Quando lamentarsi dei vicini può costare molto caro: una sentenza in materia di portatori di handicap e distanze fra edifici

Intervenendo in una lite condominiale, la Corte di Cassazione stabilisce che il giudizio in merito alla prevalenza delle esigenze dei soggetti portatori di handicap su quelle connesse alle distanze legali è già stato dato dal legislatore con l’emanazione della legge n. 13/1989, art. 3, e quindi non può essere rimesso all’arbitrio del Giudice.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 7273/2015 della Cassazione, depositata il 10 aprile scorso. Il caso. Alcuni usufruttuari dell’appartamento sito al piano terra agirono in giudizio contro i condomini proprietari degli appartamenti posti al primo e secondo piano dello stesso edificio, lamentando che questi ultimi avevano installato, sulle ringhiere, delle aste e dei fili di ferro dei quali appunto gli attori chiedevano la rimozione. Nel costituirsi in giudizio oltre ad opporsi alle domande dei ricorrenti, i convenuti chiedevano anche al Tribunale di Messina di ordinare la demolizione di 2 manufatti costruiti dagli attori senza il rispetto della distanza legale dall’edificio principale. La domanda di demolizione veniva accolta dal Tribunale che a quel punto, ovviamente, non poteva che respingere le domande formulate dagli attori in merito alla rimozione dei fili e aste posti sulle ringhiere dei balconi aggettanti. Avverso alla sentenza del Tribunale presentava appello l’incauto attore in primo grado. Con conseguente sentenza della Corte della città siciliana che pur limitando l’ordine di demolizione quindi in parziale revoca della sentenza del Tribunale al muro di cinta solo per quanto riguarda la parte del manufatto posto non a distanza di 3 metri dalla veduta, salvava” del tutto dal provvedimento relativo alla demolizione un vano di proprietà dell’attore in primo grado posto si a distanza non regolamentare, ma che risultava indispensabile per lo svolgimento di attività primarie di vita dell’occupante in quanto portatore di handicap. A questo punto la causa giungeva in Cassazione, al cui giudizio venivano poste 2 questioni di diritto l’una relativa all’applicazione dell’art. 873 c.c. anche al caso di edifici non fronti stanti”, e l’altra, ben più pregnante, relativa alla interpretazione dell’art. 3, l. n. 13/1989 relativo a distanze legali fra edifici e esigenze dei portatori di handicap. Vediamo cosa si è deciso. Gli edifici non sono uno di fronte all’altro. L’art. 873 c.c. si applica anche se gli edifici non sono posti l’uno di fronte all’altro. La Suprema Corte sul punto ha deciso richiamando proprie precedenti decisioni su tutte sentenza n. 24013/2008 con le quali si era già chiarito che le norme poste dal codice civile ed eventualmente dai regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze fra edifici, poiché sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini dannose, ma anche a tutelare l’assetto urbanistico del territorio , vanno applicate a prescindere che gli edifici stessi si fronteggino o meno. Non può essere il giudice ad ampliare i confini di applicazione della normativa relativa alla eliminazione delle barriere architettoniche. Venendo ora alla parte decisamente più rilevante della decisione in oggetto, va subito detto che la cassazione ha riformato la sentenza della corte di appello in quanto aveva ritenuto che l’attività per lui ovviamente di fondamentale importanza in quanto gli permetteva di rimanere connesso” con il mondo e di superare in qualche modo i suoi limiti di deambulazione di radioamatore svolta dall’attore nell’edificio non a distanza regolamentare, non permetteva la deroga delle norme sulle distanze legali. In sostanza, per dirla più chiaramente, la Corte d’appello avrebbe errato, secondo la Cassazione, nel riconoscere ad un pur legittimo e rilevante interesse dell’attore quello appunto di svolgere l’attività a lui cara di radioamatore la qualifica di barriere architettoniche” da superare unica e fondamentale qualifica perché come appunto già stabilito con la legge di riferimento dal legislatore , si possano far prevalere i limiti per le distanze di edifici in favore del diritto del singolo di accedere agli edifici privati nonché a muoversi liberamente al loro interno. La decisione commentata, in definitiva, ha ricordato, direi correttamente, che il giudice non può individuare altri interessi per quanto importanti se non fondamentali per la qualità della vita di soggetti portatori di handicap oltre a quelli della mobilità già stabiliti dal legislatore, che autorizzino una deroga alla normativa sulle distanze fra edifici. Verrebbe da dire, per quanto banale e scontato, dura lex sed lex .