Scioglimento del condominio o della comunione? La domanda può essere precisata nel corso di causa

E’ possibile chiedere lo scioglimento della comunione dopo aver chiesto quello del condominio, perché ciò non costituisce richiesta nuova, e non modifica causa petendi o petitum , ma è semplicemente una precisazione della richiesta.

La domanda di scioglimento del condominio può essere precisata, e divenire domanda di scioglimento della comunione, nel corso di causa senza che ciò integri l’ipotesi vietata di mutatio libelli . Ciò perché non si ha una modificazione tout court del petitum o della causa petendi , nè una richiesta nuova ma solamente una variazione in senso restrittivo del petitum e quindi, al massimo, una emendatio libelli , ossia una precisazione della richiesta giudiziale. Questo il cuore della decisione resa dalla Seconda Sezione Civile della Cassazione, con la sentenza n. 867 depositata in cancelleria lo scorso 23 gennaio. Il caso . Tutto nasce dalla domanda dei proprietari di una porzione di piano ubicata in un edificio in condominio. La domanda puntava allo scioglimento della compagine ma la sentenza, a seguito di una precisazione della richiesta attorea ed in parziale accoglimento della stessa, giungeva a dichiarare lo scioglimento della comunione in relazione al giardino comune. Scioglimento allargato ad altre parti dell’edificio dalla sentenza d’appello. Il giudice di secondo grado era stato adito dai condomini convenuti che contestavano la decisione di prime cure. A seguito di questa decisione, quindi, gli appellanti ricorrevano in Cassazione. In primis essi lamentavano violazione e falsa applicazione di norme processuali e sostanziali. Quanto alle prime, spiegavano i ricorrenti, il riferimento era alla mutatio libelli avvenuta nel corso del giudizio di primo grado. Gli originari attori, in effetti, con l’atto introduttivo del giudizio avevano domandato lo scioglimento del condominio ma poi, in corso di causa, avevano chiesto lo scioglimento della comunione rispetto ad alcune parti comuni. Esiste una differenza tra mutatio ed emendatio libelli . Non è stata dello stesso avviso la Cassazione che ha ritenuto infondato questo motivo di ricorso. Secondo gli ermellini, infatti, si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente . Secondo la Corte, invece, quello di cui i ricorrenti si lamentavano era un caso tipico di emendatio libelli . Si è in fattispecie del genere quando si incide sulla causa petendi , in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum , nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere . Nel caso di specie, per la Cassazione il petitum è stato sì modificato, ma solamente attraverso una diversa qualificazione giuridica, in senso restrittivo, del fatto. In sostanza, che si arrivasse allo scioglimento di cose comuni strumentali al godimento di parti di proprietà esclusiva che è il caso del condominio o allo scioglimento di cose comuni che rappresentavano esse stesse l’oggetto primario del godimento come per la comunione era questione secondaria non in grado di far giungere alla conclusione che la domanda era stata mutata. La decisione lascia qualche perplessità. Commentare una decisione del genere senza la lettura delle carte ad essa sottese non è cosa semplice. Un dato di fatto, però, non può essere sottaciuto comunione e condominio differiscono in ragione del fatto che nella prima i beni comuni sono oggetto primario del godimento mentre nel secondo essi rappresentano degli strumenti per il miglior godimento delle parti di proprietà esclusive. Proprio per ciò non tutte le norme dettate per la comunione sono applicabili al condominio art. 1139 c.c. . Così, ad esempio, le norme sull’indivisibilità delle parti comuni e sullo scioglimento del condominio rappresentano delle ipotesi derogatorie rispetto all’ordinaria disciplina di scioglimento della comunione cfr. Trib. Roma 21 marzo 2006 n. 6581 . Delle due l’una o il giudice ha considerato i beni divisibili in comunione e non in condominio, sì da ritenere legittima la cosiddetta emendatio libelli, oppure bisogna segnalare un precedente difforme a quel consolidato orientamento che considera comunione e condominio istituti affini ma pur sempre autonomi in ragione delle loro specificità. Detto ancor più semplicemente davvero può risultare indifferente ai fini processuali chiedere lo scioglimento della comunione o del condominio a tal punto da poter variare la domanda in corso di causa? Non si ignorano il principio iura novit curia e i corrispondenti poteri del giudice, quindi, verrebbe da concludere che nel caso di specie i titoli non disponevano nulla in merito alla proprietà sicché il giudice adito l’ha qualificata come comunione e non condominio. Dubbi che potrebbero essere fugati solamente con l’intera lettura degli atti di causa. Nel ricorso per Cassazione, infine, gli istanti lamentavano oltre all’inosservanza di regole processuali anche la violazione di norme sostanziali. In pratica si affermava che s’era contravvenuto al disposto di cui all’art. 1119 c.c. che vieta la divisibilità delle parti comuni se ciò rende incomodo l’uso di tali parti. La