Riconosciuto il diritto d’uso, i coniugi possono utilizzare il capannone

Il diritto d’uso riconosciuto in un atto di compravendita si estende a tutte le utilità che possono oggettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l’usuario servirsi della cosa in modo pieno, con il solo limite del rispetto della destinazione economica della cosa.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17320/15, depositata il 31 agosto. Il caso. Due donne convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Ancona due coniugi, al fine di ottenere la restituzione della parte di capannone di loro proprietà e il risarcimento dei danni. Le attrici affermavano infatti di essere comproprietarie di un appezzamento di terreno agricolo e del capannone ivi costruito e che i due coniugi, i convenuti, dopo aver utilizzato una parte di esso per riporvi automobile e strumenti agricoli, avevano costruito un muro divisorio che aveva consentito loro di avere il possesso esclusivo della parte di capannone utilizzato, perseguendo la condotta anche dopo diverse diffide. I convenuti, sostenendo di essere titolari di un diritto d’uso sul fondo limitrofo per essere stato costruito anche con il loro concorso, presentavano domanda riconvenzionale al fine di essere dichiarati comproprietari del capannone. Il Tribunale adito dichiarava inammissibili entrambe le domande. La Corte d’appello della medesima città dichiarava le due donne le sole proprietarie del capannone, in applicazione dell’art. 934 c.c. Opere fatte sopra o sotto il suolo . Riteneva inoltre troppo generica la previsione contenuta nell’atto notarile di vendita da parte delle due attrici in favore dei due coniugi di un appartamento nello stabile sito nel terreno limitrofo, con cui si riconosceva agli acquirenti il diritto d’uso delle porzioni rurali del fabbricato e della corte circostante il fabbricato. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione i due coniugi, contestando in particolare la qualificazione attribuita al diritto d’uso concesso con l’atto di compravendita. I limiti del diritto d’uso. A tal proposito, la S.C. ricorda che il diritto d’uso, disciplinato come diritto reale dagli artt. 1021 Uso e seguenti, c.c., attribuisce al suo titolare il diritto di servirsi della cosa e farne propri i frutti per il soddisfacimento dei propri bisogni e di quelli della propria famiglia. Tale diritto, nel suo concreto esercizio, implica pertanto il potere di trarre dalla cosa ogni utilità possibile Cass., n, 7811/06 . Di conseguenza, l’ampiezza di tale potere, salvo il limite quantitativo rappresentato dai bisogni del titolare e della sua famiglia relativamente al percepimento dei frutti e non all’uso del bene, non può subire limitazioni o condizionamenti maggiori o ulteriori derivanti dal titolo. Detto altrimenti, il diritto d’uso comprende tutte le utilità che possono oggettivamente essere tratte dalla cosa secondo la sua destinazione, in quanto l’usuario al pari dell’usufruttuario , può servirsi della cosa in modo pieno, con il solo limite della destinazione economica del bene stesso Cass., n. 2755/66 . La costruzione di opere stabili e permanenti, come il capannone nel caso di specie, rientra dunque nel novero delle facoltà previste dall’art. 1021 c.c., essendo a riguardo irrilevante la temporaneità del diritto d’uso. Le considerazioni sopra espresse inducono la S.C. a ritenere erronea la decisione del giudice di merito di escludere il diritto d’uso sulla corte, per non aver tenuto conto delle caratteristiche della fattispecie, segnalate dai ricorrenti la natura rurale dello stabile venduto, la cui corte circostante era destinata al soddisfacimento di esigenze agricole, la specifica indicazione nella scrittura privata dell’uso di tale corte da distinguere” rispetto al fabbricato e la previsione nella scrittura di un diritto d’uso che compete all’immobile” e non alle persone acquirenti. Per tali motivi, la Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 aprile – 31 agosto 2015, n. 17320 Presidente Bursese – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 18 luglio 1996 L.G. e A.M.B. evocavano, dinanzi al Tribunale di Ancona, F.P. e A.M.D. esponendo di essere comproprietarie di un appezzamento di terreno agricolo sito nel Comune di Montemarciano, precisando di avere costruito su una porzione dello stesso un capannone ad uso agricolo aggiungevano che il cognato P., dopo avere ultimato la costruzione, aveva iniziato ad utilizzare, unitamente alla coniuge D., una parte per il ricovero della propria autovettura e successivamente anche per macchinari e strumenti agricoli, oltre ad oggetti vari, realizzando poi un muro divisorio che gli aveva consentito di avere il possesso esclusivo della porzione dell'immobile utilizzata, continuando nella condotta anche dopo varie diffide tanto premesso, chiedevano di condannare i convenuti ex art. 948 c.c. alla restituzione della porzione del capannone da loro utilizzata e al risarcimento dei danni. Instaurato il contraddittorio, resistevano i convenuti, deducendo di essere comproprietari della palazzina, unitamente alle attrici, sita sul terreno adiacente quello su cui era stato realizzato il capannone, per cui si dichiaravano titolari di un diritto d'uso sul fondo limitrofo per essere stato edificato anche con il loro concorso, e spiegavano domanda riconvenzionale