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 febbraio – 10 aprile 2015, n. 7273 Presidente Piccialli – Relatore Picaroni Ritenuto in fatto 1. - È impugnata la sentenza della Corte d'appello di Messina, depositata il 12 giugno 2008, che ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Messina resa nella causa promossa da P.F. , Pi.Fr. , P.M. e Bo.Ra. nei confronti di D.S.F. , M.C. , T.R. e B.G. . 1.1. - I sigg. P. -Bo. - usufruttuari dell'appartamento sito al piano terra dell'edificio ubicato in località omissis , e proprietari di alcune superfici di terreno non edificate poste ai lati nord ed est del medesimo edificio - avevano agito nei confronti di T.R. e di D.S.F. , proprietari del primo e del secondo piano del suddetto edificio, per sentirli condannare alla rimozione delle aste e dei fili di ferro che avevano installato sulle ringhiere dei balconi aggettanti per stendere la biancheria. Gli attori avevano lamentato la sottrazione di luce ed aria, l'impedimento al pieno esercizio dei loro diritti, i danni da stillicidio, e l'indebito esercizio da parte dei convenuti del diritto di superficie. 1.2. - I coniugi T. -B. avevano rivendicato, in via riconvenzionale, la comproprietà condominiale della zona di porticato acquistata dagli attori, chiedendo che fosse ordinata la demolizione di due manufatti costruiti senza il rispetto della distanza legale dall'edificio principale, nonché di un vano interrato posto sotto un'area condominiale e della recinzione di un'area comune che era stata adibita a parcheggio. 1.3. - Si era costituito D.S.F. deducendo che gli attori avevano costruito manufatti senza rispettare la distanza legale dalla veduta, e ne aveva chiesto la rimozione. 1.4. - Il Tribunale aveva rigettato le domande proposte dagli attori, e, accertato che x manufatti da essi realizzati vano in muratura, tetto tegolato esterno all'edificio, muro in laterizi tipo frangisole non rispettavano le distanze legali, ne aveva ordinato la rimozione, compensando parzialmente le spese di lite. 1.5. - Proponevano appello i sigg. P. -Bo. resistevano con autonome difese gli appellati D.S. -M. e T. -B. . 2. - La Corte d'appello accoglieva parzialmente il gravame osservando, in primo luogo, che il muro di cinta realizzato in laterizi tipo frangisole doveva essere demolito solo in parte, e cioè fino al raggiungimento della distanza di tre metri dalla veduta, da calcolarsi dalla parte più esterna del balcone. 2.1. - Quanto alla costruzione esterna all'edificio, posta a distanza inferiore da quella minima di dieci metri tra pareti finestrate, si trattava di vano che presentava caratteristiche tali da risultare indispensabile per lo svolgimento di attività primarie di vita per l'attore Pi.Fr. , portatore di handicap, il quale utilizzava il vano in oggetto per svolgere l'attività di radioamatore, che gli consentiva di mantenere contatti e relazioni. Inoltre, nello stesso vano era stato realizzato un servizio igienico appositamente predisposto per le esigenze di Pi.Fr. , come risultava dalla certificazione sanitaria. Trovava dunque applicabile, al caso di specie, la deroga alle norme sulle distanze legali prevista dalla legge n. 13 del 1989. 2.2. - Era confermato il rigetto delle domande di rimozione degli stenditoi, riproposta dagli appellanti. 3. - Per la cassazione della sentenza d'appello hanno proposto ricorso T.R. e B.G. , sulla base di tre motivi. Resistono con controricorso P.F. , Pi.Fr. , P.M. e Bo.Ra. , e propongono ricorso incidentale condizionato, sulla base di due motivi, al quale resistono con controricorso T.R. e B.G. . I sigg. P. -B. hanno depositato memoria in prossimità dell'udienza, e note di replica in esito alle conclusioni rassegnate in udienza dal P.G Considerato in diritto 1. - Preliminarmente deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale, formulata nel controricorso e ribadita nella memoria illustrativa e nelle note dr udienza. 1.1. - In disparte la parziale genericità del quesito di diritto che conclude il primo motivo di ricorso, i rimanenti motivi, che denunciano limiti motivazionali, sono ammissibili. 