Il sottotetto è condominiale quando è a servizio di tutte le sottostanti unità

Il sottotetto deve considerarsi condominiale quando elementi di fatto facciano presupporre che il bene sia a servizio di tutti i condomini.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 26833 resa il 19 ottobre, ma depositata in cancelleria il successivo 14 dicembre, è stata chiama a fare chiarezza sulla natura di un locale sottotetto. Il caso. La scintilla scoppia quando i proprietari degli appartamenti siti al primo e secondo piano decidono di effettuare alcuni lavori che interessano il sottotetto. A questo punto il proprietario di un locale seminterrato si rivolge al Tribunale per chiedere una sentenza di accertamento. Al Giudice viene chiesto di voler accertare la natura condominiale dei locali sottotetto a cui per inciso si accedeva attraverso una botola sita sul pianerottolo delle scale condominiali. Quindi, per l'effetto, si chiedeva la demolizione delle opere realizzate e il ripristino dello status quo ante . Cos'è un sottotetto? Per stabilire con precisione cosa debba intendersi per sottotetto”, occorre fare riferimento alle N.T.A. Norme Tecniche di Attuazione Comunali. Il regolamento edilizio di ciascun Comune, infatti, potrebbe fornire una diversa definizione di cosa debba intendersi per sottotetto”. In linea di principio, il sottotetto è uno spazio angusto compreso tra il solaio di copertura dell'ultimo piano ed il tetto di un edificio. Per la natura e le caratteristiche intrinseche dell'immobile, esso, di norma, non è destinato ad soddisfare esigenze abitative ma, costituendo un volume tecnico, può essere utilizzato come deposito ovvero per ospitare impianti di servizio dell'intero fabbricato si pensi, a titolo esemplificativo, ai vecchi edifici, in cui questa tipologia di locali veniva normalmente utilizzata per ospitare centrali termiche condominiali ovvero vasche di accumulo dell'acqua . Dal punto di vista strutturale, il sottotetto assolve alla funzione di camera d'aria, garantendo l'isolamento termico ed acustico dei sottostanti ambienti ad uso abitativo. Il sottotetto, a volte, viene confuso con la mansarda, ma, a ben vedere, si tratta di immobili destinati ad assolvere a funzioni del tutto differenti. La mansarda costituisce l'ultimo piano abitabile di un edificio, ricavato sopra il piano d'imposta e nella sagoma del tetto. Trattandosi di un ambiente destinato a soddisfare esigenze abitative, la mansarda è caratterizzata da una adeguata finestratura onde garantire un sufficiente grado di illuminazione ed aerazione i vani anche ai fini della vivibilità e visitabilità degli ambienti. Perché tanto interesse per i locali sottotetto? In passato, i locali sottotetto non destavano alcuna particolare attenzione essendo più che altro considerati, dal punto di vista civilistico, meri locali di servizio” e, dal punto di vista urbanistico, come dei volumi tecnici. Di recente la situazione si è ribaltata e questa tipologia di immobili è finita sotto i riflettori. Il motivo è da ricercare nella possibilità di essere utilizzati a scopo abitativo. In buona sostanza, potrebbe esserci la possibilità di trasformare dei locali privi di valore economico in vere e proprie case di abitazione. Come dire trasformare ottone in oro un vero affare anche in periodi di crisi. A questo punto cerchiamo di collocare la controversia in esame nel contesto ambientale e storico in cui è nata. La causa nasce in quel di Milano la sentenza del Tribunale risale all'anno 2005. All'epoca era vigente la Legge Regione Lombardia 11 marzo 2005 numero 12 Legge per il governo del territorio . In particolare, il Capo I del Titolo IV artt. 62, 63, 64, era intitolato recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti . E' quindi evidente che la lite, almeno questa volta, non sia sorta solo per questioni di puntiglio tra condomini, ma abbia come reale obiettivo la necessità di partecipare agli utili di una possibile ristrutturazione e trasformazione dell'immobile in unità abitative. Il problema dell'abitabilità . Occorre partire dal presupposto che i sottotetti, di norma, hanno una altezza massima con ciò intendendosi la distanza verticale massima tra piano di calpestio del pavimento e intradosso della copertura inferiore ai 180 cm il che li rende non adatti a soddisfare esigenze abitative. Anzi, a ben guardare, occorre tener presente che il DM Sanità del 5 luglio 1975 Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione prescrive art. 1 che L'altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70 riducibili a m 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli . Con questi presupposti, quindi, sarebbe difficile pensare ad un utilizzo abitativo del sottotetto. Ma il problema è risolvibile, almeno in alcuni casi, e senza fare ricorso alle norme più recenti ci si riferisce al c.d. piano casa” . Come? Semplice procedendo ad una sopraelevazione! A questo punto entrano in gioco i regolamenti comunali che, nella maggior parte dei casi, impediscono di sopraelevare gli edifici per raggiungere l'altezza di abitabilità. Ovviamente esistono delle eccezioni. Liguria e Lombardia, per esempio, permettono di procedere alla sopraelevazione modificando le altezze di colmo