per sentirsi dichiarare comproprietari del capannone il giudice adito, dichiarava la nullità assoluta dell'atto di citazione stante il combinato disposto degli artt. 163 comma 2 n. 3, 164 comma 4 e 156 comma 2 c.p.c., in via gradata l'inammissibilità della pretesa attorea e l'inammissibilità della pretesa svolta in riconvenzionale. In virtù di rituale appello interposto dalla G. e dalla B., la Corte di appello di Ancona, nella resistenza degli appellati, che proponevano anche appello incidentale chiedendo l'accoglimento della domanda riconvenzionale, in accoglimento dell'appello principale, rigettato quello incidentale, dichiarava le sole appellanti proprietarie del capannone. A sostegno della decisione adottata la corte dorica evidenziava che il riconoscimento della proprietà del capannone discendeva in capo alle proprietarie dei fondo ai sensi dell'art. 934 c.c., per cui di nessuna rilevanza doveva essere ritenuta l'istruttoria svolta al fine di accertare i soggetti che avevano concorso alla realizzazione dello stesso. Quanto al diritto d'uso vantato dagli appellati e fondato sulla clausola contenuta nell'atto notarile, di vendita da parte delle attrici ed in favore dei convenuti di un appartamento nello stabile sito nel terreno limitrofo, con la quale si riconosceva che competeva agli acquirenti l'uso, unitamente alle porzioni rurali del fabbricato, della corte circostante il fabbricato, essa era troppo generica per prevedere la costituzione del diritto tipizzato dall'art. 1021 c.c. ius in re aliena , militando in tal senso anche il canone interpretativo dell'art. 1371 c.c., per cui non risultando la previsione espressa di un corrispettivo per la cessione d'uso, doveva interpretarsi la clausola nel senso meno gravoso per l'obbligato. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Ancona hanno proposto ricorso per cassazione i coniugi P. - D., sulla base di tre motivi, cui hanno replicato le G.-B. con controricorso. Le parti ricorrenti in prossimità dell'udienza pubblica hanno depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione Va preliminarmente disattesa l'eccezione degli intimati di inammissibilità del ricorso per pretesa violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che dalla lettura complessiva del ricorso stesso è agevolmente ricavabile l'esposizione delle questioni sollevate e decise e delle ragioni del decidere, dal momento che, come già ricordato dalle SS.UU. - e ribadito anche dalla giurisprudenza più recente Cass. n. 25429 del 2014 Cass. n. 12566 del 2014 Cass. n. 18753 del 2014 - il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità dei ricorso per cassazione dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 può ritenersi soddisfatto , laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell'oggetto dell'impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata sent. n. 11653 del 2006 , a nulla rilevando in questa impostazione la circostanza che siano più o meno esattamente riferite le difese di ciascuna parte, se il ricorso renda possibile, come appunto qui, la cognizione dei fatti che hanno dato origine alla vicenda e dei motivi per i quali l'interpretazione che di essi è stata data dal giudice di merito non sia di propria soddisfazione. Del pari è infondata l'eccezione relativa alla dedotta inidoneità dei formulati quesiti che, ex art. 366 bis c.p.c., assistono i proposti motivi, giacché i quesiti stessi di seguito trascritti in calce alla sintesi di ciascun motivo appaiono sufficientemente adeguati allo scopo che è essenzialmente quello di evidenziare le censure di error in iudicando , posto che in essi si faccia esplicito riferimento alla singolarità del caso, assumendosi la presenza degli elementi caratterizzanti la fattispecie e la ratio decidendi della sentenza impugnata e cioè per i primi due motivi l'esistenza del vantato diritto reale d'uso concesso con la compravendita in questione e l'esclusione di una motivazione adeguata volta al medesimo accertamento, nonché per il terzo motivo la pregiudizievole interpretazione della clausola contrattuale, siccome di tenore piano. Ciò detto, con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell'art. 1021 c.c. per essere stata esclusa l'esistenza nella specie di un diritto reale di uso a favore di un diritto personale di godimento dei fabbricati rurali e della corte circostante il fabbricato, corte di cui vengono nell'atto di acquisto riportati gli estremi catastali. A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto se nell'applicare l'art. 1021 c.c. si debba considerare esplicitamente anche la facoltà per il titolare del diritto di raccogliere i frutti della cosa per quanto occorre ai bisogni della famiglia' Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la qualificazione del diritto d'uso concesso con l'atto di compravendita non quale diritto reale, bensì quale diritto personale di godimento. A corollario della censura viene posto il seguente momento di sintesi si deduce che il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume, sotto diversi profili, omessa e contraddittoria e la natura reale o personale del diritto d'uso concesso con l'atto di compravendita per cui è giudizio, mentre le ragioni per le quali l'insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione stanno nel riferimento ad una mera presunzione quale argomento