Locazione con recesso ‘libero’: sufficiente la raccomandata ‘generica’ dell’affittuario

Confermata la linea seguita in primo e in secondo grado, laddove i giudici avevano azzerato il decreto ingiuntivo proposto nei confronti dell’ex inquilino per canoni e spese. Da ritenere bastevole, ai fini dell’efficacia del recesso convenzionale, la comunicazione priva della data in cui il rilascio dell’immobile sarà portato a termine. Questo ulteriore particolare può essere comunicato poi.

Rapporto di locazione chiuso con una raccomandata passaggio burocratico, questo, da ritenere più che sufficiente per considerare legittimo il recesso. Anche se la comunicazione è generica, ossia priva della data in cui il rilascio dell’immobile avrà esecuzione materiale Cassazione, sentenza numero 18167, terza sezione civile, depositata oggi . Tempus. Poco pacifica l’interruzione del rapporto di locazione tra due società – una s.a.s., locatrice, e una s.r.l., conduttrice – in ballo canoni e spese, in stretta connessione con la valutazione della legittimità del recesso dal contratto. Così, negando validità alla forma utilizza dalla srl per chiudere il rapporto, la s.a.s. sceglie la strada del decreto ingiuntivo, strada però sbarrata prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello, anche se, in quest’ultimo caso, a essere respinta è l’istanza di un privato cittadino, cessionario del credito vantato, sulla carta, dalla s.a.s Per il giudice territoriale la procedura seguita dalla srl è pienamente rispettosa della legge raccomandata a dicembre 2000 per comunicare l’intenzione di recedere dal contratto e da aprile 2001 locatrice informata del fatto che il rilascio sarebbe avvenuto entro luglio . Non a caso, viene sottolineato, la s.a.s. aveva conferito mandato a un’agenzia per la locazione dell’immobile. Data secondaria? Inevitabile, però, l’azione ulteriore del privato cittadino, ritrovatosi in mano un credito annichilito dalla giustizia. Ecco spiegata la decisione di proporre ricorso in Cassazione, centrandolo su un elemento la mancanza, nella raccomandata del dicembre 2000, della indicazione della data dell’esecuzione materiale del recesso. Tale lacuna è stata, secondo il legale che rappresenta il creditore, sottovalutata dai giudici territoriali, perché ai fini della validità ed efficacia del recesso convenzionale, occorre che la relativa comunicazione specifichi la data in cui il recesso avrà esecuzione . Per i giudici della Cassazione, però, l’analisi compiuta in Appello è assolutamente fondata. Meglio, è corretto ritenere che la norma sia stata sostanzialmente rispettata , perché la locatrice era stata tempestivamente informata della volontà di recesso, non aveva eccepito la genericità della comunicazione e, anzi, aveva incaricato un’agenzia immobiliare di reperire un altro conduttore . Poi, per rendere il quadro più chiaro, i giudici richiamano anche un datato principio, ricordando che in tema di locazione di immobili urbani, qualora le parti abbiano previsto , come consentito dalla legge, la facoltà del conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto, dandone avviso al locatore mediante raccomandata almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione , allora l’avviso di recesso diretto dal conduttore al locatore, che indichi un termine inferiore a quello convenzionalmente stabilito dalle parti stesse o inferiore a quello minimo fissato dalla legge, conserva validità ed efficacia . E, per completezza, viene anche evidenziato che il ritardato rilascio rispetto alla data indicata non invalida il recesso .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 settembre – 23 ottobre 2012, n. 18167 Presidente Trifone – Relatore Massera Svolgimento del processo 1. Con sentenza in data 10 dicembre 2003 il Tribunale di Milano accolse l’opposizione proposta dalla Capra Florio S.r.l. al decreto ingiuntivo per canoni e spese di locazione intimatole dalla Delma S.a.s. di R.P. & amp C. stabilendo che il contratto di locazione era scaduto a seguito della disdetta della conduttrice e, revocato il decreto ingiuntivo, compensò l’ammontare del deposito cauzionale con quanto dovuto per l’occupazione dell’immobile nel mese di luglio 2001. 