Come ripartire le spese? In base al criterio previsto dalla legge o dalla convenzione?

In materia di condominio é valida la disposizione del regolamento condominiale, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali di manutenzione delle parti comuni dell’edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini, giacché il diverso e legale criterio di ripartizione di dette spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condominio art. 1123 c.c. è liberamente derogabile per convenzione quale appunto il regolamento contrattuale di condominio .

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 22824, depositata il 7 ottobre 2013. Il caso. Un’attrice aveva chiesto al Giudice di Pace di ingiungere alla società debitrice il pagamento di oltre 2.000€. Emesso il decreto ingiuntivo, la parte ingiunta aveva proposto opposizione, eccependo l’inesistenza dei presupposti per la concessione del decreto e l’erronea qualificazione degli oneri condominiali. Accolta l’opposizione, in sede d’Appello, la fondatezza della domanda proposta in sede monitoria era stata ridotta al riconoscimento della sola irrisoria somma di 19,57€, a fronte di quella originariamente richiesta, ben più cospicua. Contro tale decisione, l’attrice originaria, in Cassazione, ha dedotto falsa applicazione dell’art. 1123 c.c. ripartizione delle spese parti comuni . Per la Suprema Corte tale doglianza è manifestamente infondata. Il criterio legale di ripartizione delle spese condominiali può essere derogato. Gli Ermellini hanno ricordato che – come già correttamente rilevato in secondo grado – il criterio legale di ripartizione delle spese condominiali, prescritto dal combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 68 disp. att. c.p.c., può essere derogato, essendo disponibile il diritto di contribuzione o riparto, relativo alle dette spese, mediante convenzione che, per sua natura contrattuale, presuppone il consenso di tutti condomini. Nel caso in esame, in base a quanto dichiarato da Piazza Cavour, il regolamento condominiale possiede natura contrattuale e risulta richiamato nel contratto locativo dunque, sotto tale profilo, non si è concretizzata alcuna violazione di norme di legge. Fondata è stata ritenuta, invece, l’ulteriore doglianza della ricorrente, la quale ha denunciato violazione delle norme che regolano l’onere probatorio a carico delle parti. Infatti, la ricorrente, quale attrice in senso sostanziale e portatrice della pretesa attivata, avrebbe dovuto, nel corso dei precedenti gradi di giudizio, supportare le sue ragioni di credito, per mezzo di ogni necessaria produzione documentale. Invece, nel primo grado di giudizio, la parte non aveva assolto idoneamente all’onere probatorio incombente a suo carico, per contro, il Tribunale, aveva ritenuto di sopperire a tali carenze istruttorie, disponendo l’ammissione di una c.t.u. non richiesta da alcuno. È necessario che le parti deducano i fatti specifici posti a loro carico. Tuttavia, il Collegio ha richiamato la prevalente giurisprudenza di legittimità, secondo cui le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente neppure nel caso di c.t.u. c.d. percipiente – che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova - anche in tale ipotesi, se le parti stesse non deducono quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti, non si può procedere all’espletamento di c.t.u. Alla luce di ciò, questo motivo è stato accolto, mentre l’altro rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 27 settembre - 7 ottobre 2013, n. 22824 Presidente Piccialli – Relatore Carrato Fatto e diritto Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 18 febbraio 2013, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. Con ricorso depositato in data 21 marzo 2005, la sig.ra B.P. chiedeva che al Giudice di Pace di Napoli di ingiungere alla debitrice Dantes S.r.l. il pagamento della somma di Euro 2.158,20, oltre interessi legali e spese della procedura monitoria. Il Giudice adito emetteva il decreto ingiuntivo n. 3552/05, avverso il quale proponeva opposizione la parte ingiunta, eccependo l'inesistenza dei presupposti per la concessione del decreto e l'erronea qualificazione degli oneri condominiali. Si costituiva l'opposta, chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo. Con sentenza n. 142943/06 il Giudice di Pace adito accoglieva l'opposizione, revocando il decreto ingiuntivo opposto e condannando la sig.ra B. al pagamento delle spese processuali. Avverso detta sentenza la sig.ra B. , con atto notificato il 4 ottobre 2007, proponeva appello. Si costituiva, in secondo grado, la Dantes S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore. Con sentenza n. 2548/2011, depositata il 4 marzo 2011 e non notificata, il Tribunale di Napoli, in riforma della sentenza impugnata, condannava la Dantes S.r.l. al pagamento, in favore della sig.ra B. , della sola somma di Euro 19,57, oltre interessi legali dichiarava interamente compensate le spese del doppio grado del giudizio stabiliva che le spese della c.t.u. restassero definitivamente a carico della sig.ra B. . La Dantes s.r.l. impugnava la decisione di secondo grado, proponendo ricorso per cassazione, notificato il 13 aprile 2012 e depositato il 28 aprile 2012, sulla base di tre motivi. L'intimata non si costituiva nel presente giudizio di legittimità. Ritiene il relatore che, nel caso di specie, sembrano sussistere le condizioni per l'accoglimento del ricorso, in virtù della manifesta fondatezza del primo e terzo motivo e della manifesta infondatezza del secondo motivo con esso formulati, avuto riguardo all'ipotesi enucleata dall'art. 375 n. 5 c.p.c., con la conseguente definizione del ricorso nelle forme camerali di cui all'art. 380 bis c.p.c Con il primo complesso motivo formulato, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ovvero di quelle che regolano il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo e l'onere probatorio a carico delle parti , in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché la nullità della sentenza e del procedimento, in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. e l'errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, collegabile all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c