1.2. - La contestuale prospettazione della omissione e della insufficienza della motivazione deve essere intesa in senso alternativo e non cumulativo, proprio in ragione della impossibilità logica che la motivazione sia, ad un tempo, omessa ed insufficiente. Egualmente è a dirsi, mutatis mutandis , in riferimento alla censura di contraddittorietà della motivazione. Si deve affermare, inoltre, che la censura di omessa motivazione costituisce lo strumento specifico attraverso il quale la parte può contestare il mancato esame, in tutto o in parte, di una questione sottoposta al giudice del merito, e quindi l'inadeguatezza della pronuncia sul punto, laddove con il motivo di ricorso ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ. si censura l'assenza di pronuncia. Quanto ai limiti del sindacato di legittimità, essi sono interni alla struttura del motivo configurato dall'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., e pertanto l'inammissibilità colpisce il motivo che si risolva nella critica pura e semplice alla decisione impugnata, senza evidenziarne l'inadeguatezza ovvero la contraddittorietà, nel rispetto del principio dell'autosufficienza ex plurimis, Cass., Sez. U., sentenza n. 24148 del 2013 . E infine, non sussiste l’inammissibilità del terzo motivo del ricorso principale, con il quale è contestata la valutazione della sussistenza, nel caso concreto, dei requisiti richiesti dal legislatore per l'applicazione della deroga prevista dall'art. 3 della legge n. 13 del 1989. La censura concerne la completezza dell'esame della fattispecie concreta, e quindi della motivazione con la quale la Corte d'appello ha giustificato l'applicazione della disciplina derogatoria. 2. - Passando al merito dei ricorsi, va rilevato che il ricorso incidentale, pure se condizionato, prospetta nel primo motivo la questione dell'erronea applicazione dell'art. 873 cod. civ., che deve essere trattata prioritariamente, perché potenzialmente assorbente - 2.1. - Con il primo motivo del ricorso incidentale è dedotta violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e dell'art. 873 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ 2.1.1. - Si contesta l'omessa pronuncia sul secondo motivo di appello, testualmente riportato in ricorso, nel quale i sigg. P. -Bo. avevano chiesto la riforma della sentenza di primo grado sul rilievo della inapplicabilità, nella specie, dell'art. 873 cod. civ Come era emerso dalla etra, il fabbricato in contestazione non aveva creato alcuna intercapedine, non trovandosi in posizione frontistante alla parete condominiale dell'appartamento di proprietà T. -B. . In ossequio al disposto di cui all'art. 366-bxs cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , sono formulati i seguenti quesiti di diritto se la sentenza della Corte d'appello di Messina [ .] debba essere cassata per non avere valutato ed accolto la prima parte del secondo motivo di appello, con il quale si era dedotto che erroneamente il giudice di primo grado aveva applicato l'art. 873 cod. civ., senza considerare che tale disposizione presuppone che si tratti di edifici frontistanti - e tali non sono quelli oggetto di esame - e che conseguentemente non si è creata alcuna intercapedine o situazione di pericolo” e se l'art. 873 cod. civ., in ragione delle finalità che ne costituiscono il fondamento di impedire intercapedini dannose, non debba essere applicato alla fattispecie controversa ove si consideri che i due edifici non sono frontistanti, con la conseguenza che non si è determinata alcuna intercapedine dannosa”. 2.2. - Il motivo è infondato. 2.2.1. - La Corte d'appello ha esaminato il motivo di appello richiamando la descrizione dei luoghi contenuta nella relazione Gentiluomo, dalla quale risultava che il vano - libero su tre lati - era posizionato a circa 6,10 metri dall'opposta facciata a piano terra, ed ha concluso che lo stesso doveva considerarsi frontistante a detta facciata. La stessa Corte ha quindi proceduto all'esame della questione, logicamente subordinata, della applicabilità della deroga prevista dall'art. 3 della legge n. 13 del 1989. Non sussiste, quindi, la denunciata omissione di pronuncia. 2.2.2. - Risulta infondata anche la censura di violazione di legge. Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, le norme contenute nei regolamenti edilizi che stabiliscono le distanze tra gli edifici e tra questi ed i terreni confinanti, poiché sono volte non solo ad evitare la formazione di intercapedini dannose tra edifici frontistanti ma anche, con lo stabilire una distanza tra le costruzioni superiori a quella prevista dall'articolo 873 cod. civ., a tutelare l'assetto urbanistico del territorio, vanno osservate a prescindere dal fatto che gli edifici si fronteggino, in quanto conservano carattere integrativo delle norme del codice civile anche qualora siano inserite in un contesto normativo come il piano regolatore, volto a tutelare il paesaggio o regolare l'assetto del territorio, poiché tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati. Pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino dello stato degli immobili” ex plurimis Cass., sez. 6^-2^, ordinanza n. 3854 del 2014 sez. 2^, sentenza n. 24013 del 2008 . 3. - Il ricorso principale è fondato por quanto di ragione. 