Infiltrazioni datate nel tempo? Non costituiscono grave motivo per recedere dal contratto di locazione

Non è da ritenersi legittimo il recesso effettuato dal conduttore di un locale adibito ad uso diverso da quello abitativo, anche nell’inerzia del proprietario nell’intervenire per risolvere la situazione, se la causa del medesimo – vale a dire delle infiltrazioni d’acqua – si è verificata all’inizio del rapporto, ma nel frattempo l’inquilino ha tenuto un comportamento ad es. uso prolungato nel tempo dell’unità immobiliare che nei fatti ha reso tollerabile la situazione.

Insomma, secondo la Cassazione sentenza n. 13191 del 26 luglio 2012 , i comportamenti del conduttore assumono rilevanza al pari delle formali rimostranze verso il proprietario e non possono non essere tenuti in considerazione ai fini della decisione. Il caso . Una società prende in locazione per uso diverso da quello abitativo un’unità immobiliare, adibendola a magazzino. Praticamente fin da subito si verificano delle infiltrazioni prontamente segnalate al proprietario. Questo non interviene ma nonostante ciò il conduttore per un lungo periodo, circa sette anni, continuava ad utilizzare proficuamente così si legge nella sentenza in commento quei locali. In questo contesto, ad un certo punto, il conduttore si avvale di quanto stabilito dall’ultimo comma dell’art. 27 l. n. 392/78, che recita indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata . Il proprietario per meglio dire i proprietari del locale non gradivano tale presa di posizione e promuovevano un’azione legale finalizzata al recupero delle somme dovute a titolo di canone di locazione e non pagate a seguito del recesso, a loro dire, illegittimo. La loro visione dei fatti fu condivisa dai giudici di primo e secondo grado che, rispettivamente, accolsero la domanda e respinsero il gravame della società. Da qui il ricorso per cassazione. Inutile lamentarsi di qualcosa se poi, nei fatti, ci si comporta come se si accettassero i vizi presenti . Il fulcro delle vicenda è proprio questo possibile lamentarsi e poi far finta di nulla? O quel far finta di nulla dev’essere considerato come un non poter fare altrimenti”? La valutazione del fatto, chiaramente, è rimessa ai giudici di merito. Nel caso di specie, tuttavia, la Cassazione ha ritenuto legittima la sentenza di secondo grado che fu impugnata. In particolare secondo gli Ermellini , in un caso come quello cui sono state chiamati a dare giustizia, la condotta del locatario non è idonea a legittimare il recesso ex art. 27 della legge 27 luglio 1978 n. 392 qualora, stante la contestazione dei locatori, il primo abbia tenuto una condotta, anche documentalmente provata, dalla quale si evinca che a fronte delle infiltrazioni già presenti poco dopo la conclusione del contratto, come nella specie, via sia stato l’utilizzo dell’immobile per una così in sentenza n.d.A. lungo periodo di tempo . Non è la prima volta che la Cassazione giunge ad una conclusione del genere. In sostanza, dice la Corte, se ci si lamenta di un fatto ma poi, senza che si presentino nuovi elementi, ci si comporta in maniera opposta a quanto criticato, quella condotta è di per sé ostativa al riconoscimento dei gravi motivi che giustificano il recesso ai sensi dell’art. 27 l. n. 392/78. D’altra parte anche solamente un fatto, leggendo la sentenza, fa capire come le infiltrazioni, di per sé, non fossero un grosso problema per la società conduttrice al recesso per gravi motivi non è seguita una causa per risarcimento del danno, nemmeno sotto forma di domanda riconvenzionale nell’alveo del procedimento che ha portato alla sentenza in commento. Un elemento, pure questo, indicativo dell’effettiva insussistenza di reale disagio per l’infiltrazione lamentata e poi tollerata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 10 maggio – 26 luglio 2012, numero 13191 Presidente Trifone – Relatore Uccella Svolgimento del processo Il 19 giugno 2002 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda proposta da I C. , A G. e P.A. nei confronti della società Martina Vlady e condannava la convenuta al pagamento dei canoni non corrisposti a seguito dell'illegittimo recesso della società dal contratto di locazione relativo ad un immobile adibito a magazzino sito in . Su gravame della Martina Vlady di Piero Del Monte e C. s.numero c. la Corte di appello di Roma in data 11 ottobre 2006 confermava la sentenza di prime cure. Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la Martina Vlady, affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso I C. , A G. , T D.S. , S P. e C P. , in qualità di eredi di A P. . Su istanza di trattazione ex articolo 26 legge 12 novembre 2011 numero 183 il ricorso è stata fissato per l'odierna pubblica udienza. Entrambe le parti hanno depositate rispettive memorie. