Condominio convenzionale? L’amministratore ha poteri anche processuali

Sussiste la legittimazione passiva del condominio convenzionale costituito ai sensi dell’art. 15, d.lgs. n. 76/1990 nelle controversie relative alla esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione oggetto delle delibere adottate.

La Seconda sezione Civile della Cassazione, con la sentenza n. 14899 depositata il 13 giugno 2013, ha affrontato il tema della legittimazione processuale dell’amministratore del c.d. condominio convenzionale , vale a dire un’entità costituita in base alla legislazione speciale riferita agli eventi drammatici dei terremoti verificatisi negli anni ’80. Il caso. Si tratta di un caso peculiare la ricostruzione di un fabbricato terremotato, sito in Avellino. I lavori dell’appaltatore venivano ad un certo punto sospesi da parte della committenza il condominio convenzionale , tramite la direzione lavori tuttavia, nessun ordine di ripresa lavori veniva poi impartito. Per questo l’impresa appaltatrice chiedeva la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, che i giudici di merito riconoscevano nella misura di euro 100.000, pari al 10% del valore dell’appalto. L’ordine di sospensione era, come accennato, impartito dalla direzione lavori, ma la committente non interveniva per revocare” in tempo utile detta sospensione. Per questo la committente vale a dire il condominio convenzionale” , era condannata al menzionato risarcimento dei danni. La norma di riferimento art. 15, d.lgs. n. 76/1990 il condominio convenzionale” . Anzitutto è il caso di ricordare che il testo di legge qui in rilievo è il Testo unico delle leggi per gli interventi nei territori della Campania, Basilicata, Puglia e Calabria colpiti dagli eventi sismici del novembre 1980, del febbraio 1981 e del marzo 1982 . L’art. 15, rubricato Condominio di edifici , prevede, tra l’altro, che per gli immobili distrutti o da demolire o da riparare in conseguenza degli eventi sismici i proprietari delle unità immobiliari procedono alla costituzione convenzionale del condominio al fine di adottare le delibere necessarie per l'esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione. Il tema in discussione è dunque questo se al cosiddetto e peculiare condominio convenzionale , previsto dalla norma appena richiamata, si possono applicare le consuete regole anche in tema di legittimazione processuale previste dal codice civile in materia, appunto, condominiale. Il condominio convenzionale ha legittimazione processuale. Per la Cassazione sussiste la legittimazione passiva del condominio convenzionale costituito ai sensi dell’art. 15, d.lgs. n. 76/1990 nelle controversie relative alla esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione oggetto delle delibere adottate. Questo aspetto era invece stato posto in dubbio dai ricorrenti, vale a dire i comproprietari dell’area di sedime interessata dalla ricostruzione i condomini, potremmo dire , che si erano tra l’altro lamentati del fatto che i giudici di merito avessero invece riconosciuto la legittimazione passiva, nell’azione promossa dall’appaltatore, dell’amministratore della comunione di quello che una volta era lo stabile condominiale soggetto però sfornito – seguendo la tesi dei ricorrenti – dei necessari poteri di rappresentanza processuale. Il profilo era rilevante perché l’appaltatore aveva notificato l’atto introduttivo solo all’amministratore, e non anche ai singoli comproprietari. La ragion d’essere del condominio convenzionale. Nel respingere le tesi dei ricorrenti la Cassazione precisa qual è la ragion d’essere della tipologia di condominio di cui si sta qui discorrendo. Ebbene, il condominio convenzionale non è solamente uno strumento di interlocuzione tra privati e pubblica amministrazione, con poteri limitati all’adozione delle delibere necessarie ad avviare la ricostruzione dell’edificio, ma si tratta di uno strumento dall’operatività ben più ampia. Del resto, per la Cassazione è significativa la scelta di qualificare come condominio l’entità creata, pur in assenza di un fabbrica eretto, all’evidente fine di munire tale organismo del collaudato apparato normativo contenuto nel codice civile. L’appaltatore avrebbe dovuto avvertire direttamente la committenza bypassando la direzione lavori? Risposta negativa della Cassazione, posto che l’operato della direzione lavori era direttamente riferibile alla proprietà, rappresentata appunto dalla direzione lavori. Alla committenza incombeva quindi un onere di diligenza nel verificare almeno che l’opera proseguisse. Per cui, l’appaltatore non aveva alcun onere di rivolgersi direttamente al condominio convenzionale. Inoltre, la committenza doveva assicurare all’appaltatore la giuridica possibilità di eseguire i lavori. Obbligazione di fatto non rispettata nel caso deciso.

Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza 19 febbraio - 13 giugno 2013, numero 14899 Presidente Triola – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo 1 D M. era appaltatore dei lavori di ricostruzione di un fabbricato terremotato sito in OMISSIS . Nel settembre 1997 chiese la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni derivati dalla sospensione dei lavori iniziati il 20 ottobre 1993, ordinatagli dai direttori dei lavori il 14 novembre successivo e la manleva da spese e costi nei confronti del comune e di altra società che lamentava l'occupazione abusiva di aree. Citò in giudizio il Condominio di Via Mancini, costituitosi nella fase finale del processo di primo grado, che si chiuse con l'accoglimento integrale delle domande e la condanna del condominio al pagamento di Euro 100.000 a titolo di danni. E T. quale amministratore della comunione e gli altri comproprietari dell'area di sedime del diruto fabbricato interposero appello, che venne respinto il 6 dicembre 2006. 1.1 La Corte d'appello di Napoli ritenne sussistente la legittimazione processuale dell'amministratore della comunione e del condominio convenzionale costituito dopo la rovina del fabbricato. Affermò la riferibilità agli appellanti delle disposizioni impartite dal direttore dei lavori. Negò che fosse rilevabile la presupposizione contrattuale dell'acquisizione di aree private e di una convenzione con il comune, quale condizione di inefficacia del contratto di appalto. Confermò che il danno poteva essere liquidato in misura pari al 10% dell'importo dell'appalto, con interessi compensativi dalla data della domanda a quella della sentenza sulla somma rivalutata. Il ricorso per cassazione, proposto da E T. e da T.D. , G C. , M.G T. , L.O. , Edil Av srl quest'ultima acquirente, nelle more, di alcune unità immobiliari , tutti nella qualità di comproprietari dell'area di sedime, in tre motivi sviluppa cinque censure, concluse da quesiti di diritto. M. ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 2 11 primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1105, 1106 c.c., 75 e 77 c.p.c., 41 cod.civ. 14 delle preleggi. La censura verte sulla individuazione dei soggetti legittimati passivi rispetto all'azione proposta dall'appaltatore. In particolare i ricorrenti si dolgono del fatto che in appello sia stato ritenuto legittimato passivamente l'amministratore della comunione di quello che una volta era lo stabile condominiale , soggetto sfornito dei necessari poteri di rappresentanza processuale, al quale solo era stato notificato l'atto introduttivo . Lamentano che la Corte di appello abbia ritenuto che, anche in mancanza di una specifica delega dei condomini, la rappresentanza processuale passiva spettasse all'amministratore della comunione, per il solo fatto dell'attribuzione a costui dei poteri sostanziali di stipula del contratto di appalto . Il quesito di diritto è il seguente se sia conforme al diritto ritenere, come i ricorrenti, che l'amministratore di una comunione ordinaria di un immobile, al quale sia stato conferito dai comunisti il potere di stipulare per loro conto contratto d'appalto, non abbia, in carenza di uno specifico conferimento del relativo potere, la rappresentanza processuale in relazione ai giudizi che abbiano per oggetto lo stesso contratto . 2.1 Il secondo motivo, che espone la violazione delle norme indicate nella rubrica del precedente, nonché dell'art. 15 del d.lgs. numero 76/90, verte sulla medesima questione di fondo. La legittimazione dell'amministratore della comunione è stata ritenuta dai giudici di appello anche sulla base del disposto dell'art. 15 cit., dettato per favorire l'adozione delle delibere necessarie per l'esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione di immobili danneggiati in conseguenza degli eventi sismici del 1980. L'articolo, sotto la rubrica Condominio di edifici recita 1. Per gli immobili distrutti o da demolire o da riparare in conseguenza degli eventi sismici i proprietari delle unità immobiliari procedono alla costituzione convenzionale del condominio al fine di adottare le delibere necessarie per l’esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione. Si applica per la determinazione della maggioranza la disposizione del successivo comma 3. 