. Di conseguenza, il Condomìnio lamentava la violazione dell'art. 1120, comma 2, c.c. e chiedeva al Tribunale il rilascio dell'area. La difesa del ristoratore. Di contro, il ristoratore riteneva di avere un diritto di uso esclusivo sul bene in contestazione e, in proposito, richiamava un articolo del regolamento condominiale di origine contrattuale che attribuiva al proprio immobile il diritto all'uso esclusivo [] dello spazio fronteggiante i locali a piano terra [] adibiti ad attività commerciale . In ogni caso, deduceva di aver usucapito il bene avendone avuto il possesso continuativo ed indisturbato per oltre un ventennio. Il parere del Tribunale. Il Tribunale, in primo grado, respingeva le difese del ristoratore per una serie di motivi. In primo luogo, il giudice di prime cure respingeva l'interpretazione della clausola contrattuale offerta dal proprietario del ristorante in quanto lo stesso regolamento contrattuale stabiliva espressamente che i passaggi” fossero di proprietà comune. Veniva respinta anche l'invocata usucapione in quanto alcuni testi, escussi in proposito, avevano dichiarato che in un passato recente l'area in contestazione - ed il relativo scivolo - erano abitualmente utilizzati per il passaggio, da parte di tutti i condomini, sia in bicicletta, che a piedi. Di conseguenza, il Tribunale riteneva illegittimo l'uso esclusivo del bene in contestazione da parte del proprietario dei locali a piano terra e, per l'effetto, ordinava la demolizione delle opere arbitrariamente realizzate in quanto atte ad impedire il pari uso” da parte di tutti gli altri condòmini. Articolo 1120 o 1102 c.c.? Il Condomìnio aveva invocato la violazione del secondo comma dell'art. 1120 c.c. innovazioni che, ante riforma, prevedeva, testualmente I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino . In proposito, il Tribunale riscontrava una precisa violazione dell'art. 1102 c.c. uso della cosa comune che dispone Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso . Il Tribunale, chiariva la differenza tra le due disposizioni in esame. L'art. 1120 c.c. invocato dal Condomìnio, permette la realizzazione delle opere di trasformazione dei beni comuni purché ci sia il previo consenso da parte di una maggioranza qualificata dell'assemblea Cass. n. 23608/06 . L'art. 1102 c.c., viceversa, permette anche al singolo condòmino di modificare il bene comune per trarne un miglior godimento, a prescindere dall'interesse della maggioranza dei condòmini, purché le opere, ovviamente, non impediscano il pari uso del bene comune da parte degli altri partecipanti al condomìnio. L'accertamento della proprietà esclusiva da parte del singolo condòmino. Il proprietario del locale a piano terra si difende sostenendo di essere proprietario esclusivo delle aree in contestazione ma, sotto questo profilo, cade sulla classica buccia di banana rappresentata, questa volta, dai vincoli procedurali. I giudici ricordano che, ove l'amministratore di condomìnio agisca contro il singolo condòmino chiedendo il rilascio di un bene comune e quest'ultimo voglia difendersi sostenendo di essere proprietario esclusivo dello stesso, è necessario estendere il contraddittorio indistintamente a tutti i singoli condòmini Cass. n. 6649/17 . Nel caso in esame il Tribunale, in primo grado, aveva ordinato l'integrazione del contraddittorio assegnando un termine essenziale per tale adempimento. L'interessato ovvero il proprietario dei locali a piano terra aveva mancato di uniformarsi a tale ordine e, pertanto, era decaduto dalla possibilità di chiedere l'accertamento della proprietà esclusiva. Questa via, quindi, risultava preclusa con il ricorso in Cassazione. Precluso l'esame della volontà negoziale. Il ristoratore fonda la propria difesa sull'interpretazione di una clausola contenuta nel regolamento di condominio di origine contrattuale che, a suo dire, conterrebbe una riserva di proprietà dell'area in contestazione a favore dei locali a piano terra. L'area finita sotto la lente, in altre parole, costituirebbe una pertinenza dei locali a piano terra. La Cassazione, sul punto, rileva preliminarmente che il regolamento di condominio contrattuale potrebbe benissimo contenere una clausola con cui venga attribuito l'uso di un bene particolare in favore di un singolo condòmino o di un gruppo di condòmini. Parallelamente, però, gli Ermellini non possono fare altro che sottolineare l'esistenza di una preclusione e la propria incompetenza un esame di questo tipo richiederebbe, infatti, la necessità di un approfondimento sulla volontà delle parti e l'esatta ricostruzione della loro volontà negoziale, operazione, quest'ultima, che presuppone un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. Piazza Cavour, comunque, non tralascia di sottolineare come il Tribunale abbia compiutamente esaminato anche questo aspetto della vicenda. Esaminando la clausola contenuta nel regolamento di condominio invocata dal proprietario dei locali a piano terra, il Tribunale ha