2. Con sentenza in data 11 gennaio-21 marzo 2007 la Corte d’Appello di Milano, respinse il gravame proposto da G.C., quale cessionario del credito della Delma. La Corte territoriale osservò per quanto interessa con raccomandata 1 dicembre 2000 la conduttrice aveva comunicato l’intenzione di recedere dal contratto e fin dal mese di aprile la locatrice era stata informata che il rilascio sarebbe avvenuto entro il 12 luglio 2001, tanto che già nei mesi di febbraio, aprile e giugno l’immobile era stato visitato da terzi interessati alla locazione accompagnati da personale dell’agenzia cui la proprietà, che nulla aveva contestato, aveva conferito mandato in tal modo l’art. 27 legge 3927/1978 era stato rispettato dalla conduttrice correttamente era stata disposta la compensazione dei rispettivi crediti, considerato che l’obbligazione restitutoria del deposito discende dal rilascio. 3. Avverso la suddetta sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati con successiva memoria. La C.F. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1.1. Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27, comma 7 legge 27 luglio 1978, n. 392 attesa la ritenuta superfluità della indicazione della data in cui il recesso deve avere esecuzione e l’affermata facoltà del contuttore di comunicarla anche successivamente all’invio della relativa comunicazione priva di tale indicazione. In buona sostanza, il ricorrente, facendo leva anche sulla lettura della norma, assume che, ai fini della validità ed efficacia del recesso convenzionale, occorre che la relativa comunicazione specifichi la data in cui il recesso avrà esecuzione. 1.2. Le argomentazioni adibite a sostegno della censura e il quesito di diritto prescritto dall’art. 366-bis c.p.c., introdotto dal d.lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, applicabile alla specie ratione temporis, prescindono totalmente dalla motivazione con cui la Corte territoriale ha rigettato il corrispondente motivo di appello, per cui la censura risulta aspecifica. Nella parte espositiva sono state sintetizzate le ragioni addotte a sostegno della decisione censurata. La Corte territoriale ha ritenuto che la norma sia stata sostanzialmente rispettata nonché la locatrice era stata tempestivamente informata della volontà di recesso della controparte, nona aveva recepito la genericità della comunicazione e, anzi, aveva incaricato un’agenzia immobiliare di reperire altro conduttore, la conduttrice aveva successivamente indicato la data del rilascio nel 12 luglio 2001, la norma stabilisce un termine minimo di sei mesi, per cui il rilascio può avvenire anche oltre detto termine. Con la censura in esame il ricorrente si limita a riproporre la propria tesi senza addurre argomentazioni idonee a contrastare quella della sentenza. D’altra parte questa stessa sezione ha già avuto modo di precisare Cass. Sez. III, n. 331 del 2007 che, in tema di locazione di immobili urbani, qualora le parti abbiano previsto, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978, la facoltà del conduttore di recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione, l’avviso di recesso diretto dal conduttore al locatore, che indichi un termine inferiore a quello convenzionalmente stabilito dalle parti stesso o inferiore a quello minimo fissato dalla legge, conserva validità ed efficacia ma il termine di esecuzione deve essere ricondotto a quello convenzionalmente pattuito o a quello minimo semestrale fissato dalla legge. Per ragioni di completezza si rileva che il ritardato rilascio rispetto alla data indicata, può essere fatto valere sotto altri profili, ma non invalida il recesso. 2. Il secondo motivo lamenta omessa e insufficiente motivazione in ordine a fatto controversi e decisivi per la decisione della causa. Al fine di sostenere la propria tesi, il ricorrente riferisce le risultanze processuali per dimostrarne la concludenza a proprio favore. 2.2. La censura è inammissibile poiché il vizio denunciato motivazione emessa e insufficiente è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione in ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano preso in esame al fine di confutarle o condividerle tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse Cass. n. 2272 del 2007 . La censura in esame mira, appunto, ad una valutazione diversa dalle risultanze processuali ed è priva del momento di sintesi imposto dall’art. 366-bis c.p.c. e necessario non solo per circoscrivere il fatto controverso, ma anche per specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza sia, rispettivamente, omessa e insufficiente. 3. Pertanto il ricorso va rigettato. Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.