3.1. - Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione della legge n. 13 del 1989, del decreto ministeriale 14 giugno 1989 n. 236, degli artt. 871, 872 q 873 cod. civ., dell'art. 28 del PRG del Comune di Messina, dell'art. 11 delle preleggi. 3.2. - Si contesta l'applicazione della normativa per il superamento delle barriere architettoniche, sulla base dei seguenti rilievi a la legge n. 13 del 1989 riguarderebbe soltanto le opere direttamente e strettamente necessarie a consentire il comodo e sicuro accesso delle persone con ridotta o impedita capacità motoria negli edifici privati b la legge n. 13 del 1989 non sarebbe applicabile retroattivamente, ma solo alle opere realizzate dopo la sua entrata in vigore c la stessa legge non autorizzerebbe la costruzione di edifici ex novo, ma soltanto interventi su edifici preesistenti o innovazioni sulle parti comuni, finalizzate a rimuovere gli ostacoli per l'accesso da parte delle persone con ridotta o impedita capacità motoria. 3.2.1. - Si assume che il fabbricato in contestazione - realizzato nel 1986 quando la normativa edilizia locale prescriveva un distacco tra edifici non inferiore a 10 metri , e quindi prima dell'entrata in vigore della legge n. 13 del 1989 - non potrebbe fruire del regime derogatorio previsto dalla citata normativa perché, pur contenendo strutture o servizi che utili, comodi o perfino necessari alla persona disabile, non sarebbe assimilabile ad un intervento diretto al superamento delle barriere architettoniche. In ossequio al disposto di cui all'art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , è formulato il seguente quesito di diritto se la deroga alle norme sulle distanze fissate dal codice civile e dai regolamenti edilizi locali integrativi, prevista dall'art. 3 della legge n. 13 del 1989, non possa operare con riferimento ad interi fabbricati costruiti anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge e per finalità del tutto diverse da quelle perseguite dalla legge medesima”. 3.3. - La doglianza è infondata nella parte in cui il quesito di diritto è specifico, e quindi ammissibile. 3.3.1. - Occorre distinguere l'irretroattività della legge n. 13 del 1989, recante Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati , dall'applicazione della stessa, e in specie dell'art. 3, ad interventi edilizi realizzati antecedentemente, dei quali sia chiesta la rimozione. L'accertamento della illegittimità di un intervento edilizio per violazione delle distanze legali, qualora venga in rilievo il tema del superamento delle barriere architettoniche, deve essere effettuato necessariamente alla luce della normativa in oggetto. L'ordinamento non può, ad un tempo, dettare norme a favore del superamento delle barriere architettoniche e consentire la rimozione di interventi edilizi che tale finalità realizzino. Il punto cruciale risiede, come è evidente, nella valutazione della riconducibilità dell'intervento edilizio antecedente al 1989 alle previsioni della legge citata, la cui ratio risiede nel garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità” degli edifici privati da parte di soggetti con disabilità motorie o visive artt. le 2 della legge n. 13 del 1989, che richiama, per la nozione di barriere architettoniche, l'art. 27 della legge n. 118 del 1971 e l'art. 1 del d.P.R. n. 384 del 1978, successivamente sostituito dall'art. 1 del d.P.R. n. 503 del 1996 . 4. - Con il secondo motivo è dedotto vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo. 4.1. - Si assume che la Corte d'appello avrebbe omesso di esaminare la contestazione dei documenti prodotti soltanto nel giudizio d'appello documentazione dell'AUSL n. X e perizia giurata a firma dell'ing. L. , riguardanti, tra l'altro, la necessità del sig. Pi.Fr. di effettuare frequenti bagni , che riguardava anche il contenuto dei documenti, con la conseguenza che le circostanze di fatto da essi risultanti non potevano considerarsi pacifiche. 4.2. - In ogni caso, i ricorrenti lamentano l'incongruità o illogicità della motivazione circa il fatto controverso e decisivo della sussistenza di ragioni idonee a conferire al fabbricato la qualità di opera realizzata per superare le barriere architettoniche, individuate nelle circostanze risultanti dalla contestata documentazione, vale a dire la necessità per la persona portatrice di handicap di effettuare frequenti bagni e l'Impossibilità di collocare la vasca da bagno nell'appartamento di residenza. 5. - Con il terzo motivo è dedotto vizio di motivazione circa un fatto decisivo e controverso. 