ritenuto che essa non fosse applicabile al caso in esame e che l'area in contestazione dovesse rientrare necessariamente tra i beni comuni. Facciamo il punto della situazione. In sostanza la Cassazione, con l'ordinanza in esame, nel confermare sostanzialmente il giudizio di primo grado, ritiene che una volta che sia stato accertato che il bene in contestazione rientra tra i beni comuni” ne deriva, come ineluttabile conseguenza, la illegittimità delle opere realizzate dal singolo condòmino che, di fatto, sottraggono tale bene all'uso ed al godimento di tutti i condòmini. Le opere poste in essere dal singolo condòmino sarebbero illegittime in quanto, riservando un vantaggio nei confronti di un singolo condòmino, porterebbero ad una alterazione dell'equilibrio tra tutti i partecipanti al condomìnio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 11 luglio – 4 settembre 2017, n. 20712 Presidente Bianchini – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione La Al Faro di M.R. s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in unico complesso motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1362 c.c. in relazione all’art. 2 del Regolamento del Condominio , notificato il 27 novembre 2014, avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, il 23 luglio 2013, su domanda del Condominio omissis , essendo stata dichiarata l’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 348-bis e dell’art. 348-ter c.p.c., con ordinanza della Corte d’Appello di Trieste del 1 ottobre 2014. Il Condominio si difende con controricorso. Il Condominio aveva domandato al Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, di accertare che la Al Faro di M.R. s.n.c., titolare del Ristorante , occupava illegittimamente il passaggio pedonale di proprietà comune posto su via accanto all’ingresso dell’area adibita a parcheggio condominiale, area originariamente costituita da uno scivolo, poi livellato, ed utilizzata dai condomini per accedere al marciapiede che costeggia l’edificio e conduce all’ingresso principale dello stesso, nonché al parcheggio. Il Condominio aveva quindi chiesto il rilascio dell’area e la demolizione del manufatto ivi eretto dalla società convenuta. La s.n.c. Al Faro di M.R. , costituitasi, aveva dedotto la sussistenza di un proprio diritto di uso esclusivo per una lunghezza di metri 2,50 oltre il marciapiede , negato l’intralcio all’accesso al fabbricato, ed allegato che una prima struttura posta ad occupazione dell’area risaliva al 1987, con conseguente acquisto della proprietà per usucapione. Stante tale pretesa della convenuta di acquisto a titolo originario dell’area, il Tribunale aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio, che non era però stata eseguita, sicché la domanda nei confronti dei singoli condomini, litisconsorti necessari, veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale. Il Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, nella sentenza impugnata, ha quindi interpretato che il diritto all’uso esclusivo dello spazio fronteggiante i locali al piano terra, nei lati ovest e sud, adibiti ad attività commerciale , attribuito dal Regolamento di condominio, registrato il 1 dicembre 1970, non inerisse i tratti di area comune adibiti a passaggio, in quanto i passaggi erano menzionati in altra parte del medesimo Regolamento come inclusi tra le parti comuni. Ciò il Tribunale spiegava anche alla luce del riferimento alla larghezza di ml. 2,5 oltre il marciapiedi . Vieppiù, si impone per il primo giudice una interpretazione non estensiva della deroga convenzionale al pari uso dei passaggi condominiali. Dai testi assunti il Tribunale ricavava anche il dato dell’intensa utilizzazione dello scivolo per il passaggio sia in bicicletta che pedonale, rilevante quale comportamento ex art. 1362, comma 2, c.c. Ciò detto sul titolo, il Tribunale aggiungeva che la collocazione di una struttura fissa ad opera della s.n.c. sull’area comune precludesse il godimento della stessa da parte degli altri condomini, connotandosi come innovazione vietata ex art. 1120, comma 2, c.c. La vantata usucapione veniva altresì esclusa avendo i testi dichiarato che, almeno fino a metà degli anni novanta, gli scivoli erano liberi . Le parti hanno depositato in data 27 e 30 giugno 2017 memorie ai sensi dell’art. 380 bis 1, c.p.c L’unico motivo di ricorso della Al Faro di M.R. s.n.c. richiama l’art. 2 del Regolamento del Condominio , e sostiene che il Tribunale abbia malamente interpretato lo stesso, in quanto i passaggi ivi contemplati si riferiscono esclusivamente alle parti interne della struttura aggiunge la ricorrente che erronea sia stata altresì la valutazione data dal Tribunale alla deposizione del testimone B. , quando al fatto che fino alla metà degli anni novanta l’area in questione fosse libera si continua nella censura evidenziando come il giudice di primo grado abbia confuso la medesima area per cui è causa con i tratti adibiti ai passaggi condominiali viene ancora