2. La disposizione di cui al precedente comma deve intendersi applicabile anche agli atti di costituzione dei condomini o dei consorzi di proprietari di unità minime di intervento, previste nei piani indicati nell'articolo 34, comma 3. 3. Le deliberazioni condominiali relative all'opera di ricostruzione o riparazione sono valide se approvate con la maggiorazione di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del codice civile. 4. Nell'ipotesi in cui non sia raggiunta la maggioranza prevista dal precedente comma, ovvero nell'ipotesi in cui non esistano le tabelle millesimali, le deliberazioni condominiali relative agli edifici da ricostruire o da riparare sono assunte in conformità dell'articolo 30, primo comma, della legge 5 agosto 1978, numero 457. È a tal fine sufficiente la maggioranza semplice calcolata in base all'imponibile catastale. 5. Ove gli immobili non risultino interamente accatastati, le delibere condominiali sono valide se approvate da proprietari che rappresentino la maggioranza semplice delle superfici nette complessive. 6. La disposizione del comma precedente si applica anche nelle ipotesi di unità minime di intervento che, secondo i piani di recupero, siano costituite da più immobili . 2.2 Parte ricorrente nega che il condominio convenzionale costituito secondo la legge 76 del 1990 valga a creare un amministratore avente i poteri di quello ordinario, estendendo la disciplina del condominio di edifici alla comunione ordinaria. Vuole pertanto che sia affermato che l'amministratore della comunione ordinaria di un fabbricato preesistente al sisma del 1980, al quale sia stato conferito dai comunisti il potere di stipulare per loro conto contratto di appalto, non abbia, in carenza di uno specifico conferimento del relativo potere, la rappresentanza processuale in relazione ai giudizi che abbiano per oggetto lo stesso contratto . La tesi non può essere accolta è infatti condivisibile la ricostruzione interpretativa fornita dalla Corte d'appello, a parere della quale la ragion d'essere del condominio convenzionale cosi costituito non è soltanto quella di strumento di interlocuzione tra privati e pubblica amministrazione, con poteri limitati all'adozione delle delibere necessarie ad avviare la ricostruzione dell'edificio. La ratio della norma e la sua non restrittiva formulazione letterale consentono, secondo i giudici di appello, di ritenere che dalla prevedibile insorgenza di molti problemi pratici e giuridici nel corso dell'esecuzione delle opere deriva l'opportunità del persistere dell'incarico dell'amministratore. La Corte distrettuale ha rilevato come sarebbe illogico, dopo aver creato questa speciale figura di amministratore condominiale, negarne la legittimazione passiva relativamente a controversie nascenti dall'appalto per la ricostruzione deliberata e da eseguire. Il dover riconoscere la necessità di evocare in giudizio tutti i comproprietari, compresi quelli contrari alla delibera adottata, messi in minoranza ex art. 1136 c.c., vanificherebbe il valore della novità acceleratrice. 2.3 La decisione impugnata è corretta. Lo si può desumere proprio dalla scelta di qualificare come condominio l'entità creata, pur in assenza di un fabbricato eretto, all'evidente fine di munire l'organismo del collaudato apparato normativo contenuto nel capo II del Titolo VII del libro terzo del codice civile. Esso consente operatività più funzionale, per le esigenze di un erigendo fabbricato, di quella consentita dalla gestione della comunione ordinaria. Né va trascurato che l'art. 1139 c.c. arricchisce le disposizioni sul condominio prevedendo possibilità di integrazione con quelle relative alla comunione, mentre non vale il contrario, cosicché il legislatore, considerate le ragioni acceleratrici della normativa sulla ricostruzione, ha ben considerato la maggiore duttilità dello strumento prescelto. Potendo, e dovendo, ovviamente, il condominio nominare un amministratore, sia pure per l'ambito di azione costituito dalla finalità di ricostruzione, a detto amministratore vanno riconosciuti i poteri di rappresentanza di cui all'art. 1131 c.c., tra i quali il potere di essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio e di ricevere la notificazione dei provvedimenti dell'autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. Adattando congruamente la norma alle peculiarità di questa tipologia di condominio, si deve affermare che sussiste la legittimazione passiva dell'amministratore condominio convenzionale costituito ai sensi dell'art. 15 del d.lgs numero 76 del 1990 nelle controversie relative alla esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione oggetto delle delibere adottate . Il rigetto del secondo motivo rende irrilevante l'esame del primo, poiché delle due rationes che reggevano la decisione sul punto controverso, una delle due resta intangibile. 3 Il terzo motivo di ricorso mira a negare la responsabilità di parte committente nella sospensione dei lavori. Con il primo profilo di censura violazione degli artt. 112, 345 e 346 c.p.c. i ricorrenti sostengono che la corte avrebbe ampliato la materia del contendere. Invece di fermarsi ad esaminare la questione relativa alla riferibilità ai condomini dell'ordine di sospensione lavori, la Corte avrebbe indebitamente discusso della esistenza di condizioni ostative alla prosecuzione dei lavori, che non erano rilevanti. La doglianza è infondata, giacché attiene a un passaggio della decisione, peraltro enunciato corollario della ratio fondamentale, che giovava comunque a spiegare il perché della riferibilità ai committenti della sospensione, come è reso palese dal testo letterale. La Corte ha scritto infatti a parte il fatto che la causa della disposta sospensione venne attribuita dai due direttori dei lavori all'omissione di alcuni adempimenti che avrebbero dovuto essere compiuti da parte della committenza . Ha poi aggiunto che assumeva importanza grave e quindi decisiva la mancata revoca della sospensione da parte della committenza. Era questa, insieme all'indiscussa emanazione dell'ordine stesso, la ragione cardine della decisione, servendo la premessa solo a spiegare il perché, verosimilmente lo avevano detto i direttori con affermazione rimasta non contestata fosse stata impartita da essi siffatta direttiva, che la committenza avrebbe potuto revocare in tempo utile ad impedire il sorgere di apprezzabile responsabilità. 3.1 Resta quindi superflua anche la prima parte della seconda doglianza di cui al terzo motivo numerata 3 sub 2 , chiusa da quesito di diritto a inizio di pag. 21, ma con ulteriore svolgimento fino al termine di pag 22, censura peraltro attinente soprattutto vizi di motivazione. Invano nella ultima parte della esposizione i ricorrenti addebitano all'appaltatore di non aver avvertito la committenza della sospensione, posto che l'operato della direzione lavori era da riferire alla proprietà, rappresentata dai direttori dei lavori e cui incombeva un elementare onere di diligenza nel verificare almeno che l'opera proseguisse, ditalché non hanno peso le considerazioni svolte in proposito. 3.2 Questo accenno vale già a far comprendere come sia da ritenere infondato anche l'ultimo profilo del terzo motivo violazione dell'art. 1399 c.c. e insufficienza di motivazione Esso critica la sentenza d'appello per aver affermato che i committenti avessero ratificato con la loro condotta la iniziativa dei direttori dei lavori, ad essi comunque riferibile. Il ricorso lamenta che la ratifica tacita deve avvenire con un comportamento non equivoco, non ravvisabile nella omissione di revoca dell'ordine di sospensione. Il motivo è infondato per due ragioni a la Corte ha accertato la sicura riferibilità del comportamento omissivo e la sua concludenza sulla base di un impianto motivazionale solidissimo - dimensione della città, importanza dell'opera, interesse delle parti committenti, lunghezza della sospensione per numerosissimi anni - di cui nemmeno è accennato qualche aspetto di fragilità. B oltre alla ratifica, la riferibilità della responsabilità da sospensione alla committenza è stata giustificata con la violazione dell'obbligo, su di essa incombente, di assicurare all'appaltatore la giuridica possibilità di eseguire i lavori. Questa giustificazione resta ineccepibilmente confermata. 4 Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 4.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.