Cassazione, però, ha respinto anche questa doglianza. Non c’è uso incomodo se la sentenza di merito che ha deciso sul punto lo ha escluso con motivazione logica ed adeguata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 28 ottobre 2011 – 23 gennaio 2012, n. 867 Presidente Triola – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - A D., in proprio e quale procuratrice generale di Gi Be. e F B., propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Trieste che, in parziale accoglimento della domanda proposta da Ba.Gi. e g. per lo scioglimento del condominio dell'edificio con annesso giardino in omissis , due alloggi del quale erano di loro proprietà, mentre gli altri due appartenevano a F B., A. e Gi Be. , aveva disposto lo scioglimento della comunione limitatamente al giardino circostante la casa. 2. - Con sentenza depositata il 4 gennaio 2005, la Corte d'appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dispose lo scioglimento della comunione in essere tra le parti relativamente al giardino circostante l'edificio, alla soffitta ed allo scantinato della casa secondo i criteri indicati nella relazione integrativa del c.t.u La Corte, quanto alla prima doglianza dell'appellante, concernente la presunta mutatio libelli in cui sarebbe incorsa controparte per avere ripiegato, dopo aver chiesto lo scioglimento del condominio, sulla diversa domanda di scioglimento della comunione di cose comuni, pretesamente divisibili in contrasto con la loro reale funzione, intrinseca al condominio, rilevò la infondatezza della eccezione, osservando che gli attori sin dall'atto di citazione avevano chiesto lo scioglimento della comunione su varie componenti dell'edificio, richiamandosi ai dati della relazione peritale del 21 luglio 1993, così facendo intendere di chiedere anche solo, nel contempo, uno scioglimento parziale della comunione in essere. Dunque, si trattava di mera emendatio libelli. Inoltre, venne riconosciuta, nei termini indicati dal c.t.u., la frazionabilità della soffitta e dello scantinato, cioè delle parti comuni in ordine alle quali si era ridotta la domanda svolta dagli attori. Infatti, la divisione di tali parti risultava compatibile con le esigenze di autonomia e funzionalità richieste dalla norma codicistica, non alterandone la concreta utilizzabilità ed anzi apportando un'utile soluzione alla situazione di conflitto tra le parti. In particolare, la divisibilità della soffitta, parte comune non compresa tra quelle essenziali al condominio, era agevolmente attuabile e compatibile con l'uso comune del manto di copertura. Altrettanto era da dire per la divisione dello scantinato. Quanto alle contestate modalità di divisione del giardino, la Corte di merito ritenne che l'unico criterio concretamente praticabile fosse quello che trovava attuazione nelle linee di cui alla planimetria allegata alla relazione integrativa del c.t.u 3. - Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso D.A., Gi Be. e F B. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso Ba.Gi. e g Le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1. - Deve preliminarmente essere esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione degli artt. 82, 83, 84 cod.proc.civ. e/o 365 cod.proc.civ. e/o degli artt. 125, 366 cod.proc.civ., sollevata con il controricorso. Si contestano la autenticazione della sottoscrizione della procura che si sostanzierebbe in uno schizzo illeggibile , nonché la mancata indicazione nel corpo dell'atto dell'avvocato che lo avrebbe redatto, e la sottoscrizione del ricorso con altro schizzo illeggibile diverso da quello vergato quale autentica dei sottoscrittori della procura. 2.1. - La eccezione è priva di fondamento. 2.2. - Secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, la decifrabilità della sottoscrizione della procura alle liti non è requisito di validità dell'atto, ove l'autore sia identificabile, con nome e cognome, dal contesto dell'atto medesimo, in quanto ciò consente di affermare, pur in presenza di firma illeggibile, la riferibilità della procura alla persona, come effetto dell'autenticazione compiuta dal procuratore v. Cass., sentt. n. 14786 e n. 6464 del 2007 . Nella specie, la individuazione del legale risulta da una serie di elementi concordanti, e cioè, oltre che dal testo della procura speciale, dalla stampigliatura su ciascuno dei fogli sui quali è redatto il ricorso del nome del legale, il quale risulta altresì con certezza aver richiesto la notifica del ricorso medesimo. 3. - Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto processuale e sostanziale. Si rappresenta che gli originari attori, dopo avere, con atto di citazione del 2 agosto 2003, formulato domanda di scioglimento del condominio dell'edificio di Aurisina Cave n. 27/B, ai sensi degli artt. 61, primo comma, e 62, primo comma, disp.att.cod.civ., con memoria del 3 giugno 2006, avevano introdotto una domanda di scioglimento della comunione rispetto ad alcune parti comuni. Alla udienza successiva era stata eccepita l'inammissibilità di tale domanda in quanto nuova, e comunque non era stato accettato il contraddittorio sulla stessa. Ma il Tribunale prima, e poi la Corte d'appello, avevano ritenuto che si trattasse non già di domanda nuova, ma di domanda ricompresa in quella originaria, con la quale si era chiesta la divisione del condominio ma anche di alcune sue parti comuni. Osservano, al riguardo, i ricorrenti che, in base alla normativa vigente nella materia de qua, nella ipotesi in cui lo stabile sia divisibile e si formino due condomini che mantengano in comune alcune delle parti originarie tra quelle elencate nell'art. 1117 cod.civ., è possibile adire l'autorità giudiziaria ove l'assemblea all'uopo convocata non raggiunga il quorum, mentre, nella ipotesi in cui per poter dividere il condominio sia necessario procedere alla modifica dello stato delle cose o ad interventi sui locali o sulle dipendenze tra i condomini, è obbligatoria la delibera con voto unanime dei condomini e non è previsto il ricorso all'autorità giudiziaria. Nella specie, non solo non era mai stata convocata l'assemblea al fine di procedere alla divisione del condominio, condizione per poter adire l'autorità giudiziaria, ma inoltre il Tribunale e la Corte d'appello avevano proceduto, mantenendo il condominio originario unitario, a dividere parti comuni condominiali per definizione indivisibili. In particolare, la Corte di merito aveva disposto lo scioglimento della comunione relativamente al giardino circostante l'edificio, alla soffitta ed allo scantinato della casa di Aurisina Cave 27/b secondo i criteri indicati nella relazione integrativa della c.t.u., che non prendeva in considerazione la circostanza che nella porzione c.d. Ba. ricadevano il cancello carraio principale e quello secondario di accesso al garage, nonché la vasca, mentre nell'altra porzione ricadeva solo un cancelletto pedonale, e che il viale di accesso sarebbe stato interrotto e non sarebbe stato più utilizzabile proprio nella parte ricadente nella metà assegnata ai ricorrenti. Inoltre, per procedere alla divisione del giardino, sarebbe stato necessario porre in essere una serie di attività, quale erezione di muri, recinti, piantumazioni, e di atti amministrativi integranti attività volte a modificare lo stato delle cose, riservate esclusivamente alla volontà unanime dell'assemblea a norma dell'art. 62, secondo comma, cod.civ Infine, contrasterebbe con la normativa vigente la divisione del giardino e della terrazza al piano terra in due lotti, pur nella mancata divisione dell'originario condominio in due condomini autonomi. 4.1. - La doglianza è immeritevole di accoglimento. 4.2. - Questa Corte ha chiarito che si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi , in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum , nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere v. Cass., sentt. n. 17457 del 2009 n. 21017 e n. 7579 del 2007 . Nella specie, è stata all'evidenza ridotta la portata della domanda originaria, rimanendo immutato il titolo. 4.3. - Sul piano sostanziale, v'è da rilevare che in tema di condominio di edifici, poiché l'uso delle cose comuni è in funzione del godimento delle parti di proprietà esclusiva, la maggiore o minore comodità di uso cui fa riferimento l'art. 1119 cod. civ. ai fini della divisibilità delle cose stesse, va valutata oltre che con riferimento alla originaria consistenza ed estimazione della cosa comune, considerata nella sua funzionalità piuttosto che nella sua materialità, anche attraverso il raffronto fra le utilità che i singoli condomini ritraevano da esse e le utilità che ne ricaverebbero dopo la divisione v., sul punto, Cass., sent. n. 7667 del 1995 . Ciò posto, rientrava, nella specie, nella valutazione di stretta spettanza al giudice del merito la determinazione della divisibilità, nel senso dianzi chiarito, di alcune parti comuni valutazione operata dalla Corte territoriale con motivazione congrua e non affetta da illogicità. 5. - Le esposte argomentazioni valgono altresì a dar conto della infondatezza della seconda censura, con la quale si deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, rilevandosi che, nonostante il c.t.u. avesse diviso unicamente il giardino e la terrazza al piano terra, escludendo l'utilità della divisione del sottotetto, e non svolgendo alcuna considerazione in ordine allo scantinato, la Corte di merito aveva proceduto allo scioglimento della comunione anche sulla soffitta e lo scantinato, nulla disponendo, invece, quanto alla terrazza, e motivando tale decisione con riguardo a considerazioni attribuite al c.t.u. e mai dallo stesso formulate, ovvero contrastanti con quanto da questo osservato. Al riguardo, resta da sottolineare come anche la scelta di non procedere alla divisione della terrazza, e, per converso, quella di addivenire alla divisione dello scantinato ed a quella della soffitta - scelte in relazione alle quali nel ricorso si lamenta il discostamento dalle risultanze peritali - risultano analiticamente e plausibilmente motivate. 7. - In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo, seguono la soccombenza e devono, pertanto, essere poste a carico dei ricorrenti in solido. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 1200,00, di cui Euro 1000,00 per onorari.