Palazzina realizzata in violazione delle distanze legali: tutelati i diritti soggettivi attribuiti ai privati

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, nelle controversie tra privati derivanti dall’esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni di leggi o degli strumenti urbanistici, viene sempre in rilievo la lesione di diritti soggettivi attribuiti ai privati dalle norme medesime, anche se si tratta di norme non integrative di quelle dettate dal codice civile in materia di distanze tra le costruzioni.

Con sentenza n. 10265/16 , depositata in cancelleria il 18 maggio, la Suprema Corte ha deciso per il rigetto del ricorso. Il caso. Il titolare di un’impresa edile viene citato in giudizio dai proprietari di un edificio confinante con una palazzina di proprietà dello stesso titolare, che chiedono la condanna di quest’ultimo alla demolizione di quella parte della palazzina posta a confine con il loro edificio, realizzata in violazione delle distanze legali, nonché il risarcimento del danno. Il convenuto resiste alle domande, eccependo tra l’altro, il proprio difetto di legittimazione passiva, per aver, nel frattempo, alienato a terzi tutte le unità abitative facenti parte della palazzina da lui edificata. A seguito di ordine del giudice, viene integrato il contraddittorio nei confronti dei singoli proprietari degli appartamenti. Il Tribunale di Sassari rigetta le domande attoree. La Corte d’appello di Cagliari, in riforma della pronuncia di primo grado, condanna gli appellanti alla demolizione del fabbricato oggetto di controversia. Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono quindi i proprietari dei singoli appartamenti. Per i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe disapplicato la concessione edilizia in deroga rilasciata dall’ente comunale, erroneamente ritenendo che fosse in contrasto con un decreto assessoriale in materia di distanze legali tra costruzioni. A fronte della suddetta concessione della deroga alle distanze rilasciata dal Comune sulla base della richiamata norma regionale, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare esclusivamente la conformità o meno dello stato dei luoghi alle prescrizioni della concessione, senza entrare nella legittimità dell’atto amministrativo. Ma il motivo è infondato. Non ricorrono le condizioni per concedere la deroga sulla distanze legali. Secondo la giurisprudenza della Corte, nelle controversie tra privati derivanti dall’esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni di leggi o degli strumenti urbanistici, viene sempre in rilievo la lesione di diritti soggettivi attribuiti ai privati dalle norme medesime, anche se si tratta di norme non integrative di quelle dettate dal c.c. in materia di distanze tra le costruzioni mentre la rilevanza giuridica della concessione edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra l’amministrazione e il richiedente. La Corte d’appello ha sindacato la legittimità della concessione in deroga rilasciata dal Comune, in conformità ai principi di diritto richiamati, pervenendo alla conclusione della sua illegittimità per contrasto con le norme regionali vigenti. In particolare, la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali, nel caso in questione, non ricorrevano le condizioni per concedere la deroga sulle distanze legali. Infatti, il luogo ove è stata realizzata la costruzione non costituiva zona inedificata, né era dimostrata la impossibilità di costruire in altro modo. Ha concluso, perciò, per la sussistenza della violazione della disciplina sulle distanze legali, che prevede una distanza di metri 10 in caso di pareti finestrate, nella specie non rispettata. La doglianza risulta quindi infondata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 marzo – 18 maggio 2016, n. 10265 Presidente Migliucci – Relatore Lombardo Ritenuto in fatto 1. - F.F. e M.G. convennero in giudizio M.G.M., titolare dell'omonima impresa edile, chiedendo la condanna di quest'ultimo alla demolizione di quella parte della palazzina, posta a confine con l'edificio di essi attori, realizzata in violazione delle distanze legali, nonché al risarcimento del danno. Il convenuto resistette alle domande, eccependo, tra l'altro, il proprio difetto di legittimazione passiva, per avere nel frattempo alienato a terzi tutte le unità abitative facenti parte della palazzina da lui edificata. A seguito di ordine del giudice, venne integrato il contraddittorio nei confronti dei singoli proprietari degli appartamenti, AA.VV Il Tribunale di Sassari rigettò le domande attoree. 2. - Sul gravame proposto da F.F. e M.G., la Corte di Appello di Cagliari Sezione distaccata di Sassari , in riforma della pronuncia di primo grado, condannò gli appellati, in solido, alla demolizione del fabbricato oggetto di controversia per la parte indicata dal C.T.U. nella relazione depositata nell'ottobre 2009, nonché a corrispondere a ciascuno degli attori la somma di euro 1.500,00 a titolo di risarcimento del danno. 3. - Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono M.G.M., AA.VV. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso F.F. e M.G Considerato in diritto 1. - Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e segg. cod. civ. e dell'art. 5 del decreto assessoriale della Regione Sardegna n. 2266/U del 22.12.1983, nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte di Appello disapplicato, pur in assenza di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, la concessione edilizia in deroga rilasciata dall'ente comunale che consentiva di edificare osservando la sola distanza prescritta dal codice civile , erroneamente ritenendo che essa fosse in contrasto con quanto previsto dall'art. 5 del decreto assessoriale n. 2266/U del 22.12.1983 in materia di distanze legali tra costruzioni secondo cui le pareti finestrate degli edifici devono rispettare, da qualsiasi corpo di fabbrica, le seguenti distanze minime - Comuni della classe 1 e II metri 10 . Nelle zone inedificate esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto o risultanti libere in seguito a demolizione, contenute in un tessuto urbano già definito o consolidato, che si estendono sul fronte stradale o in profondità per una lunghezza inferiore a mt 24 per i Comuni della I e II classe, e a mt. 20 per quelli della III e IV classe, nel caso di impossibilità di costruire in aderenza, qualora il rispetto delle distanze tra pareti finestrate comporti l'inutilizzazione dell'area o una soluzione tecnica inaccettabile, il Comune può consentire la riduzione delle distanze, nel rispetto delle disposizioni del codice civile . Secondo i ricorrenti, a fronte della concessione della deroga alle distanze legali rilasciata dal Comune sulla base della richiamata norma regionale, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare esclusivamente la conformità o meno dello stato dei luoghi alle prescrizioni della concessione, senza entrare nel merito della legittimità dell'atto amministrativo. Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v'è ragione di discostarsi, nelle controversie tra privati derivanti dall'esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni di leggi o degli strumenti urbanistici, viene sempre e soltanto in rilievo la lesione di diritti soggettivi attribuiti ai privati dalle norme medesime, anche se trattasi di norme non integrative di quelle dettate dal codice civile in materia di distanze fra le costruzioni, mentre la rilevanza giuridica della concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra l'amministrazione e il richiedente Sez. U, Ordinanza n. 21578 del 19/10/2011 . Va peraltro ricordato che, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. E., il giudice ordinario ha il potere di disapplicare l'atto amministrativo illegittimo e, a tal fine, può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità dei provvedimento amministrativo incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere , alla stessa stregua del giudice amministrativo anche se non ha il potere come peraltro lo stesso giudice amministrativo di sostituire l'amministrazione negli accertamenti e valutazioni di merito che ad essa competono cfr. da ultimo Sez. L, Sentenza n. 14728 del 2610612006, Rv. 590927 . La Corte di Appello ha sindacato la legittimità della concessione in deroga rilasciata dal comune, in conformità ai richiamati principi di diritto, pervenendo alla conclusione della sua illegittimità per contrasto con le norme regionali vigenti. In particolare, la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali, nel caso di specie, non ricorrevano le condizioni per concedere la deroga sulle distanze legali prevista dall'art. 5 del detto decreto assessoriale regionale, richiamando sia il fatto che il luogo ove è stata realizzata la costruzione non costituiva zona inedificata esistendo invece sul fondo del M. altra precedente costruzione, demolita in occasione dei lavori sia il fatto che non era dimostrata la impossibilità di costruire in altra guisa. Ha concluso, perciò, per la sussistenza, nel caso di specie, della violazione della disciplina sulle distanze legali, dovendosi fare applicazione del regolamento edilizio del comune Sassari del 1997 che prevede una distanza di metri 10 in caso di pareti finestrate, nella specie non rispettata. La Corte di merito ha giustificato la sua decisione con una motivazione esauriente, esente da vizi logici e giuridici cosicché la doglianza risulta infondata. 2. - Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 879 cod. civ., nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte di Appello ritenuto che il costruttore avrebbe dovuto rispettare la distanza legale di metri dieci dalla parete frontistante per la parte di costruzione eccedente l'altezza del muro esistente posto sul confine. Anche questa censura è infondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio ritiene di dare continuità, i requisiti del muro di cinta - che, ai sensi dell'art. 878 cod. civ. non va considerato ai fini del computo delle distanze - sono a di essere isolato, nel senso che le facce di esso emergano dal suolo e siano distaccate da ogni altra costruzione b di essere destinato alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura delle proprietà limitrofe c di avere un'altezza non superiore ai tre metri. Ne consegue che il muro realizzato a confine per la recinzione di un fondo che non abbia tali caratteristiche non può essere qualificato muro di cinta, ma va considerato una costruzione vera e propria c.d. muro di fabbrica ai fini del rispetto delle distanze legali cfr. Sez. 2, Sentenza n. 12459 del 07/07/2004, Rv. 574257 . Nella specie, la Corte territoriale ha accertato che il muro preesistente sul confine superava l'altezza di metri tre di cui all'art. 878 cod. civ. essendo pari a metri 3,50 cosicché tale muro andava considerato come fabbrica ai fini delle distanze legali. Legittimamente, pertanto, e con motivazione esente da vizi logici e giuridici, i giudici di appello hanno ritenuto che la costruzione dei convenuti fosse tenuta ad osservare le distanze legali da esso. 3. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 3.200,00 tremila-duecento , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.