5.1. - Si lamenta che la Corte d'appello non avrebbe valutato i requisiti della necessarietà ed indispensabilità dell'opera in assunto realizzata per il superamento delle barriere architettoniche, non essendo sufficiente - ai fini dell'applicazione della deroga alle distanze legali - il riconoscimento che la costruzione soddisfi qualsiasi esigenza della persona portatrice di handicap. In particolare, la Corte d'appello non avrebbe considerato che l'attività di radioamatore - rispetto alla quale non sarebbe configurabile la sussistenza di barriere architettoniche - può essere svolta nell'appartamento di abitazione dei sigg. P. -Bo. , posto al pianterreno, e che, perimenti, la vasca da bagno, avrebbe potuto essere collocata nell'appartamento principale. 6. - Le doglianze prospettate con i due motivi richiamati, da esaminare congiuntamente per l'evidente connessione, sono fondate. 6.1. - Si deve rilevare la complessiva inadeguatezza della motivazione con cui la Corte d'appello ha giustificato l'applicazione, al caso di specie della disciplina in tema di superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche, risultando assente sia la ricognizione del quadro normativo di riferimento, sia l'individuazione della ratio legis , sia la verifica della sussumibilità della fattispecie concreta in quella astratta. 6.2. - Come affermato dalla stessa Corte d'appello, il giudizio di prevalenza delle esigenze dei soggetti portatori di handicap su quelle connesse alle distanze legali è stato già formulato, una volta per tutte, dal legislatore, all'art. 3 della legge n. 13 del 1989, che infatti prevede la deroga alla disciplina sulle distanze. Si tratta, come è evidente, di un giudizio che sottende valori fondamentali della vita dei soggetti portatori di handicap, ai quali deve essere garantito - e questa è la finalità della legge - sia l'accesso agli edifici privati, sia la mobilità al loro interno. 6.3. - All'interno di tale contesto normativo, la sentenza impugnata non da conto delle ragioni per le quali il manufatto in contestazione costituisca intervento edilizio per il superamento, ovvero l'eliminazione di impedimenti che rientrano nella nozione di barriere architettoniche”, quale risulta dalla stessa legge n. 13 del 1989, attraverso i richiami in essa previsti. L'affermazione secondo cui il vano in questione presenta caratteristiche oggettive che lo rendono indispensabile per lo svolgimento di attività primarie di vita per Pi.Fr. e che, per converso, le esigenze dedotte dagli appellati sono meno pressanti e rilevanti [ .]” non può valere a giustificare l'applicazione alla fattispecie in esame della deroga prevista dall'art. 3 della legge n. 13 del 1989, perché si risolve nell'inutile ripetizione del giudizio di prevalenza di cui la norma applicata costituisce l'espressione. 7. - Il ricorso incidentale condizionato è infondato anche in riferimento al secondo motivo, con il quale è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e ss. cod. proc. civ., nonché vizio di motivazione. 7.1. - Si contesta la decisione della Corte d'appello, che ha compensato integralmente le spese del giudizio di secondo grado ed ha confermato la statuizione, sul punto, del giudice di primo grado, sul rilievo che gli appellanti P. -Bo. erano la parte prevalentemente vittoriosa a seguito della sentenza d'appello. In ogni caso, si lamenta la mancata indicazione delle ragioni a supporto della decisione e l'omessa considerazione del fatto controverso, consistito nella posizione dei sigg. P. -Bo. rispetto all'esito del giudizio. A corredo del motivo, è formulato il seguente quesito di diritto se la sentenza della Corte d'appello di Messina [ .] debba essere cassata per avere fatto carico ai sig.ri P. della maggior parte dell'onere delle spese di primo grado ed avere compensato integralmente quelle di secondo grado, senza peraltro alcuna motivazione in ordine alle ragioni di tale pronuncia, nonostante che per effetto della decisione di appello, i predetti sig.ri P. debbano ritenersi prevalentemente vittoriosi nel giudizio”. 7.2. - La doglianza è infondata. La Corte distrettuale ha motivato la decisione sulle spese di lite richiamando non solo la soccombenza reciproca delle parti, che riguardo al giudizio d'appello è in effetti inesistente, ma anche la complessità della valutazione oggetto del predetto giudizio, e ciò è sufficiente a giustificare la compensazione delle spese. 8. - All'accoglimento del ricorso principale, segue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad altro giudice, individuato come in dispositivo, il quale provvederà a riesaminare la questione riguardante l'applicabilità dell'art. 3 della legge n. 13 del 1989 al manufatto realizzato dai sigg. P. -Bo. , ed a regolare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale per quanto di ragione rigetta il ricorso incidentale cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Catania.