per contrastare la giurisprudenza di legittimità e nella mancanza di considerazione della portata della precisazione degli estremi catastali dell'area oggetto del concesso diritto d uso nella clausola relativa specificamente allo stesso diritto I due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro evidente connessione argomentativi, sono fondati. Al riguardo giova preliminarmente richiamare l'indirizzo costante di questa Corte che per quanto concerne il diritto d'uso, quale diritto reale disciplinato dall'art. 1021 c.c. e segg., ha chiarito che esso attribuisce al suo titolare il diritto di servirsi della cosa e di trarne i frutti per il soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia, diritto che, nel suo concreto esercizio, non può non implicare il potere di trarre dal bene ogni utilità che esso può dare Cass. n. 7811 del 2006, Cass. n. 2502 del 1963 ne consegue che l'ampiezza di tale potere, a parte il peculiare limite quantitativo rappresentato dai bisogni del titolare e della sua famiglia, che peraltro va riferito non all'uso della cosa ma al percepimento dei frutti, se può incontrare limitazioni derivanti dalla natura e dalla destinazione economica del bene arg. ex art. 981 c.c., dettato per l'usufrutto ma applicabile anche al diritto d'uso, in forza dei rinvio di cui all'art. 977 c.c. , per contro, in ragione del richiamato principio di tipicità, non può soffrire limitazioni o condizionamenti maggiori o ulteriori derivanti dal titolo. In altri termini, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1021 e 1026 c.c. che richiama in quanto applicabili le norme dettate in materia di usufrutto , il diritto di uso si estende a tutte le utilità che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l'usuario - non diversamente dall'usufruttuario - servirsi della cosa in modo pieno, dovendo soltanto rispettare la destinazione economica della cosa Cass. Cass. n. 2755 del 1966 Cass. n. 2502 dei 1963 . La costruzione di opere stabili e permanenti rientra dunque nell'ambito delle facoltà riconosciute dall'art. 1021 c.c., essendo al riguardo del tutto irrilevante la temporaneità del diritto d'uso. Infatti, al momento dell'estinzione del diritto per decorso del termine di durata, l'usuario ha l'obbligo di restituire la cosa nello stato in cui l'ha ricevuta l'esistenza di manufatti realizzati dall'usuario potrà eventualmente assumere rilevanza nella regolamentazione dei rapporti fra l'usuario e il proprietario al momento della cessazione del diritto in considerazione degli effetti determinati dalla realizzazione della costruzione così Cass. n. 7811 del 2006 . Sulla scorta di tali considerazioni, l'avere il giudice distrettuale escluso l'esistenza di un qualunque diritto sulla corte in ragione del rilievo che l'atto di compravendita che si assume avere conferito il diritto in discussione contiene una generica previsione circa l'uso unitamente alle porzioni rurali del fabbricato, della corte circostante il fabbricato da distinguersi al catasto , costituisce un'opzione argomentativa giuridicamente non corretta e perciò non persuasiva, non essendo stati valorizzati elementi sintomatici della fattispecie, pur segnalati dalle parti ricorrenti fin dalle prime difese. Dette caratteristiche appaiono costituite dalla natura rurale dell'immobile venduto, la cui corte circostante era tipicamente destinata al soddisfacimento di esigenze agricole dalla specifica indicazione nella scrittura privata del 23.6.1978 trascritta in parte qua, dai ricorrenti, nel rispetto del principio di autosufficienza dei ricorso dell'uso di detta corte da distinguere e dunque con dati catastali autonomi rispetto al fabbricato, evidentemente necessari e compatibili con la trascrizione di un diritto reale dalla previsione nella scrittura di un diritto d'uso che compete all'immobile e non alle persone degli acquirenti. In altri termini, le circostanze sopra evidenziate - pur decisive ai fini dell'accertamento del preteso diritto - non risultano essere state prese in esame dalla corte distrettuale. Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 1371 c.c. per avere fatto ricorso a detta interpretazione della clausola pure essendovi un tenore per niente oscuro della stessa. L'illustrazione del mezzo è concluso dal seguente quesito di diritto se si possano applicare le regole finali previste dall'art. 1371 c.c. soltanto dopo che si sia tentato di interpretare il contratto avvalendosi delle regole previste dagli articoli da 1362 a 1370 del codice civile e, nonostante il detto tentativo, il contenuto del contratto rimanga oscuro . L'accoglimento dei primi due motivi comporta l'assorbimento della terza censura che critica l'interpretazione della medesima scrittura privata offerta dalla corte territoriale. Conclusivamente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio ad altra Corte di appello, indicata in dispositivo, la quale dovrà vagliare l'accertamento dei diritto alla luce delle dichiarazioni rese dalle parti, come riportate nella scrittura privata, e in dipendenza della rilevanza loro attribuita rispetto al diritto preteso in causa. Il giudice di rinvio dovrà pertanto motivare nuovamente al riguardo, oltre a provvedere anche sulle spese dei giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese dei giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Bologna.