Pezzi dell'appartamento portati via dagli ex inquilini, nessun risarcimento alla proprietaria

La firma prima di visionare l'immobile. Tardiva la scoperta della mancanza di porte, termosifoni e caldaia. Questione chiusa con la clausola del 'Nulla a pretendere'.

Caldaia, termosifoni e porte portati via. Questo il 'ricordo' lasciato, nell'appartamento, dagli oramai ex inquilini alla proprietaria. Quest'ultima, costretta a una spesa di quasi 50mila euro per rimettere tutto a posto, chiede un risarcimento, ovviamente ai vecchi locatari. Ma è una richiesta senza sbocchi l'aver dichiarato, in occasione della riconsegna dell'immobile, di non aver nulla a pretendere rappresenta la chiusura, definitiva e intangibile - come chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 19876, terza sezione civile, depositata ieri -, del rapporto d'affitto. Casa, dolce casa forse. La decisione, assunta dal padre della proprietaria, di affittare l'appartamento aveva già avuto, in un passato recente, strascichi polemici, con tanto di causa per risoluzione contrattuale e risarcimento dei danni arrecati all'immobile. Alla fine, però, tutto si era risolto con una conciliazione e con l'impegno degli inquilini - sempre loro - di abbandonare l'immobile. Partita chiusa? Almeno in apparenza La proprietaria aveva sottoscritto una transazione in cui dichiarava di non aver nulla a pretendere e i vecchi locatari avevano portato a termine il loro compito, ovvero lasciare libero - forse anche troppo libero - l'appartamento. Pezzi di vita. Appena entrata in casa, però, la proprietaria aveva trovato l'amara sorpresa caldaia, porte e termosifoni portati via, letteralmente, assieme ad altri arredi. I danni? Quantificabili in poco meno di 50mila euro. I responsabili? I vecchi inquilini, of course, ai quali la proprietaria chiedeva un risarcimento, scegliendo, ovviamente di adire le vie legali. Per quei pezzi di casa e di vita 'rubati', difatti, avrebbero dovuto pagare Clausola di forma e di sostanza. Il cammino, però, si rivelava in salita. Il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi respingevano la domanda della proprietaria, che, come extrema ratio, decideva di presentare ricorso in Cassazione. Su quali basi? Su un fondamento, innanzitutto la dichiarazione di non aver null'altro da pretendere dai conduttori era, secondo la ricorrente, una mera clausola di stile, priva di efficacia negoziale, senza alcun accenno ai danni . Ma questa visione veniva completamente rigettata dai giudici di piazza Cavour, i quali, mostrando di condividere le valutazioni compiute in Appello, ribattevano che quella clausola era precisa e circostanziata e comprensiva di qualunque titolo o spesa passati o futuri relativi al rapporto locatizio oggetto della transazione . Erano evidenti, in questa ottica, la sicura consapevolezza e la volontà dei contraenti. Decisione irrevocabile. Quali sono le conclusioni, allora? Molto semplicemente, la decisione assunta in Appello è da ritenere pienamente legittima, e, quindi, da confermare, anche in Cassazione. Il ricorso presentato dalla proprietaria dell'appartamento è invece da rigettare. Per quest'ultima, peraltro, anche la condanna a pagare processuali, ulteriore cifra da sborsare dopo quella versata agli ex inquilini in fase di conciliazione per aver richiesto il rilascio dell'immobile prima della scadenza e quella utilizzata per ristruttura l'appartamento.