Tale prima doglianza risulta, all'evidenza, fondata. Infatti, la sig.ra B. , quale attrice in senso sostanziale e portatrice della pretesa attivata, avrebbe dovuto, nel corso dei precedenti gradi di giudizio, supportare le sue ragioni di credito, per mezzo di ogni necessaria produzione documentale e, se del caso, con l'espletamento di attività istruttoria riferita all'assunzione di mezzi di prova costituendi. In effetti, invece, nel corso del primo grado di giudizio, la sig.ra B. non aveva assolto idoneamente all'onere probatorio incombente a suo carico e a tale onere avrebbe potuto adempiere nel successivo grado di appello solo ove fossero sussistiti i presupposti previsti dall'art. 345, comma 3, c.p.c Per contro, il Tribunale di Napoli ha ritenuto di sopperire a tali carenze istruttorie, disponendo l'ammissione di una consulenza tecnica d'ufficio non richiesta da alcuno. Tuttavia, secondo la prevalente e condivisibile giurisprudenza di questa Corte v., ad es., Cass. n. 10871 del 1999 e Cass. n. 24620 del 2007 , le parti non possono sottrarsi all'onere probatorio e rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente neppure nel caso di consulenza tecnica d'ufficio cosiddetta percipiente, che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l'accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti, nell'insufficienza dei quali, quindi, non può procedersi all'espletamento di c.t.u Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 c.c. e 68 disp. att. c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c Tale doglianza appare, ad avviso del relatore, manifestamente infondata. Infatti, come già correttamente rilevato nel grado d'appello dal Tribunale di Napoli, il criterio legale di ripartizione delle spese condominiali, prescritto dal combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 68 disp. att. c.p.c., può essere derogato, essendo disponibile il diritto di contribuzione o riparto, relativo alle dette spese, mediante convenzione che, per la sua natura contrattuale, presuppone il consenso di tutti i condomini. Nel caso in esame, il regolamento condominiale possiede natura contrattuale come si evince dall'all. n. 8 alla produzione di parte opposta in primo grado e risulta richiamato nel contratto locativo cfr. art. 14 . Dunque, sotto tale profilo, non si è concretizzata alcuna violazione di norme di legge cfr, a tal proposito, Cass. n. 3944 del 2002, per cui in materia di condominio, è valida la disposizione del regolamento condominiale, di natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni dell'edificio vanno ripartite in quote uguali tra i condomini, giacché il diverso e legale criterio di ripartizione di dette spese in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino art. 1123 c.c. è liberamente derogabile per convenzione quale appunto il regolamento contrattuale di condominio , né siffatta deroga può avere alcuna effettiva incidenza sulla disposizione inderogabile dell'art. 1136 c.c. ovvero su quella dell'art. 69 disp. att. c.c., in quanto, seppure con riguardo alla stessa materia del condominio negli edifici, queste ultime disciplinano segnatamente i diversi temi della costituzione dell'assemblea, della validità delle deliberazioni e delle tabelle millesimali v., anche, Cass., n. 898 del 1984 . Con il terzo ed ultimo motivo formulato, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c Tale doglianza appare manifestamente fondata. Infatti, secondo quanto stabilito dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte cfr., ad es., Cass. n. 15483 del 2008 e Cass. n. 17523 del 2011 , il criterio della soccombenza, sulla base del quale va effettuata la statuizione delle spese, deve essere unitario e globale, anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite, condannando poi per il residuo una delle parti in tal caso, l'unitarietà e la globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione all'esito finale della lite, il giudice deve individuare la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale il giudice del gravame è tenuto a provvedere sulle spese secondo il principio della soccombenza applicato all'esito globale del giudizio, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato . Nel caso di specie, avuto riguardo all'esito finale del giudizio e alla soccombenza assolutamente prevalente della B. la fondatezza della cui domanda proposta in sede monitoria era stata ridotta al riconoscimento della sola irrisoria somma di Euro 19,57, a fronte di quella originariamente richiesta per Euro 2.158,20 , deve ritenersi che il Tribunale partenopeo non abbia fatto legittimo uso del potere di compensazione delle spese del doppio grado di giudizio nel disporne, per l'appunto, la compensazione totale per entrambi i gradi , con ciò incorrendo nella violazione dell'art. 92 c.p.c In conclusione, si riconferma, che nel caso di specie, sembrano sussistere le condizioni per la definizione del ricorso nelle forme dei procedimento camerale ex art. 380 bis c.p.c., alla stregua della manifesta fondatezza del primo e del terzo motivo e, quindi, del loro possibile accoglimento e della manifesta infondatezza del secondo motivo e, perciò, del suo ipotetico rigetto ”. Constatato che non è stata depositata alcuna memoria difensiva nell'interesse della ricorrente né il suo difensore ha partecipato all'adunanza camerale Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, con la precisazione che, attenendo il terzo motivo alla pronuncia accessoria sulla disciplina delle spese, esso deve essere, più propriamente, dichiarato assorbito, essendosi, comunque, pervenuti all'accoglimento della prima censura ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere accolto con riferimento al primo motivo e rigettato in ordine al secondo motivo, con derivante assorbimento del terzo, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta ed il correlato rinvio della causa al Tribunale di Napoli in composizione monocratica , in persona di altro magistrato, che provvederà anche sulle spese della presente fase di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motvo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Napoli in composizione monocratica , in persona di altro magistrato.