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, redatto e strutturato sotto due profili violazione e falsa applicazione degli articolo 1453, 1455, 1460, 1575 numero 2 e 1576 c.c. con riferimento all'articolo 360 numero 3 c.p.c. - primo profilo violazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. con riferimento all'articolo 360 numero 3 e numero 5 c.p.c. – omessa motivazione su un punto decisivo della controversia - secondo profilo , che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, in sostanza la ricorrente società si duole che il giudice dell'appello, così come il Tribunale prima, non abbia tenuto conto della continue dimostranze fatte da essa conduttrice, per cui il suo comportamento in merito alle infiltrazioni esistenti nel locale, che lo avrebbero reso inagibile, non poteva considerarsi tollerante p. 10 ricorso . Immotivatamente, poi, sarebbe stata ignorata la prova documentale acquisita agli atti, dalla quale si sarebbe potuto ricavare la colpevole inerzia dei locatori. 2. - Le doglianze vanno disattese, pur corredandosi di quesiti ai limiti dell'ammissibilità. Infatti, e contrariamente a quanto deduce la società ricorrente, non risponde al vero che il giudice dell'appello non abbia esaminato la corrispondenza intercorsa tra la conduttrice e i locatori e non abbia considerato la CTU versata in atti. Al riguardo, va precisato, in linea di principio, che la condotta del locatario non è idonea a legittimarne il recesso ex articolo 27 della legge 27 luglio 1978 numero 392 qualora, stante la contestazione dei locatori, il primo abbia tenuto una condotta, anche documentalmente provata, dalla quale si evinca che a fronte delle infiltrazioni già presenti poco dopo la conclusione del contratto, come nella specie, vi sia stato l'utilizzo ed il godimento dell'immobile per una lungo periodo di tempo - nel caso in esame circa sette anni dalla stipula del contratto - v. Cass. numero 15058/08 . In altri termini, se non si sono sostanziati fatti involontari, imprevedibili e/o sopravvenuti alla costituzione del rapporto tali da rendere oltremodo gravoso per il conduttore sotto il profilo economico la prosecuzione del rapporto locatizio, la condotta prolungata del conduttore si configura come ostacolo alla reclamabilità dei gravi motivi e viene a connotare di illegittimità il suo recesso Cass. numero 9443/10 . Peraltro, le violazioni denunciate e formulate non sembrano riguardare la soluzione di una questione di diritto. Anzi, esse sono intese a contestare la motivazione della impugnata sentenza e non si concretano, in buona sostanza, in una critica logico-giuridica della decisione sul punto. Di vero, esse non indicano quale sia l'errore di diritto in cui sia incorso il giudice del merito né quale sia, secondo la prospettazione della ricorrente, la regola diversa da applicare una volta emerse determinate risultanze processuali. Nella specie, è sufficiente la lettura dei quesiti p. 12 ricorso per rendersi conto della generica deduzione dell'obbligatorietà dell'accertamento giudiziale circa l'asserito inadempimento ex articolo 1453 c.c. posto che il giudice del merito ha potuto affermare che la parzialità dell'inconveniente, dato dalle infiltrazioni, e il comportamento della conduttrice escludevano l'inadempimento di importanza rilevante secondo i dettami di cui all'articolo 1455 c.c. p. 5 sentenza impugnata . Peraltro, va anche posto in rilievo che le infiltrazioni erano già in atto quasi sin dall'inizio del rapporto, ma ciò non aveva impedito il proficuo svolgimento dell'attività lavorativa per un lungo periodo contratto stipulato il 7 ottobre 1992 - recesso comunicato il 10 giugno 1999 - p.4 sentenza impugnata . 3. - Di qui l'assorbimento del secondo motivo violazione e falsa applicazione dell'articolo 1464 c.c. con riferimento all'articolo 360 numero 3 c.p.c. - omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia - p - 13 ricorso , che, peraltro, non sembra cogliere nel segno la ratio decidendi della sentenza impugnata. Infatti, da un lato si invoca l'articolo 1464 c.c., evidentemente nella parte in cui giustifica il recesso dal contratto quando non si abbia un interesse apprezzabile al suo adempimento, dall'altro non si indica quale sarebbe stato il venir meno dell'interesse a continuare ad adempiere, atteso che non solo la impossibilità parziale era vanificata dall'utilizzo del bene per lungo periodo, ma nemmeno vengono indicati ovvero allegati i danni che essa ricorrente avrebbe subito. Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore dei resistenti delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200/00, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.