Parcheggio condominiale chiuso al transito: inutile per i commercianti impugnare la delibera

La Cassazione discute sulla coerenza della delibera condominiale che prevede la chiusura dei cancelli e delle sbarre di accesso all’area comune con il Regolamento condominiale impugnata dai commercianti dello stabile. Secondo la Corte il disposto dell’art. 1120 c.c. sarebbe, nella fattispecie, rispettato.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 151/17 depositata il 5 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Terni dichiarava la nullità di una delibera condominiale impugnata da due conduttori e due proprietari di unità immobiliari ad uso commerciale del condominio, che prevedeva la chiusura permanente dei cancelli e delle sbarre di accesso dell’area comune interna per tutto l’arco della giornata. La Corte d’appello, adita dal condominio, rigettava nel merito la domanda di accertamento della nullità della delibera, affermando che questa doveva essere valutata in riferimento del disposto dell’art. 1120 c.c., in materia di innovazioni relative all’uso della cosa comune. La disposta limitazione, dunque, era coerente con la previsione contenuta nel Regolamento condominiale, nel quale era stabilito che gli spazi di proprietà comune, durante le ore diurne, saranno luogo sicuro di ricreazione dei bimbi del condominio e quindi le auto dei condomini non dovranno sostare in dette aree, ad eccezione di brevi istanti per la salita e la discesa dagli automezzi . In esecuzione del Regolamento, infatti, era stata precedentemente decisa con delibera l’installazione del cancello scorrevole, con chiusura che permetteva l’accesso per le operazioni di carico e scarico delle merci presso i negozi situati nello stabile condominiale, confermando la necessità della chiusura permanente del cancello, con la sola eccezione indicata. La delibera, affermava infine la Corte d’appello, aveva prodotto soltanto la riduzione dell’uso dell’aerea comune e non l’inservibilità della stessa. Avverso tale sentenza i conduttori e i proprietari degli esercizi commerciali ricorrevano in Cassazione. La delibera condominiale è coerente con la destinazione dell’uso dell’area comune. I ricorrenti contestano l’erronea valutazione degli elementi probatori circa il Regolamento condominiale risalente al lontano 1967. Tale documento riservava sì l’area in oggetto alla ricreazione dei bimbi del condominio ma non teneva conto dell’avvenuto mutamento dell’originaria destinazione del suddetto spazio, adibito ormai a parcheggio dei condomini e al transito veicolare sia degli stessi che dei fornitori degli esercizi commerciali. Inoltre, il ricorso evidenzia che la chiusura del cancello costituiva innovazione vietata, poiché aveva determinato una menomazione dell’utilità che si traeva dall’area comune, sia dal punto di vista della visibilità che dell’accesso, anche in relazione alla potenziale clientela dei loro esercizi commerciali. La Cassazione conferma la sentenza della Corte d’appello ritenendo che la delibera impugnata dai ricorrenti circa la chiusura permanente dei cancelli e delle sbarre di accesso dell’area comune interna è meramente confermativa della delibera precedente circa l’installazione del cancello stesso, per cui coerente con la destinazione dell’area risultante dal Regolamento condominiale. Affermava di conseguenza l’aderenza della delibera al principio affermato dall’art. 1120 c.c in materia di innovazioni relative all’uso della cosa comune, secondo il quale I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni , fermo restando il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino . In conclusione, gli Ermellini rigettano il ricorso considerandolo infondato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 novembre 2016 – 5 gennaio 2017, n. 151 Presidente Migliucci – Relatore Picaroni Ritenuto in fatto 1. - È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Perugia, depositata il 28 ottobre 2010, che ha accolto l’appello proposto dal Condominio di Via Montanara nn. 36-44, avverso la sentenza del Tribunale di Terni n. 248 del 2007, e nei confronti di L.M. , M.L. , F.K. , T.G. e I.G. . 1.1. - Il Tribunale di Terni aveva parzialmente accolto la domanda proposta dai sigg. L. , M. , F. , T. e I. in qualità di conduttori i primi due, e di proprietari gli altri di unità immobiliari ad uso commerciale facenti parte del Condominio di omissis , e per l’effetto aveva dichiarato la nullità della delibera 7 ottobre 2004 nella parte in cui prevedeva la chiusura permanente dei cancelli e delle sbarre di accesso all’area provata interna per tutto l’arco della giornata. 