accusato di essere errato il richiamo fatto in sentenza all’art. 1102 c.c., trattandosi documentalmente di area di uso esclusivo si citano in ricorso le fotografie e la planimetria depositate, distinguendo le zone evidenziate in giallo ed in verde viene criticata l’interpretazione offerta dal Tribunale alla clausola regolamentare come mera deroga al principio del pari uso delle parti comuni si insiste sulla chiara rilevabilità dal Regolamento del diritto di uso esclusivo dell’area prospiciente il Ristorante . Il motivo è in parte inammissibile ed in parte comunque infondato. Per quanto accertato in fatto, e non rivalutabile nel giudizio di legittimità, si ha riguardo ad uno spazio esterno adiacente al fabbricato del Condominio , astrattamente utilizzabile per consentire l’accesso allo stesso edificio, e dunque da qualificare come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c Il Condominio ha sostenuto che la società convenuta s.n.c. abbia stabilmente occupato tale area comune, utilizzata in parte come passaggio pedonale di comunicazione con la pubblica via ed in parte come accesso all’edificio ed al parcheggio condominiale, così realizzando una sottrazione definitiva della medesima parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all’altrui godimento. Ciò configura, in astratto, non una violazione dell’art. 1120, comma 2, c.c. testo antecedente alle modifiche introdotte con la legge n. 220/2012, qui operante ratione temporis , ma dell’art. 1102 c.c., disposizione invero applicabile a tutte le innovazioni che, come nella specie, non comportano interventi approvati dall’assemblea e quindi spese ripartite fra tutti i condomini. L’art. 1102 c.c. implica che l’uso particolare o più intenso del bene comune da parte del condomino si configura come illegittimo quando ne risulta impedito l’altrui paritario uso e sia alterata la destinazione del bene comune, dovendosi escludere che l’utilizzo da parte del singolo della cosa comune possa risolversi nella compressione quantitativa o qualitativa di quella, attuale o potenziale, di tutti i comproprietari Cass. Sez. 2, 06/11/2006, n. 23608 . Va pertanto corretto il riferimento che la sentenza impugnata fa in motivazione all’art. 1120 c.c., ritenendo integrata, nella specie, una innovazione additiva . L’art. 1102 c.c. e l’art. 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operatività diversi. Le innovazioni, di cui all’art. 1120 c.c., non corrispondono alle modificazioni, cui si riferisce l’art. 1102 c.c., atteso che le prime sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà del condomino in ordine alla migliore, più comoda e razionale, utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c. Cass. Sez. 2, 19/10/2012, n. 18052 . In realtà, tra le nozioni di modificazione della cosa comune e di innovazione e, pertanto, tra le sfere di operatività delle norme di cui all’art. 1102 e dell’art. 1120 c.c. corre una differenza che è di carattere innanzitutto soggettivo, giacché, fermo il tratto comune dell’elemento obiettivo consistente nella trasformazione della res o nel mutamento della destinazione, quel che rileva nell’art. 1120 c.c. mentre è estraneo all’art. 1102 c.c. è l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata dei partecipanti, espresso da una deliberazione dell’assemblea. Le modificazioni dell’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., non si confrontano con un interesse generale, poiché perseguono solo l’interesse del singolo, laddove la disciplina delle innovazioni segna un limite alle attribuzioni dell’assemblea. Avendosi riguardo, come detto, ad uno spazio esterno adiacente all’edificio, astrattamente incluso tra le parti comuni di cui all’art. 1117 c.c., non è più in discussione nel presente giudizio la sussistenza di un titolo di acquisto, originario o derivativo, della proprietà esclusiva di esso in capo alla s.n.c. . Come più volte affermato da questa Corte, allorché un condomino, convenuto dall’amministratore per il rilascio di uno spazio di proprietà comune occupato sine titulo , invochi l’accertamento della proprietà esclusiva su tale bene, il contraddittorio va esteso a tutti i condomini da ultimo, Cass. Sez. 6 - 2 15/03/2017, n. 6649 . Proprio in tale ottica, il Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, aveva ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini con riguardo alla pretesa della convenuta s.n.c. volta all’acquisto per usucapione dell’area in questione, ordine rimasto ineseguito entro il termine perentorio ex art. 102 c.p.c., con conseguente declaratoria di inammissibilità della domanda. Tale provvedimento, non oggetto di specifico gravame ad opera della s.n.c. , ha implicato una pronuncia di mero rito ricognitiva dell’impossibilità di proseguire la causa, in mancanza di parti necessarie, con riferimento alla deduzione dell’avvenuta usucapione. Ciò non di meno, la s.n.c. ha allegato nel presente giudizio, e pone a fondamento del suo motivo di ricorso, che lo spazio