e gronda fermo restando che, in ogni caso, il fabbricato non può superare l'altezza massima prevista dalle norme urbanistiche e dai regolamenti locali e ferma restando la pendenza delle coperture. A ben vedere esiste anche un ulteriore onere i proprietari del sottotetto sono tenuti a pagare un'indennità agli altri condomini per la sopraelevazione. Due tesi a confronto . Il punto della questione è relativamente semplice. L'attore chiede al Giudice di voler accertare la natura condominiale del sottotetto condannando la controparte alla riduzione in pristino del bene. Di contro, i proprietari degli appartamenti di ultimo piano ritengono che il sottotetto sia un bene esclusivamente privato. La natura condominiale del sottotetto sarebbe da escludere, almeno secondo il Tribunale. Il Collegio giunge a questa conclusione partendo da una duplice considerazione i locali in questione assolvono alla funzione di camera d'aria” a beneficio degli appartamenti di ultimo piano e non sono utilizzati da tutti i condomini. Sulla base di questi presupposti, si giunge a ritenere che il bene sia privato” e, conseguentemente, la domanda viene rigettata. La natura del sottotetto è certamente condominiale . La Corte di Appello ribalta almeno parzialmente l'esito del giudizio. Secondo la Corte di merito, il sottotetto sarebbe condominiale e, sotto questo profilo, la domanda dell'attore viene accolta ma le opere realizzate non devono essere demolite in quanto del tutto lecite. La decisione viene sostanzialmente confermata dalla Corte di Cassazione. Come si giunge a questa conclusione? In primo luogo, occorre considerare che, almeno nel caso in esame, il titolo di acquisto, non menzionando il sottotetto tra i beni comuni, non poteva essere esaustivo. Per risolvere la questione, quindi, era necessario fare ricorso alla destinazione ed alla funzione del bene. Sotto questo profilo la Corte ha ritenuto che il sottotetto fosse condominiale perché posto a servizio di tutti i condomini. In realtà, per giungere a tale conclusione, occorre fare affidamento sulla relazione del C.T.U. Secondo tale relazione, al sottotetto si poteva accedere tramite una botola presente nelle scale condominiali . Tutti i condomini, quindi, almeno teoricamente, potevano munirsi di una semplice scala a pioli ed accedere ai locali, magari solo per depositarvi delle masserizie. Il pavimento del sottotetto, inoltre, era idoneo a sopportare il peso del calpestio, il che lo rendeva ipoteticamente usufruibile. Il sottotetto, inoltre, era costituito da un unico, ampio locale, privo di tramezzature. Qualora il bene fosse stato di pertinenza delle unità abitative di ultimo piano, sarebbe stato logico presumere la presenza quantomeno di una tramezzatura interna corrispondente a ciascuno degli appartamenti sottostanti. Sulla base di questi elementi di fatto, la Cassazione ha accolto la domanda ritenendo che il sottotetto fosse condominiale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 ottobre – 14 dicembre 2011, n. 26833 Presidente Oddo – Relatore Migliucci Svolgimento del processo 1. Em.Ma Ma., proprietaria di due porzioni immobiliari ubicate al seminterrato del fabbricato condominiale sito in omissis , conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano D M. , E G. , A.L M. e R T. , proprietari degli appartamenti siti al piano terra e al primo piano del predetto immobile, per sentire accertare che i locali sottotetto erano comuni a tutti i condomini con la condanna dei convenuti a eliminare le opere eseguite e al ripristino del sottotetto. Si costituivano i convenuti, che chiedevano il rigetto della domanda, deducendo che il sottotetto costituiva pertinenza degli appartamenti posti all'ultimo piano dell'edificio. Con sentenza dell'8 luglio 2003 il Tribunale rigettava la domanda sul rilievo che il sottotetto avesse la destinazione di camera d'aria per l'ultimo piano e non di vano utilizzabile da tutti i condomini. Con sentenza dep. il 22 ottobre 2005 la Corte di appello di Milano, in riforma della decisione impugnata dall'attrice, dichiarava che il sottotetto costituiva parte comune, dichiarandone la comproprietà dell'attrice in proporzione della quota millesimale peraltro respingeva la domanda di ripristino, considerando lecite le opere realizzate dai convenuti. Secondo i Giudici, premesso che nei singoli atti di acquisto il sottotetto non era menzionato fra i beni comuni, la natura andava determinata in base alla obiettiva destinazione e alla funzione da esso assolta. Alla stregua degli accertamenti effettuati dal consulente i Giudici ritenevano l'attitudine ad assolvere la funzione di servizio comune a tutti i condomini, quale deposito di oggetto e di allocazione di impianti comuni. 2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione M.D. , E G. , A.L M. e T.R. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso l'intimata. Le parti hanno depositato memoria illustrativa. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 1117 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360 n. 5 cod. proc. civ. , denunciano che la sentenza impugnata sarebbe scarsamente e comunque contraddittoriamente motivata, laddove a aveva ritenuto la facile accessibilità al sottotetto, quando invece era vero l'esatto contrario, tenuto conto che, essendo risultata la botola scomoda, angusta e priva di scala retrattile, era difficoltosa se non impossibile recarsi nel sottotetto b aveva dato rilevanza al posizionamento della botola nel pianerottolo quando si trattava di circostanza irrilevante e comunque sarebbe stata irrazionale una collocazione in uno dei due appartamenti dell'ultimo piano c aveva ritenuto l'idoneità della soletta del pavimento, quando tale accertamento doveva essere compiuto con riferimento alla struttura del pavimento al momento della costituzione del Condominio, mentre quella attuale era stata rinforzata dai ricorrenti, come rilevato dal consulente tecnico, non potendo essere una soletta di cm. 20/25 come indicato in sentenza d aveva dato rilevanza alla mancanza di divisioni interne, che era un elemento irrilevante d'altra parte secondo quanto risultava accertato dal consulente tecnico d'ufficio - il locale non era suscettibile di utilizzazione autonoma con destinazione comune e aveva ritenuto che il locale sarebbe stato destinato al riscaldamento comune, non essendo al riguardo sufficienti gli elementi emersi. Osservano che in realtà il sottotetto non fosse stato mai adibito a destinazione comune e che lo stesso aveva un'altezza inferiore a quella prescritta dal regolamento edilizio anche per locali a uso deposito. 1.2. Il motivo va disatteso. La sentenza, nel ritenere che il sottotetto era un f bene comune, ha evidenziato tutta una serie di elementi dai quali si doveva pervenire al convincimento circa l'attitudine a essere destinato al servizio di tutti i condomini. Al riguardo, la sentenza ha evidenziato a l'accessibilità, con l'ausilio di una scala a pioli attraverso una botola di cm. 70 x 120 dal pianerottolo della scala comune e non dai singoli appartamenti dell'ultimo piano b l'idoneità del pavimento originario a sopportare il peso del calpestio e di deposito di oggetti, dato lo spessore della soletta e la capacità portante accertata dal consulente c le dimensioni e l'altezza originaria del sottotetto, misurata al colmo di metri 2,80, e della superficie di mq.170, avendo al riguardo chiarito che all'altezza di metri 2,60 andavano aggiunti 40 cm. 20+20 cm. relativi alla controsoffittatura e alla trave di colmo per un totale di m. 3,20 d la mancanza di divisioni interne corrispondenti alle porzioni sottostanti e la installazione di parti dell'impianto di riscaldamento comune a suo tempo esistente. Ciò premesso, pur denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione, le doglianze formulate dai ricorrenti si risolvono piuttosto nel prospettare una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dalla sentenza impugnata, sollecitando una inammissibile in sede di legittimità indagine di fatto che è evidentemente riservata al giudice di merito. Ed invero, le doglianze formulate non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell'iter logico giuridico seguito dalla sentenza in realtà, non si denuncia un vizio logico o giuridico della motivazione, atteso che le censure si concretano in argomentazioni volte a dimostrare - attraverso la disamina e la soggettiva valutazione delle circostanze di fatto considerate dai Giudici - l'erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dalla sentenza laddove ha ritenuto quegli stessi elementi sufficienti per giungere ad affermare la destinazione e l'utilizzazione del sottotetto al servizio di tutti i condomini in sostanza, i ricorrenti formulano una valutazione del materiale probatorio difforme da quella accolta dalla Corte. Occorre qui ricordare che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre il vizio di falsa applicazione delle legge riguarda la sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nella ipotesi normativa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione che nella specie è insussistente e che peraltro non è stato dedotto secondo il paradigma di cui all'articolo 360 n. 5 cod. proc. civ., atteso che il vizio di motivazione deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire in sostanza, ai sensi dell'articolo 360 n. 5 citato, la dedotta erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell'ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto . In caso contrario, infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione Cass. 67394/2010 . 2.1. Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 cod. cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurano la statuizione di condanna delle spese processuali, nonostante la reciproca soccombenza, posto che la domanda di danni era stata respinta. 2.2. Il motivo va disatteso. In tema di regolamento delle spese processuali, l'unico divieto posto a carico del giudice è quello di non porle a carico della parte interamente vittoriosa, essendo oggetto di una scelta discrezionale e motivata quella di compensarle in tutto o in parte. Nella specie, i ricorrenti non sono certo la parte risultata interamente vittoriosa, posto che viceversa è stata l'attrice a vedersi accogliere quella che evidentemente costituiva la domanda principale avente a oggetto l'accertamento della comunione del sottotetto . Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.