2. - La Corte d’appello, adita dal Condominio, ha rilevato il difetto di legittimazione delle sigg. L. e M. ad impugnare la delibera, in quanto soltanto conduttrici delle unità immobiliari, e nel merito ha rigettato la domanda di accertamento della nullità della delibera condominiale 7 ottobre 2004. 2.1. - Secondo la Corte territoriale, la legittimità della delibera condominiale, che prevedeva il divieto di apertura del cancello salvo che per effettuare le operazioni di carico e scarico di merci, doveva essere valutata in riferimento al disposto dell’art. 1120 cod. civ., in materia di innovazioni relative all’uso della cosa comune, e non al disposto dell’art. 1102 cod. civ., come ritenuto dal Tribunale. In tale prospettiva, la disposta limitazione era coerente con la previsione contenuta nel Regolamento condominiale, nel quale era stabilito che gli spazi di proprietà comune, durante le ore diurne, saranno luogo sicuro di ricreazione dei bimbi del condominio e quindi le auto dei condomini non dovranno sostare in dette aree, ad eccezione di brevi istanti per la salita e la discesa dagli automezzi . In esecuzione del Regolamento, infatti, già con delibera condominiale del 4 marzo 1981 era stata decisa l’installazione del cancello scorrevole, con chiusura che permetteva l’accesso per le operazioni di carico e scarico delle merci presso i negozi situati nello stabile condominiale. Tale delibera era stata confermata con la successiva del 29 agosto 1991, la cui impugnazione era stata rigettata dal Tribunale ed era diventata definitiva, per assenza di gravame sul punto. 2.2. - La Corte d’appello ha inoltre osservato che la delibera del 7 ottobre 2004, ancora oggetto di controversia, ribadiva il contenuto di precedente delibera del 7 maggio 2004, che aveva risolto il contrasto tra condomini proprietari degli appartamenti e condomini proprietari dei locali ad uso commerciale, confermando la necessità della chiusura permanente del cancello, con l’eccezione indicata. La delibera non aveva prodotto l’inservibilità dell’area comune per alcuni condomini, e in particolare per quelli che l’avevano impugnata, ma soltanto la riduzione dell’uso dell’area comune per tutti i condomini, e tale decisione rientrava a pieno titolo nelle facoltà rimesse all’assemblea condominiale. 3. - Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso L.M. , T.G. e I.G. , sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso il Condominio di OMISSIS , che ha depositato memoria in prossimità dell’udienza del 4 maggio 2016, in esito alla quale è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di M.L. e di F.K. e quindi fissata l’udienza del 15 novembre 2016 per la decisione. Considerato in diritto 1. - Il ricorso è infondato. 1.1. - Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 112, 167 e 189 cod. proc. civ., e si denuncia l’omessa pronuncia della Corte d’appello sulle eccezioni con cui gli appellati, odierni ricorrenti, assumevano che la questione della carenza di legittimazione attiva dei condomini-conduttori non potesse essere ulteriormente esaminata in quanto, per un verso, il Condominio non l’aveva riprodotta nelle conclusioni, e, per altro verso, non era configurabile il vizio di omessa pronuncia, avendo comunque il Tribunale implicitamente disatteso la prospettazione del Condominio sul punto. 2. - Con il secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 1421 cod. civ. e 10 della legge n. 392 del 1978, e si chiede l’enunciazione del principio di diritto, anche ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., della sussistenza della legittimazione dei condomini-conduttori dei locali ad uso commerciale ad impugnare le delibere condominiali che incidono, limitandolo, sull’interesse a trarre dalle aree comuni il più proficuo utilizzo in relazione all’attività svolta. 2.1. - Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondate. Non sussiste ultrapetizione poiché la Corte d’appello era investita della questione relativa alla carenza di legittimazione attiva dei condomini-conduttori, che non poteva considerarsi rinunciata dal Condominio per il solo fatto della mancata riproposizione nella precisazione delle conclusioni ex plurimis, Cass., sez. 1, sent. n. 15860 del 2014 , sussistendo in ogni caso l’interesse alla relativa statuizione, quanto meno ai fini di regolamentazione delle spese processuali. Quanto al merito della questione, la Corte d’appello si è attenuta al principio di diritto ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell’art. 1137 cod. civ., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione dell’immobile, salvo che nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria, per la quale la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere, sono attribuite ai conduttori ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 869 del 2012 . 3. - Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, secondo comma, 1102 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione, e si contesta l’erronea valutazione degli elementi probatori, a partire dal regolamento condominiale risalente al 1967, che riservava l’area in oggetto alle attività ricreative dei bambini del condominio, mentre l’uso in concreto era mutato nel tempo, e l’area era normalmente utilizzata come parcheggio anche di giorno, dai condomini possessori di posti auto, oltre per il transito veicolare sia dei condomini sia dei fornitori degli esercizi commerciali, sicché l’originaria destinazione era mutata e la Corte d’appello avrebbe dovuto interpretare la previsione regolamentare tenendo conto del comportamento complessivo posteriore dei condomini, e quindi della evoluzione che negli anni aveva caratterizzato l’uso dell’area comune. I ricorrenti evidenziano, inoltre, che l’installazione del cancello era stata deliberata all’unanimità per impedire l’accesso con motorini ai frequentatori del bar all’epoca esistente, mentre la delibera del 7 ottobre 2004, lungi dal confermare la precedente del 7 maggio 2004, aveva per la prima volta deciso la chiusura del cancello, come era confermato dalla diffida inviata dall’amministratrice ai ricorrenti riportata nel ricorso , che faceva riferimento al divieto stabilito dall’assemblea, mentre le precedenti diffide contenevano l’invito a tenere chiuso il cancello. Sul punto, peraltro, sussisterebbe contraddittorietà, o quanto meno perplessità della motivazione resa dalla Corte d’appello, che aveva argomentato sul contenuto confermativo della precedente delibera. 4. - Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1102 cod. civ., nonché vizio di motivazione, e si contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la chiusura del cancello non costituiva innovazione che aveva reso l’area inservibile all’uso di alcuni condomini. Richiamate le doglianze prospettate con il terzo motivo, i ricorrenti evidenziano che la chiusura del cancello costituiva innovazione vietata, poiché aveva determinato una sensibile menomazione dell’utilità che in precedenza gli stessi ricorrenti traevano dal bene comune è richiamata Cass., sez. 2, sentenza n. 20639 del 2005 , sotto il profilo della visibilità e dell’accesso, anche potenziale della clientela, e che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che la verifica della legittimità della delibera dovesse essere condotta alla stregua soltanto dell’art. 1120 cod. civ La disciplina dell’uso del cancello doveva essere valutata, invece, anche in relazione al principio del pari godimento della cosa comune. 4.1. - Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perché connesse, sono infondate. 4.2. - La ratio decidendi della sentenza impugnata è duplice la Corte d’appello ha ritenuto, da un lato, che la delibera impugnata fosse meramente confermativa di precedente delibera, coerente con la destinazione dell’area risultante dal regolamento condominiale e con la già avvenuta installazione del cancello automatico, e, dall’altro lato, ha evidenziato che si trattava di delibera rispettosa della regola prevista dall’art. 1120 cod. civ., in quanto non aveva reso inservibile l’area ad alcuno dei condomini. La prima ratio è contestata con il terzo motivo, che tuttavia si risolve nella prospettazione di una interpretazione del contenuto della delibera difforme da quella operata dalla Corte di merito, vale a dire in un apprezzamento in fatto alternativo a quello e ciò, in sede di legittimità, non è consentito ex plurimis, e, Cass. 15185 del 2001 in assenza di errori di diritto e vizi logici. Rimanendo integra la prima ratio decidendi , la doglianza proposta con il quarto motivo risulta priva di decisività in quanto inidonea a condurre alla cassazione della sentenza, e come tale inammissibile ex plurimis, Sez. U, sent. 15185 del 2001 . 5. - Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, mentre è rigettata la domanda di condanna aggravata alle spese formulata in udienza dal Procuratore generale. Non sussistono, ad avviso del Collegio, i presupposti di cui all’art. 385, quarto comma, cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis , in quanto il ricorso in esame non denota un elevato grado di imprudenza, imperizia o negligenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.