esterno al fabbricato da essa occupato non fosse destinato all’uso o al godimento comune come conseguente alla presunzione di cui all’art. 1117 c.c. . Ciò in forza di un atto di autonomia privata, quale l’art. 2 del Regolamento del Condominio , che a suo dire, espressamente disporrebbe un diverso regime, in particolare attribuendo l’area di passaggio in contesa all’uso esclusivo dei locali di proprietà individuale adibiti ad attività commerciale. Certamente, in via di principio, un regolamento condominiale cosiddetto contrattuale - contestuale alla nascita del condominio - può contenere, oltre all’indicazione delle parti dell’edificio di proprietà comune ed alle norme relative all’amministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione dell’uso esclusivo di una parte dell’edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva. In tal caso, come ha sostenuto già questa Corte, il rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall’originario unico proprietario dell’edificio, legittimato all’instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, comma 2, e 818 c.c. Cass. Sez. 2, 04/06/1992, n. 6892 ma si veda anche Cass. Sez. 2, 24/11/1997, n. 11717 . È tuttavia evidente che la ravvisabilità di un tale titolo di fonte contrattuale, che attribuisca ad uno o a più condomini l’uso esclusivo di un’area esterna al fabbricato, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all’edificio di tutti i partecipanti, costituisce questione di interpretazione, ovvero di ricostruzione dell’esatta volontà negoziale dei condomini, e presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito. A tal fine, è del tutto irrilevante il dato empirico che l’area in esame, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta ed utilizzata più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità immobiliare adibita ad attività commerciale, piuttosto che dagli altri condomini arg. da Cass. Sez. 2, 03/05/2002, n. 6359 . L’interpretazione di un regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice di merito è, come in genere l’intera materia della interpretazione negoziale, insindacabile in sede di legittimità, quanto meno per ciò che concerne la determinazione della comune volontà contrattuale nella specie, si tratta appunto della delimitazione dell’area frontistante i locali del piano terra, attribuiti convenzionalmente a diritto all’uso esclusivo , in quanto attinente ad un’indagine di fatto, sempre che essa non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per omesso esame di fatto storico decisivo, nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c Il Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, nella sentenza impugnata, ha allora accertato che il diritto all’uso esclusivo dello spazio fronteggiante i locali al piano terra, nei lati ovest e sud, adibiti ad attività commerciale , attribuito dal Regolamento di condominio, registrato il 1 dicembre 1970, non includesse i tratti di area comune adibiti a passaggio, essendo i passaggi già compresi da altra parte del medesimo Regolamento nell’ambito delle parti comuni. Pure la considerazione del riferimento spaziale alla larghezza di ml. 2,5 oltre il marciapiedi ha indotto il Tribunale a tale convincimento. La ricorrente nella sua censura propone, in sostanza, soltanto una diversa e ad essa più favorevole interpretazione delle clausole del regolamento condominiale rispetto a quella adottata dal Tribunale, e così invoca un riesame del merito della lite. Il motivo di ricorso viene rubricato come violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1362 c.c., ma, nel suo sviluppo espositivo, non prospetta la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate da tali norme di legge, e piuttosto allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze istruttorie di causa, denunciando l’errata valutazione del reale stato dei luoghi, della ubicazione e della consistenza delle aree, delle prove testimoniali assunte, della planimetria e delle riproduzioni fotografiche allegate. Ulteriore ragione di inammissibilità di dette censure della ricorrente discende dal comma 4 dell’art. 348 ter c.p.c., secondo il quale, quando l’inammissibilità dell’appello, a norma dell’art. 348 bis c.p.c., è fondata, come nel caso in esame, sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1 , 2 , 3 e 4 del primo comma dell’articolo 360, sicché è escluso il controllo di legittimità sulla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito. Una volta accertato che il passaggio pedonale posto su via accanto all’ingresso dell’area adibita a parcheggio condominiale rientra fra i beni destinati all’uso comune, è altresì corretto ritenere che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione di tale spazio esterno, configura un abuso, agli effetti dell’art. 1102 c.c., poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello stesso, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà. Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.